Del grande GuyMontag
Diciamoci la verità, non è da noi, non sarebbe mai stato da noi.
Non sarebbe stato da noi essere terzi con sette-otto punti sulla quarta.
Non ci sarebbe dispiaciuto guardare le ultime giornate di campionato magari con un po' di distacco, e se c'era da andare al male una domenica, insomma, concediamo qualcosa alla famiglia, tanto ormai è fatta.
Ma non sarebbe stato da noi.
E' invece da noi soffrire maledettamente fino all'ultimo minuto dell'ultima partita.
Dodici anni fa, addirittura, un tempo dopo l'ultimo minuto dell'ultima partita.
Nessuno ci regala niente, e lassù ci si sono dimenticati.
Noi non ci diamo una mano. D'altronde, non ce la siamo mai data. Il laziale è funebre, terrorizzato di poter essere felice, vede un raggio di sole dopo un acquazzone come una breve pausa tra due temporali. Perché, che pioverà, è sicuro. Un mio amico fraterno, al fischio finale di quel Perugia-Juve, mi guardò con occhio smarrito. E mò?
E quel giorno a Perugia stava piovendo. Mai pioggia fu più benedetta, pioggia comunque era.
Il momento è quello che è.
La squadra gioca male, malissimo. E che squadra, poi? Non c'è più nessuno. Il bollettino degli infortunati è un romanzo horror-gotico, ogni mattina lo consulto armato di ogni sorta di amuleti, spizzandolo come le carte a poker. E non lo puoi perdere manco un giorno. Mi sono distratto un attimo e zac, per il Profeta stagione finita. Dopo Brocchi, dopo Klose, dopo Lulic, la falce della stagione finita miete vittime, incurante se si tratti di titolari o riserve, anche Stankevicius si accoda alla lista - quella invece infinita. La ricaduta è dietro l'angolo, per uno che (forse) ce la fa altri tre accusano, povericristi che non si fanno mai male, tipo Ledesma o Gonzalez, arrancano spompati senza ricambi possibili, siamo arrivati all'impensabile di rimpiangere Del Nero o convocare Makinwa, il quale per la sorpresa si è subito infortunato. Stagione finita anche per lui. Prima di cominciare.
I nostri eroi si chiamano ora Scaloni e Garrido, visto che Radu e Konko fanno come la lumaca dell'indovinello, un passo avanti e due indietro, e che Dias sembra diventato un misto tra Gutierrez e Trotta.
Rocchi soffre di solitudine là davanti, sempre più pelato, laddove Kozak viene ammonito mentre si allaccia gli scarpini prima di entrare in campo e Alfaro ara allegramente praterie.
Un'armata Brancaleone che fa simpatia e tenerezza. Che sembra il Peter Sellers di Hollywood Party. Gli sparano, cade ma non muore mai. E si rialza per suonare la sua tromba. E' un miracolo che siamo ancora là. Pareggiamo e le altre pareggiano, perdiamo e le altre perdono. Che poi qualcuna si avvicina, è normale. Non foss'altro per cortesia.
Ma siamo là. Il traguardo pare lontanissimo, un Lecce o un Novara ostacoli proibitivi. Per non parlare dell'Udinese. Che per simpatia nei nostri confronti, forse per rispetto, sta mantenendo doverose distanze, pigliando sberle mica male ovunque vada. Perché noi giochiamo male, è vero, ma il bel gioco è un optional. Il Napoli di oggi è un ronzino annaspante, l'Udinese si è detto, l'Inter sta diventando una squadra decente dopo aver preso sganassoni tutta la stagione, e sta ancora là. Di quelli là, possiamo solo gustare siparietti comici quando intervista la Sanipoli.
Ma a quattro dalla fine in quel posto ci siamo noi. Certo, magari andare ad Udine con Radu e Konko sulle fasce, con Klose là davanti, col Profeta in grande spolvero, mentre Lulic stantuffa sulla fascia, con l'imbarazzo della scelta a centrocampo, ecco anch'io avrei preferito.
Ma non c'è nulla da fare. Non sarebbe stato da Lazio.
Questa partita, in questo momento della stagione, in queste condizioni, senza più alibi, più spazio, più margine, ecco.
Questa sì, questa è da Lazio.