da GLOBALIST
di Giancarlo Governi
Ha ragione Gianni Rivera: era meglio quando le scommesse sul calcio erano proibite. Allora i calciatori erano costretti, nella loro attività criminale, a lavorare nella clandestinità come i malfattori. Si incontravano di nascosto con allibratori clandestini che facevano parte della malavita e sapevano che stavano facendo una cosa criminosa, anche soltanto scommettendo su una partita a cui loro non avrebbero partecipato.
Ma oggi che tutta l'Italia è diventata una grande bisca come sarebbe possibile proibire le scommesse sul calcio?
Si va dal semplice gratta e vinci che riesce a sfilare soldi a madri di famiglia abituate a contare fino al centesimo i soldi della spesa, al lotto al superenalotto che oramai si estrae praticamente tutti i giorni, mentre prima si giocava soltanto il sabato. Fu Walter 'giornalista ex politico italo-sloveno che copia canzoni altrui (e che porta iella)', ministro della Cultura nel primo governo Prodi a istituire il lotto del mercoledì per finanziare i beni culturali che stavano andando i rovina e far riaprire musei chiusi da anni.
Si passa poi alle giocate alle macchinette con il famigerato videopoker che prima erano ubicate in luoghi appositi e oggi sono distribuiti nei bar e in ogni luogo di ritrovo. Per non parlare dei giochi che si possono fare al computer: persino la innocente tombola in mano ai professionisti del gioco è diventato un gioco di azzardo dove vince sempre e soltanto chi gestisce il gioco.
Lo Stato, pur di incassare, protegge questa enorme bisca, come faceva tanti anni fa con le case di tolleranza, dove perlomeno garantiva che le prostitute fossero costantemente controllate dal punto di vista sanitario. Ora lo Stato non garantisce niente, incassa e basta e finge di non sapere che la malavita organizzata nel gioco di azzardo e nelle scommesse ha trovato una nuova fonte di guadagno, superiore addirittura a quella della droga.
In un quadro di questo genere come possiamo illuderci sulla pulizia del calcio, dove c'è un intreccio di interessi sportivi ed economici in un mondo complesso e variegato. Un mondo in cui anche uno che fa una vita da santo può comunicare con il mondo intero e farla franca se non incappa in errori madornali come ha fatto qualche calciatore sotto inchiesta.
Per arginare la corruzione nel calcio si può soltanto ricacciare le scommesse nella illegalità. Soltanto così si rende la vita di chi commette reati magari con leggerezza ancora più difficile e le linea di demarcazione fra la criminalità organizzata e i delinquenti non abituali (come possono essere i calciatori che partecipano una tantum ad una combine), sempre più difficile.
Due parole sulla responsabilità oggettiva da parte delle società. Nello scandalo del calcio scommesse degli anni Ottanta i calciatori che si macchiavano di reati dovevano tenere i rapporti criminosi fisicamente, incontrandosi con altri calciatori complici e con gli organizzatori dell'atto delinquenziale nei bar, nei locali pubblici, nelle case. Quindi, in un mondo in cui la privacy era una semplice parola inglese, il controllo da parte delle società che li stipendiava era possibile e quindi in assenza, potevano essere chiamate a risponderne. In quegli anni la responsabilità oggettiva aveva un senso.
Oggi in un epoca in cui chiunque può comunicare con tutto il mondo con il suo i phone, con le società paralizzate anche dalle leggi sulla privacy, la responsabilità oggettiva non può avere nessuno fondamento.
Come si può uscire da tutto questo? Certamente non fermando il calcio come propone paradossalmente il presidente Monti perché fermare il calcio significherebbe distruggere un settore economico importante che crea reddito ed anche imposte per l'erario. E poi in un momento di crisi, quando cioè manca il "panem", come si possono abolire i "circenses"? La soluzione il calcio deve trovarla al suo interno: ad esempio inserendo nei contratti dei calciatori clausole di responsabilità molto severe come il risarcimento danni e pretendere da loro una condotta irreprensibile la di sopra ti ogni sospetto.