Ci si chiedeva come il Bayern potesse rimediare all'assenza di Ribery e Robben, di fatto il senso di una squadra che si basa come non capitava da anni su ali in grado di saltare l'uomo.
Ci si chiedeva perché la società avesse lasciato partire così a cuor leggero Shaqiri, la prima alternativa in rosa ai due esterni offensivi.
La risposta è arrivata ieri sera su entrambi i fronti: paradossalmente l'assenza dei due campioni, che hanno però il limite di imporre un canovaccio tattico, ha concesso a Guardiola variazioni sul tema decisamente nelle sue corde.
Da un lato ha sopperito alla mancanza dei singoli raddoppiando la presenza sulle fasce, con laterali difensivi stabilmente alti come vuole un capitolo dell'utopia blaugrana.
Dall'altro ha rispolverato quello che può essere considerato il suo gioco per antonomasia: densità massima al centro, sia sul piano numerico sia su quello della qualità, con una ragnatela di passaggi stretti a irretire l'avversario.
A giovarsene è stato soprattutto Lewandowski, per solito costretto dalla linea di trequartisti Robben-Müller-Ribery a un lavoro da centroboa più adatto al suo predecessore Mandžukić.
Ieri il polacco ha giocato, forse per la prima volta sotto la gestione di Pep, nel proprio ruolo naturale: quello di vertice avanzato e finalizzatore della manovra, forte soprattutto di una tecnica inarrivabile nel traffico e in spazi ridotti.
Al resto hanno pensato i portoghesi con errori elementari nelle marcature sui cross, un portiere non sincronizzato con la traiettoria del pallone e un atteggiamento tremebondo non solo sul piano tattico: segno di una personalità che non tiene il passo dell'ottimo lavoro svolto da Lopetegui sotto altri profili.
Gli ultimi due turni lasciano una preziosa indicazione sull'errore da evitare contro i bavaresi: indisporli durante la gara d'andata.
A Donec'k ci si mise l'arbitro espellendo in maniera fiscale Xabi Alonso e risparmiando analogo provvedimento per una gomitata di Luiz Adriano, assai più meritevole della sanzione.
Forse contribuì anche qualche malinteso con la società avversaria, a quanto pare poco diplomatica nel riconoscere la disponibilità del Bayern a giocare nel suo impianto e in una località al momento non fra le più tranquille.
Fatto sta che un Guardiola livido come non mai rilasciava al termine della gara dichiarazioni quasi sconnesse per la rabbia, e che ruotavano attorno a un refrain insistito: "Allianz Arena, Allianz Arena". Come dire: al ritorno, sul nostro campo, li sbraniamo vivi.
E così fu, con un 7-0 dalle plateali intenzioni punitive.
Col Porto, la gara del "do Dragão" era stata gravemente condizionata dal direttore di gara
Bayern penalizzato anche dall'arbitro: sul primo gol, Jackson Martínez prima commette fallo su Xabi Alonso, quindi cerca platealmente il contatto con Neuer.
Non era rigore, anche a prescindere dalla scorrettezza ai danni del centrocampista basco.
Chi conosce un minimo i bavaresi e il loro infinito orgoglio, non poteva dubitare del fatto che avrebbero affrontato l'avversario con la testa ma anche col sangue agli occhi: rotto l'argine dell'1-0, il resto è venuto come da copione.
L'augurio per qualsiasi avversario è di incontrarli, se proprio non se ne può fare a meno, in finale.
Sulla singola partita possono accusare un calo di tensione, sui 180' rimangono quasi ingiocabili.