Detta in quattro parole: una partita di Champions.
Non si possono recensire diversamente l’intensità fisica e mentale senza soste, la corsa, i tempi ridottissimi per le giocate e la conseguente perizia tecnica richiesta.
Prova ne sia il fatto che, sull’unico errore commesso sotto pressione, un passaggio errato di “sempre sia lodato” Lulić – il cui bilancio di giornata rimane, s’intende, trionfale – ha portato al gol del pari.
Cui ha contribuito, a proposito di livello tecnico che non perdona nulla, l’unico e millimetrico errore con cui Radu ha tenuto in gioco Dybala per la ribattuta a colpo sicuro.
Ebbene, al cospetto di parametri estranei al tran tran del campionato italiano la Lazio ha tenuto botta sostanzialmente per tutti i novanta minuti, con l’ulteriore merito di essere uscita alla distanza.
Determinante la trionfale supremazia nella zona nevralgica del campo, dove si è deciso anche l’esito della partita a scacchi fra le panchine.
Sarri ha sottovalutato – e commentato in conferenza stampa, con una coda di paglia che arrivava da Riad a Torino – le non ottimali condizioni fisiche della squadra, che la privavano del requisito fondamentale per sostenere un modulo sbilanciato.
La modesta giornata individuale dei tre tenori là davanti, ieri apparsi più simili ai Ricchi e Poveri, ha chiuso il cerchio sul piano degli episodi e dell’incisività offensiva.
Il trend della partita è invece naufragato, per i bianconeri, tra i limiti fisici di Liveranić – pensare che possa reggere davanti alla difesa l’urto del calcio europeo, di cui si è avuto un saggio in questi novanta minuti, è illusorio – e quelli mentali di un Bentancur in versione isterica.
L’assetto descritto ha condannato la mediana a una permanente inferiorità numerica, cui Sarri ha inferto il colpo di grazia nel finale disarticolando il centrocampo con la sostituzione di Matuidi: vale a dire l’unico che, sia pure con la licenza di uccidere rilasciatagli da Calvarese, aveva cercato di fare da argine.
Una prova di come il tecnico parte nopeo e parte toscano (semicit.) non solo ci abbia capito poco, ma risulti tuttora un corpo estraneo alla realtà tecnica torinese.
Inzaghi, al contrario, ha gestito al meglio una gara preparata in maniera impeccabile innanzitutto nella testa.
Quando la squadra ha accusato il gol del pari ma soprattutto il primo quarto d’ora del secondo tempo, vero buco nero di questo gruppo, le contromosse tramite cambi hanno spostato fisicamente baricentro e inerzia della gara.
Parolo ha replicato lo spezzone di Ledesma in quel 4-2 al San Paolo: cose semplici, ma in grado di restituire consistenza al reparto definendo un prima e un dopo nel film della partita.
Cataldi, semplicemente un altro rispetto al personaggio in cerca d’autore delle scorse stagioni, ha reintegrato la circolazione di palla non più garantita dall’avvicendato Luis Alberto portando regia e iniziativa nel ventre molle della mediana avversaria, anziché attendere al limite della propria area.
Il minimo comun denominatore nel contributo dei due subentranti è tutto in una parola: pressione.
Pressione che i bianconeri non hanno saputo contrastare: e da lì in avanti, almeno sul piano delle situazioni pericolose in area, si è giocato praticamente a una porta sola fino al meritatissimo epilogo.
Una breve carrellata sugli episodi parte dall’intervento killer con cui Matuidi cerca di spezzare la caviglia a Luis Alberto, arrivando col piede a martello dopo che lo spagnolo aveva ultimato il movimento per la conclusione.
Naturalmente, il dubbio che si trattasse di una strategia sportivissima e pianificata per togliere di mezzo il perno del gioco avversario non sfiora neppure chi assiste a tale scempio.
La mancata consultazione del VAR, da cui sarebbe scaturito senza alternative un rosso diretto, giustificherebbe l’abbandono del match lasciando in campo Calvarese coi suoi compagni di squadra: ai quali il fischietto di Teramo concederà per tutta la gara un metro all’inglese, ma nel senso di Jack lo Squartatore.
Eupalla non ne può più e, coadiuvato dall’ammirevole tenuta psicologica della Lazio, serve a distanza di pochi minuti la vendetta perfetta: il gol del vantaggio firmato proprio da Luis Alberto.
Bravo lui – e SMS nell’assist – a conservare calma e precisione per giocate non così ovvie: l’inquadratura dal basso evidenzia una luce della porta tutt’altro che sgombra, a rischio per una conclusione affrettata o approssimativa.
L’azione parte da una percussione di Lulić, che dimostra nelle azioni dei primi due gol un piede più educato rispetto alle sue abitudini; anche se una grossa mano, va detto, gliela dà De Sciglio autoeliminandosi dal gioco con una scivolata da oratorio.
Per trovare un difensore saltato in maniera così ridicola bisogna riandare a un Inter-Empoli con tanta Lazio in campo.
Espulso Emre, il salumiere “protegge” la difesa nerazzurra con Brechet, acquistato l’anno prima per la batteria di esterni richiesta dall’
hombre vertical Cuper, mentre il tecnico dei toscani Perotti butta nella mischia Ciccio Tavano per tentare il colpaccio.
Coraggio meritatamente premiato quando i due subentrati si trovano di fronte.
Il terzino francese allarga le gambe – qui il Cassano giocatore sfornerebbe qualche battuta sulla sua parentela femminile – e l’attaccante lo lascia sul posto con un tunnel che anche le sagome in allenamento avrebbero intuito, prima di tagliare l’area avversaria con un cross radente e pieno di effetto che Tommaso Rocchi trasforma in una piccola pagina di Storia.
Detto del pari, punizione implacabile per gli unici svarioni individuali nell’intero incontro, pagina di copertina per la conclusione al volo che porta la Lazio definitivamente in vantaggio.
Interessante il fatto che, come sul gol di Caicedo a Cagliari, entrambi gli esterni si trovino contemporaneamente nei pressi della linea di fondo.
E la sinergia funziona anche stavolta, con rientro sul sinistro di Lazzari per il cross e conclusione da manuale di Lulić: se qualcuno sostiene che fosse facile addomesticare quel pallone, dietro la lavagna e ripete la giocata cento volte.
Quanto al terzo gol, accompagnato dall’espulsione di Bentancur con un’ora abbondante di ritardo, altro excursus di archeologia calcistica.
Pisa-Lecce, con Mazzone sulla panchina dei salentini e un piazzato dal limite per loro a tempo scaduto sul risultato di 2-2.
Basterebbe calciarla, anche in fallo laterale, per portare a casa un buon pari: invece Barbas cincischia in uno schema troppo complicato e, sul pallone recuperato dai padroni di casa, Luca Cecconi piazza il gol della beffa.
Il cronometro segna 93’22’’, praticamente i supplementari in un calcio nel quale il recupero, allora non quantificato tramite la lavagnetta elettronica, superava raramente il minuto.
Questo per dire quale arma a doppio taglio potesse rappresentare quel pallone al limite dell’area bianconera: e quindi a ulteriore merito di Cataldi, il cui gioco di sponda con la traversa richiama alla mente un ultimo ricordo di tifo epico, a pieni polmoni, senza compromessi.
Un ricordo legato all’Under 21 che, negli ottavi degli Europei del 2000 (poi vinti in finale contro la Rep. Ceca, anche lì con piazzato decisivo di Pirlo), affronta la Francia di Henry e Dabo, del maledetto Dalmat e, sempre lui, di Brechet.
Primo tempo a senso unico per i transalpini che sbloccano subito e si vedono annullare, per un pallone forse mai uscito dal campo, il raddoppio in grado di ammazzare il match.
Poi gli avversari calano, Tardelli si inventa contro ogni logica Gattuso esterno, invitando di continuo a servirgli il pallone, e il suo fiuto fa centro: traversone di Ringhio e incornata di Comandini a risvegliare gli Azzurrini da un incubo.
Si va ai supplementari dopo l’1-1 in terra d’Oltralpe, coi galletti in inferiorità numerica ma la partita ancora apertissima: finché Andrea Pirlo se la ritrova sulla mattonella e disegna una parabola identica a quella di Cataldi, solo sulla destra del portiere Landreau.
È la prodezza liberatoria in una serata soffertissima, la decisiva secchiata di benzina sul tifo incendiario, inimitabile, indimenticabile di un “Erasmo Jacovone” che ha regalato all’Under un pubblico fra i più caldi della sua Storia.
Un orgasmo totale allora come ieri, solo che al gol di Danilo si aggiunge una scena da cineteca: la corsa felice e ormai spensierata verso la panchina a festeggiare in gruppo un trionfo strameritato pallone dopo pallone, senza neppure il pro forma di rimettere la sfera nel cerchio di centrocampo.
Come dire: la partita è finita quando lo diciamo noi.
In sintesi, una serata di grande calcio che resterà negli annali.
E una boccata d’ossigeno, come non se ne respiravano da tempo, per la credibilità del nostro movimento al di fuori del cortile di casa.
P.S. Auguri di Buon Natale e Buone Feste a tutti. Con una Coppa in mano, poi...