Ha studiato il calcio per quarant'anni ed ora lo spiega attraverso i principi di Aristotele, perchè nulla accade per caso neppure un dribbling o un tiro sul palo. E gli episodi che decidono una partita rientrano nella logica costruita dalla ragione. «Il calcio è una scienza esatta» sospira Jota Alves, il maestro di Hernanes, come si legge nell'edizione odierna del Corriere dello Sport. Il suo libro si intitola «Futebol completo com logica», un manuale di analisi tecnica e strategica del calcio, di dimostrazioni pratiche e scientifiche. Hernanes è la figura centrale di questo libro, nonchè l'allievo prediletto di Alves. Non cerca pubblicità questo signore di 66 anni, che nessuno sinora aveva mai intervistato e che il grande pubblico, neppure in Brasile, conosce; è stato professore di educazione fisica e allenatore, un ex allenatore che ha lavorato nel settore giovanile del Tricolor, della Portuguesa, del Corinthians e del Palmeiras. E' un pò il guru di Hernanes, così lo chiamano, in realtà è il suo maestro, uno scienziato del calcio.
Negli ultimi due mesi è stato a Roma, ha visto il Profeta giocare all'Olimpico anche in occasione del derby, è stato fondamentale nel processo di crescita del centrocampista brasiliano; Jota Alves rappresenta per Hernanes una fonte di apprendimento, un amico, un fratello maggiore a cui chiedere un consiglio, così da dieci anni. Attraverso lo studio del «Futebol completo com logica», forza di volontà e conoscenza applicata all’esperienza sul campo, hanno permesso ad Hernanes di migliorare tantissimo negli ultimi anni.
Perché parla e parte da Aristotele?
«Conta la logica di Aristotele, che risponde a qualsiasi domanda della mente umana. Che cosa, dove, quando, come, perchè, per cosa. Quando rispondi a queste domande hai una spiegazione per tutto, la mente umana non può andare oltre. Lo stesso sistema viene applicato al calcio. Le categorie di Aristotele servono per conoscere qualsiasi cosa dell’universo e tutto su quella cosa. Una conoscenza empirica. Aristotele è stato il primo filosofo a parlare dei principi della mente umana. Kant è stato il secondo. Rotilde è un contemporaneo, un filosofo brasiliano, che ha studiato i principi universali e come si mettono in pratica».
Che c’entra Aristotele con il calcio?
«Il calcio è una scienza esatta. Prima di scrivere, dovreste capire. La sintesi? Impossibile. Io sono per l’analisi. Amo questo sport, l’ho compreso sotto una forma scientifica. Ci sono voluti quarant’anni di studio».
Cosa sta studiando?
«La comunicazione tra giocatori attraverso le mani. Ci sono dei sistemi».
Da quanto tempo conosce Hernanes? E da quanto lo segue da vicino?
«Sono tre anni che lavoriamo insieme. Ho conosciuto Hernanes molto tempo prima di cominciare a lavorarci. Me ne parlava Gildo, il suo primo procuratore. L’ho visto giocare per la prima volta dieci anni fa, aveva sedici anni, non era ancora entrato nel settore giovanile del San Paolo. Stava facendo tanti provini in giro per la città, era stato anche al Corinthians e al Palmeiras, non aveva una squadra. Gildo, però, aveva compreso il suo talento e me ne parlava spesso. Andai a vederlo».
E poi cosa è successo?
«Non ho cominciato subito a lavorare con Hernanes. Parlavamo molto, ogni volta che mi vedeva e mi incontrava non perdeva l’occasione per farmi tante domande. Lo vedevo interessato, mi stimolava. Voleva crescere, migliorare. E’ sempre stato così. Ho cominciato a seguirlo da vicino soltanto in tempi più recenti, tre anni fa, quando era già nella prima squadra del San Paolo».
Si può dire che sia stato Hernanes a cercare lei e non il contrario?
«Sì, è vero. S’era incuriosito, aveva sentito parlare di me non solo da Gildo ma da alcuni suoi amici. Ragazzi che giocavano a San Paolo e che avevo allenato. E’ stato lui ad avvicinarsi».
Ma in fretta è diventato quello che lei ha definito il suo miglior allievo?
«Giusto. E’ impossibile trovare un giocatore con tanto interesse e che dimostri una volontà feroce nel migliorarsi. Sotto questo punto di vista, Hernanes ha già dimostrato di essere il migliore. Non esistono altri giocatori che conoscano la materia e il mio libro come lui. Ecco perché dico che non c’è atleta migliore di Hernanes, con la stessa voglia di apprendere, di studiare e di conoscere il calcio».
S’è sentito parlare del suo libro, ma non è ancora uscito. Perché?
«Non si trova perché non verrà mai pubblicato, non andrà in libreria. Non ho intenzione di pubblicarlo. E’ solo per me. Se qualcuno lo merita o ha voglia di studiarlo, glielo regalerò. Ma deve dimostrare di meritarlo come ha fatto Hernanes. Ho lasciato tutto nella vita per scrivere questa opera. Ho cominciato nel ‘68 a buttare giù le prime idee, poi è diventato un impegno costante. Non voglio, non cerco pubblicità. Infatti non ne avevo mai parlato sino a questo momento, è la prima intervista che faccio. Da quando sono a Roma non ho pensato ad altro che al libro e ad Hernanes. Neppure ho visto il Colosseo, non ho visto la città».
Perché ha deciso di parlarne?
«Ho deciso adesso perché è il momento di Hernanes, è il mio momento. Era un’opportunità, si sono verificati una serie di eventi e di circostanze positive, questo era il momento giusto per parlarne. Come dicevo prima, non ho bisogno e non cerco pubblicità. Ma attraverso il mio lavoro e la crescita, la testimonianza di Hernanes, spero di lasciare un segno, scavare uno spazio libero per fare in modo che le persone, gli addetti ai lavori, comincino a rendersi conto degli errori che ci sono nel mondo del calcio. Tecnica, strategia, preparazione fisica. Ci sono errori dappertutto e tutto ritorna ai principi di Aristotele. Così si può comprendere meglio questo sport».
Quali sono gli errori del calcio e chi lo studia cosa deve capire?
«Bisogna credere che sia una scienza. Non credere che l’uomo possa fare cose perfette significa non credere nella logica e nei suoi principi. Le cose non accadono per caso, anche un dribbling o un tiro hanno una spiegazione. Si può giocare un calcio perfetto, completo. Si gioca con la palla, si gioca senza palla, si gioca con forza, con intelligenza, con strategia. Ci sono tanti aspetti da studiare e su cui si può lavorare per arrivare al calcio completo».
Andiamo nello specifico. Ci può fare un esempio pratico?
«Prendete per esempio l’analisi scientifica del dribbling. C’è da calcolare la distanza tra l’attaccante e il difensore, le carattestiche fisiche dei due giocatori che si contrastano, il tempo di uscita. Ci sono tre fasi del dribbling. Anche in questa situazione tutto si rifa sempre alle domande iniziali, ai principi di Aristotele. Quando, dove, come».
Perché allora nel calcio si parla spesso soltanto di tattica?
«Che cos’è la tattica? Tutti parlano senza conoscere il calcio e la sua terminologia, sanno come si gioca oggi, ma pensano che la tattica corrisponda al modulo e alla disposizione dei giocatori, oppure non capiscono il concetto di marcatura. Non esiste un solo modo di marcare un attaccante e che sia valido per tutti i giocatori. Molti allenatori credono e dicono ai propri difensori di cercare l’anticipo mettendosi con il corpo in un certo modo piuttosto che in un altro. Non è così. E’ importante difendere in modo efficace. E il modo dipende da tanti fattori, dalla velocità, dalle caratteristiche fisiche. E’ ovvio che non farei mai marcare Messi da un difensore alto un metro e 90. Ci vuole una ricerca approfondita sugli avversari. Nel mio libro si parla anche di biomeccanica».
Il calcio l’ha solo studiato oppure l’ha anche giocato?
«L’ho praticato in modo scientifico. Rispondo così. Nell’introduzione del mio libro scrivo che il calcio è lo sport più giocato nel mondo, ma è conosciuto e praticato in forma non scientifica, perché gli autodidatti che si propongono di insegnarlo non possiedono la conoscenza pura e i principi per metterlo in pratica. La mia proposta parla di un calcio completo, strategico».
Da cosa nasce questa proposta?
«Non sono io a voler proporre questo tipo di calcio, è la stessa strategia che chiede sia fatto. Prendete per esempio un’azione due contro uno con il pallone al portiere. Se ho quattro giocatori in difesa, due centrali e due terzini, e sono il portiere posso giocarla con la mia linea difensiva. Se rimetto in gioco calciando lontano, è possibile che io perda il pallone, perché lo tiro in una zona di campo dove non ci sono miei compagni o sono in inferiorità. E’ la strategia a chiedere di giocare il pallone più vicino. Sarebbe il contrario se accanto non ci fosse nessuno dei miei compagni e fossero tutti nell’altra metà campo. Servirebbe il lancio lungo. Se fossero 4 giocatori contro 4 la strategia sarebbe diversa. Ma questo tutto gli allenatori lo sanno. Era un esempio pratico per contestualizzare come nascono le strategie e qual è sul campo la cosa migliore da fare con il pallone».
Qual è la prima cosa che Hernanes ha imparato da lei?
«La marcatura. Nel San Paolo giocava centrocampista centrale, aveva bisogno di apprendere la tecnica adatta per marcare gli avversari. Hernanes è cresciuto tanto. E’ un giocatore diverso dopo aver studiato, è in continuo progresso. Giocare indietro, in posizione arretrata, è più facile. Giocare in attacco è più difficile. Ha imparato da solo a tirare, era destro, il papà lo allenava a calciare anche con il sinistro. Si è esercitato così tanto che ora non sa più se considerarsi destro o mancino».
Com’era Hernanes da ragazzo?
«Credeva di essere lento. Non aveva una grande capacità motoria, ma questo non significa essere lenti. Ci sono tanti altri fattori che un giocatore può sfruttare per non considerarsi lento. La prima cosa è la percezione. Poi l’osservazione. Vedere. Anticipare. Decidere. Reagire. Agire. Questi sono gli aspetti da allenare e che permettono ad un calciatore di velocizzare il suo gioco. Agire, toccare il pallone, spesso è l’ultima cosa per un calciatore. Se hai anticipato l’azione o il tuo avversario, la velocità conta meno».
Come si migliora?
«Studiando molto, applicandosi. Ai tempi del settore giovanile, Hernanes era lento, non riusciva a emergere. Aveva cominciato a giocare a 14 anni con il calcetto, era forte nel dribbling e nel tiro, questo gli bastava. Sul campo di calcio, invece, bisogna pedalare. Era lento e non riusciva a entrare nel gioco del San Paolo. Poi ha trovato il modo per diventare più veloce. Correva in modo sbagliato, ma nessuno gli diceva dove stava sbagliando. Ho preso un dvd. Gliel’ho dato e gli ho detto: “Guarda, questi sono gli uomini più veloci del mondo, studiali, vedrai come si vola su una pista di atletica leggera”. Quel dvd e gli esercizi gli hanno fatto capire qual era il modo giusto di correre. Dentro quel dvd c’erano le immagini di Usain Bolt, di Asafa Powell, di Ben Johnson, di Carl Lewis. Se si vuole, si migliora. Non c’entrano solo i muscoli, conta il sistema nervoso, la volontà, la voglia di apprendere. Hernanes, sotto questo punto di vista, è un esempio».
Dove arriverà Hernanes?
«L’Hernanes che vedete oggi non è quello di ieri. E l’Hernanes del futuro, quello che vedrete domani, non sarà lo stesso di oggi. Hernanes continuerà a migliorare con il passare del tempo, continuerà a crescere. Non è ancora al top. Negli ultimi mesi, per esempio, ha incrementato la velocità e ha acquistato la capacità di cambiare velocità durante la corsa»
In questo momento, su quale aspetto vi siete concentrati?
«Stiamo cercando di perfezionare il lavoro. Prima usciva bene in dribbling da una parte e mancava sull’altro lato, è riuscito a rendere armoniosi i suoi movimenti nel gioco per dribblare in modo indifferente in tutte e due le direzioni. Ora deve completarsi nel gioco, variarlo di più. In una partita l’ho visto andare soltanto a sinistra e gli ho chiesto: “Perché non sei mai andato a destra?“. Hernanes oggi lavora su tutti i fondamentali».
Come lo segue e in cosa consiste il suo lavoro con il Profeta?
«Sono il marcatore più difficile da saltare per Hernanes. Oggi è un lavoro prevalentemente teorico, mentale, di studio. Guardo tutte le sue partite in televisione, anche quando sono in Brasile, le vedo anche più di una volta, poi le rivediamo insieme, ne parliamo. Quando siamo insieme, parliamo di calcio tutto il giorno. Ai tempi del San Paolo, facevamo anche degli allenamenti individuali, adesso no, non c’è più bisogno. Ma lui continua a studiare, a farmi delle domande. In Brasile si trattava di un lavoro sul campo, di un addestramento specifico, di impostazione. Giocava volante, davanti alla difesa, doveva lavorare di più sulla marcatura. Alla Lazio ha cambiato modo di giocare e posizione, ha studiato la parte offensiva, ora guarda il campo da un’altra prospettiva».
Hernanes è uno studente-modello?
«Non sono io che lo stimolo, è lui che stimola me. Mi chiede, lo aiuto. Hernanes ha la volontà, io possiedo e cerco di trasmettergli la conoscenza».
Cosa sogna per Hernanes?
«Sogno che riesca a vincere il titolo di giocatore migliore del mondo. Anzi, mi correggo. Vorrei che diventasse il giocatore più completo del mondo».
Chi è stato il giocatore più completo del mondo nella storia del calcio?
«Non so se è esistito. Dovrebbe essere uno che sa attaccare, sa difendere e fare gol. Potrei dire Pelé, ma tutto il mondo sapeva che era destro. Ha segnato tantissimi gol in carriera, ma faceva tutto da solo e usava poco il sinistro. Il gol è un aspetto importante del calcio, ma non è l’unico e non potrei definire Pelé il più completo. Forse un giocatore completo non c’è mai stato nella storia del calcio».
Ci può descrivere il prototipo di giocatore completo?
«Vi faccio leggere una pagina del mio libro. Il giocatore completo sarà quello in grado di giocare 45 minuti sulla fascia sinistra come se fosse mancino e 45 minuti sulla fascia destra come se fosse destro. Sarà quello in grado di giocare alla perfezione 45 minuti da difensore e 45 minuti da attaccante, sapendo adattarsi a qualsiasi posizione. Trovarsi sul lato destro o sul lato sinistro del campo per lui non farà differenza. La velocità d’esecuzione è una delle caratteristiche fondamentali per raggiungere l’obiettivo perché è un fattore determinante sia nelle tecniche difensive, sia nelle tecniche offensive. Sarà possibile sapere se il giocatore completo sia destro o mancino, difensore o attaccante, soltanto se sarà lui stesso a svelarlo, perché avrà raggiunto un’armonia dei movimenti e del controllo del suo corpo tale da non mostrare differenze. Solo lui conoscerà la risposta».
Hernanes a che punto è in questa evoluzione?
«In Brasile è successo che gli abbiano chiesto se è destro o sinistro. La risposta del Profeta non c’è: si considera mancino quando tira di sinistro...»
lalaziosiamonoi.it
Ci ho parlato diverso tempo insieme a Hernanes.
Concetti interessanti,ma che non mi trovano per niente d'accordo.
Porprio per esempi pratici che mi ha fatto,robba da far rabbrividire. Non li dico pubblicamente per rispetto....