Autore Topic: "Football Clan"  (Letto 669 volte)

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Offline DinoRaggio

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"Football Clan"
« : Giovedì 18 Ottobre 2012, 20:02:43 »


http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2012/18-ottobre-2012/cantone-libro-choc-pallone-cosi-boss-usano-calcio-2112306950394.shtml

Cantone e il libro choc sul pallone:
«Così i boss usano il calcio»


«A Napoli troppi criminali avvicinano i calciatori.
Conte? C'è la tendenza a voltarsi dall'altra parte»


NAPOLI — Raffaele Cantone, ex pm antimafia, oggi giudice di Cassazione.
Lo sa che citare Hamsik, Lavezzi, Cannavaro, Balotelli, Conte e Buffon in un libro dal titolo «Football clan» è operazione alquanto impopolare?
«Sì, e nel libro lo dichiaro immediatamente. Il problema però è nell'approccio. Io il calcio lo amo, ma la vicinanza al mondo della criminalità rischia di travolgerlo. E, per questo, spero che ci si muova prima che a giocare restino solo i boss».

Non è che siamo alle solite con il magistrato moralizzatore?
«Io non voglio moralizzare, cerco di colmare un difetto di approfondimento».

Be', libri sul pallone ce ne sono.
«Sì, ma evidentemente parlare di calcio in un certo modo non tira. E quindi si preferisce, chessò, la biografia di Ibrahimovic. È un dato di fatto che sia diventata un best-seller. Nessuno, però, parla mai di calcio e criminalità».

Pensa che la ringrazieranno?
«Ho già ricevuto varie manifestazioni di scetticismo rispetto a quest'operazione. Io chiedo solo di leggere e valutare gli atti processuali. Se chiudiamo gli occhi, un giorno potremo riaprirli e scoprire che ci hanno portato via il pallone».

Raffaele Cantone — classe '63, in magistratura dal '91, pm in prima linea contro il clan dei Casalesi, oggi giudice al Massimario della Cassazione — la sua ultima «indagine» la concentra sui rapporti tra mondo del pallone e criminalità organizzata, che il calcio lo utilizza per lucrare, ottenere il controllo delle masse, cercare voti, favori, affari, contatti, consensi. E lo fa spiegando in un libro scritto con il giornalista Gianluca Di Feo (Football clan, 282 pagine, edito da Rizzoli) perché «il calcio è diventato lo sport più amato dalle mafie». Cita un impressionante numero di episodi, il magistrato. Nomi, date, squadre, inchieste. Dalla medaglia d'oro consegnata dal fuoriclasse brasiliano dell'Avellino Juary al boss Raffaele Cutolo nel 1980 («Né prima né dopo in Europa c'è stato un riconoscimento così plateale dell'autorità mafiosa») a intere squadre in mano alle mafie. La Mondragonese, primo esempio di clan al servizio del calcio, dove Renato Pagliuca, fedelissimo del boss Augusto la Torre, «non sfrutta il pallone per arricchire la cosca, ma impiega il racket per rendere forte la squadra». O l'Albanova, che militava nella C2, aveva la serie C1 a portata di mano (grazie anche a un bomber come Ciro Muro) e invece è scomparsa quando è scomparso Francesco Schiavone, arrestato. E ancora: la scalata alla Lazio tentata dai Casalesi (che portò a un ordine di arresto per Giorgio Chinaglia, uno dei miti del calcio italiano), la Sanremese finita in mano alla 'ndrangheta che per non pagare gli stipendi decise di far andar via con le minacce i calciatori più pagati (puntarono anche una pistola al ginocchio del Pampa Sosa, ma lui li denunciò), la spareggio per salire in serie C tra Locri e Crotone (maggio '87, un pentito ha rivelato che il Crotone comprò la promozione offrendo kalashnikov e bazooka ai boss che controllavano il Locri in cambio del pareggio). Il viaggio nella camorra del calcio è allucinante. Un grande business raccontato da Sud a Nord. Passando, ovviamente, da Forcella. E dalla foto di Diego Armando Maradona nella vasca a forma di conchiglia del boss Giuliano.

Cantone, perché ancora questa storia della foto di Maradona?
«È emblematica. Fu scattata nell'86 a casa dei Giuliano. Vent'anni dopo, proprio le intercettazioni sui Giuliano hanno dato il via all'inchiesta sul pallone malato. Calciopoli nasce da quella casa, da quella vasca. Se ci si fosse mossi all'epoca, forse tutto ciò non sarebbe accaduto».

Stiamo parlando di un'immagine, non è che drammatizza troppo?
«Quella foto dimostra la sottovalutazione che c'è sempre stata del rischio di infiltrazioni mafiose nel calcio. Maradona certo non s'è venduto le partite, ma frequentava boss legati alla compravendita degli incontri. Se quell'episodio non fosse stato valutato solo come oleografia, avremmo avuto conseguenze ben diverse».

Un suo collega, l'ex pm Luigi Bobbio, ha rivelato che lui Maradona voleva arrestarlo, ma il procuratore gli disse di no.
«Bobbio si era reso conto che quella foto non era un fatto neutro. Queste immagini non sono souvenir, ma manifesti dell'autorità criminale».

Lei nel libro cita anche un'altra foto, quella di Hamsik con il boss scissionista Domenico Pagano. Neppure quella è neutra?
«È ancor più pericolosa. Maradona aveva un rapporto personale con i Giuliano, Hamsik invece è un antidivo, ragazzo e atleta modello. Perciò la sua foto con il camorrista sorprende e preoccupa: è un segnale che le mafie agganciano chiunque. E pone troppe domande. Chi ha portato il calciatore in quel ristorante? Chi consente a persone della criminalità di avvicinarsi ai calciatori? C'è un trait d'union? Qual è?».

Non ha una risposta?
«Le inchieste raccontano che Mario Balotelli va a Scampia grazie all'interessamento di Marco Iorio, imprenditore in affari con Fabio Cannavaro e amico di Lavezzi, a casa del quale va addirittura un altro boss di Napoli, Antonio Lo Russo. Lo stesso, per capire, che è stato fotografato in campo. E che scommetteva».

È un indizio?
«Spiega che questo mondo che gira intorno al pallone con la camorra ha un'interlocuzione. C'è gente che ha rapporti con i calciatori e anche con chi gestisce le scommesse. È casuale?».

Però lei scrive che il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis «ha imposto un corso diverso», che ha «eretto una diga tra squadra e tifosi» spostando gli allenamenti a Castelvolturno.
«La società ha fatto bene, ma alla luce di quanto emerso forse deve fare ancora di più. Santacroce, il difensore che andò a portare le magliette a un soggetto agli arresti domiciliari, ai pm che gli chiedono cosa faccia il Napoli per ostacolare queste relazioni pericolose dice che i calciatori non hanno direttive. È vero? Se così fosse sarebbe preoccupante, il Napoli non può derubricare questi contatti a semplici cattive frequentazioni».

Sono condotte con rilevanza penale?
«Assolutamente no. E poi non tutto ciò che avviene nel calcio deve essere necessariamente ascritto alla giustizia penale».

È sufficiente quella sportiva?
«No, non ha strumenti efficaci per indagare. Comprare il silenzio negli spogliatoi è facile. E anche allenatori di prestigio, una volta venuti a conoscenza di fatti illegali, hanno scelto di non parlare. Il caso di Antonio Conte, sospeso per non aver denunciato gli accordi a tavolino del Siena, fa capire quanto sia diffusa la tendenza a voltarsi dall'altra parte».

Siamo passati dall'omertà mafiosa a quella calcistica?
«Il problema sono gli andazzi. L'allenatore sa che mettersi contro il presidente può significare la fine della carriera. Simone Farina, il giocatore del Gubbio che aveva denunciato un accordo illecito, non ha avuto più alcun contratto. Sarà sicuramente una coincidenza, ma il segnale potrebbe essere letto nel senso che chi denuncia resta a piedi, che paga l'omertà. E poi la storia dell'omessa denuncia è assurda».

Perché?
«È una norma moralista che rischia di incrementare l'omertà. Se c'è un'indagine e mi chiamano a testimoniare, non collaborerò mai con la magistratura, perché se dico che ero a conoscenza di qualcosa scatta automaticamente un processo sportivo per omessa denuncia».

Il caso Conte è quindi la spia di una giustizia che non funziona?
«La magistratura del calcio si ispira a una logica di trattativa, punta più alla mediazione degli associati che alla salvaguardia del calcio. Se, come nel caso Conte, dopo due gradi di giudizio si arriva a una sorta di arbitrato al Tnas, significa che quei due processi sono stati inutili. L'arbitrato, nel sistema del diritto, è alternativo al procedimento davanti al giudice. Un procedimento così è folle».

Contesta le regole?
«Questi meccanismi vanno bene all'interno di un circolo privato. Qui, invece, con ogni sospensione di un calciatore o penalizzazione di una squadra si possono determinare perdite di milioni. E, con i club quotati in Borsa, ogni verdetto influenza i mercati azionari. Perciò poi si assiste a scene paradossali».

Quali?
«Quella del presidente della Juventus Andrea Agnelli che mette la mano sul fuoco sull'onestà del suo allenatore per fatti commessi quando Conte non era alle sue dipendenze, ma in un'altra squadra. È un attacco inquietante alla giustizia sportiva. Però poi di Buffon non parla».

Scusi, che c'entra Buffon?
«Il milione e mezzo di euro girato a una tabaccheria di Parma abilitata alle puntate sportive che fine ha fatto? Come sportivo, tifoso ed anche ammiratore del Buffon portiere, vorrei sapere se era tutto lecito, se è stato prosciolto. Una giustizia seria deve essere trasparente, e invece nessuno ha mosso un dito».

Che fa, vuole aizzare i tifosi prima di Juventus-Napoli?
«Macché. Queste vicende non scandalizzano minimamente i tifosi. Il risultato sportivo, in Italia, viene prima di qualunque valutazione etica. È per questo che il calcio è lo sport più amato dalle mafie».

Gianluca Abate
18 ottobre 2012
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)