Era da un sacco di tempo che non le vedevo più; ma invece sabato mattina le ho ritrovate, e proprio in un negozio sotto casa.
Parlo delle mozzarelle, piccole, a bocconcino piccolo, incartate per lungo a quattro.
Le ho viste, e le ho comprate, e mentre a casa le assaggiavo mi è tornata un ricordo dell’adolescenza, tanti tanti anni fa.
Era d’estate, tanto tempo fa, direbbe il grande Sergio Endrigo, nella cittadina di mare in Abruzzo dove passavamo, appunto, l’estate, ci si andava appena finiva la scuola e si ritornava a Roma pochi giorni prima che ricominciasse. Gli amici, che erano stati amichetti da bimbi, erano gli stessi da sempre, quelli che all’epoca andava di moda chiamare comitiva, che trovavi la mattina presto sul bagnasciuga, si arrivava via via alla spicciolata, e che salutavi dieci minuti prima di andare a dormire la sera.
Io avevo una cotta per uno di questi amici, un ragazzo pugliese, PP, quando era, appunto, diventato un ragazzo, ed un altro amico, Lele, aveva una cotta per G., che era diventata assai bella.
Il guaio era che PP non mi si filava granchè, forse ero troppo secca e lunga, e G. non si filava granchè Lele, o meglio, nell’esigenza che hanno le ragazzette di quell’età di sentirsi corteggiate, lo aveva anche un po’ illuso, ma lo faceva soffrire.
Insomma, Lele ci stava malissimo – a dire il vero molto di più di quanto io stessi male per PP, che in realtà non ci stavo male quasi per niente -. E capitava spesso che si mettesse a chiacchierare e sfogarsi un po’ con me. Eravamo davvero molto molto amici, c’era una bella intesa tra noi, ed una capacità di ridere e far ridere assai simile. In vespa assieme, poi, eravamo davvero buffissimi, alti com'eravamo, per l'epoca, ed incapaci di curvarsi a dovere - che poi su una vespa che ti curvi? - eravamo la contraddizione personificata del CX.
Un pomeriggio Lele era particolarmente affranto, G. l’aveva deluso di nuovo, ed il fessacchiotto aveva anche saltato il pranzo. Così lo portai a casa mia, che era la più vicina alla spiaggia, dalla cucina si sentiva il vociare allegro che dalla spiaggia veniva, aprii il frigo e c’erano un quantitativo enorme di mozzarelle piccole, quelle in incarti da 4 di cui parlavo prima.
C’era anche un filone intero di pane; il tutto doveva essere utilizzato per la cena della mia famiglia, assieme ad altro, ovviamente.
Ma a queste cose da ragazzo mica ci pensi, e così Lele ed io cominciammo a mangiarci sti bocconcini di mozzarella buonissima col pane. Ed intanto Lele raccontava, e parlava, ed io lo stavo a sentire, e parlavo anch’io, ed alla fine parlavamo di tutto fuorchè di G. e PP, discorsi diversi, perfino di accenni di politica – cosa convenzionalmente vietata in vacanza – insomma ragionamenti “importanti”, così ci sembrarono, che ci facevano sentire improvvisamente “grandi”.
E le mozzarelle vennero pressochè finite.
Per la gioia di Mamma, che quando tornò a casa e si trovò a doversi inventare altro per completare la cena di una famiglia di 5 persone.
Mi è capitato di ripensare a quel pomeriggio ogni volta che mi è capitato, raramente, di mangiare mozzarella e pane, da soli, senza altri sapori di mezzo, credo si chiami memoria del gusto o qualcosa del genere, un sapore che ti ricorda una situazione.
Di ripensare a quanto mi sembrò importante. E di ripensare a Lele, al vuoto che ha lasciato nel mio cuore e nel mio cervellino da adolescente, perché una malattia fetente se l’è portato via giovanissimo.
Sabato scorso quelle mozzarelline mi hanno fatto tornare tutto in mente ancora di più, erano proprio uguali uguali a quelle di quel pomeriggio di tanti anni fa.
Solo che non c’era il vociare allegro della spiaggia di sfondo, e, soprattutto, non c’era più Lele.
Ecco, mi andava di raccontarvi sta cosa, banale, ma mi andava. Tutto qua.