Si commenta da solo.......1- VENDUTA PER 42 MILIONI, L'AFFARE PER ORA LO HA FATTO ZIO TOM
Luca Valdiserri per il Corriere della Sera
Silvio Berlusconi, che si autodefinisce il più vincente presidente della storia, e il presidente della Lazio, Claudio Lotito, hanno salutato l'arrivo di Thomas R. DiBenedetto, nuovo «collega» alla guida della Roma, primo investitore straniero della serie A. Berlusconi l'ha avvisato che con il calcio, in Italia, non si guadagnano soldi ma si perdono. Lotito ha detto: «Adesso tutti esaltano lo zio Tom, ma anche lui non può portare più soldi di quelli che ha. Dovrà aumentare i ricavi dalle attività commerciali sostenute dai tifosi. Il problema è che se lo faccio io, passo per tirchio. Ma ormai i presidenti sono costretti a pensarla tutti comeme» .
La cordata americana non è composta da mecenati: sono uomini d'affari e vogliono che la Roma produca utili. È possibile? Il contratto preliminare per il passaggio di proprietà del pacchetto di maggioranza (67%, valore 70,3 milioni) è stato firmato negli uffici di uno studio legale di 13 piani e con 600 dipendenti. Un particolare che dà l'idea del genere di affari che trattano DiBenedetto e soci.
Perché, allora, nel comunicato congiunto trova spazio un prestito di 40 milioni così congegnato? «L'efficacia del contratto di compravendita è subordinata... alla concessione ad As Roma da parte di Roma 2000 di un vendor loan, della durata di 10 anni e dell'importo di 10 milioni di euro (reinvestendo in pratica una parte della somma della vendita; ndr) e alla sottoscrizione da parte di As Roma di un accordo di finanziamento con Unicredit, della durata di 5 anni e dell'importo di 30 milioni di euro» .
Possibile che chi compra la Roma abbia già bisogno di un prestito della banca? Unicredit ha in pratica rimodulato l'esposizione, visto che la Roma stava erodendo flussi di denaro futuri (contratti tv e di sponsorizzazione) in un'ottica di brevissimo periodo. Ora, con il finanziamento e con la prima ricapitalizzazione entro il 2011 (35 milioni), ci saranno 75 milioni di nuova finanza per fare mercato, pagare stipendi e spese vive, iscrivere la squadra al campionato facendola rientrare nei parametri, dare ossigeno a una programmazione di ampio respiro.
Unicredit scommette sul suo 40% e, anche se per ora gli americani hanno portato più idee che soldi, non c'era altra strada. Il piano industriale ha convinto Unicredit che c'è un futuro e la Roma era in una situazione pre-fallimentare. Nei giorni scorsi il 63% dell'Arsenal è finito nelle mani del magnate americano Stan Kroenke per una cifra vicina ai 450 milioni di sterline (501 milioni di euro). I quattro investitori americani, per ora, metteranno circa 10,5 milioni a testa, in attesa dell'Opa, le due ricapitalizzazioni e il calciomercato da finanziare.
È tanto? È poco? La risposta è diversa: è il massimo che si potesse fare. Ora, però, comincia il difficile. La squadra battuta ieri in casa dal Palermo ha quasi azzerato le sue speranze di quarto posto, messo in crisi le speranze di Montella di una riconferma ma indebolito anche Gian Paolo Montali, direttore operativo che doveva essere il «motivatore» per questo finale di stagione.
Di-Benedetto non ha visto la partita, stava trasferendosi da Boston a Fort Myers, in Florida. Forse è stato meglio così. Avrebbe maledetto anche lui Vucinic, che lo emozionò segnando contro l'Inter nella prima partita che lo zio Tom vide dal vivo all'Olimpico, ma che ieri non ha saputo mandare in gol un pallone a porta vuota. La stessa porta. Ma tanto è cambiato da allora e tanto, tantissimo, cambierà presto. Della Roma di ieri, nessuno è più sicuro del posto. Anzi, uno sì: Totti.
2- «FARANNO BUSINESS SUL MARCHIO SE NON RIESCONO, SE NE ANDRANNO»
Alessandro Capponi per il Corriere della Sera
«Cosa significano il giallo e il rosso per noi americani? Ketchup e senape. Ma è evidente che, al di là dell'aspetto sportivo, Di-Benedetto vuole tirare fuori soldi da altro. Sfruttando il brand. Forse abbinando la bandiera alla lupa capitolina. È difficile immaginare cosa voglia farne, forse negli Stati Uniti aprirà delle trattorie ‘‘Forza Roma''» .
Dennis Redmont è uomo spiritoso, oltre che conoscitore di business: dopo gli studi a Parigi è stato per venticinque anni il direttore dell'Associated Press per il Mediterraneo, ora è il responsabile della comunicazione del Consiglio delle relazioni Italia-Usa, cioè il salotto buono del mondo degli affari tra statunitensi e italiani. Inviato in 80 paesi, tra le sue mille attività ce n'è anche una ludica: ha adattato in italiano le domande del Trivial Pursuit, il famoso gioco da tavolo, e ha fatto «mettere molte domande sulla Roma, io sono qui da trent'anni, sono affetto dal morbo del tifo romanista...» .
Cosa pensa l'America dell'operazione portata avanti da DiBenedetto?
«L'America si chiede: gli avranno venduto il Brooklyn Bridge? È un nostro modo di dire, significa: gli avranno dato una patacca?» .
Lei cosa ne pensa?
«La vicenda assomiglia a un carciofo alla romana, dopo ogni foglia c'è un sapore diverso. Di certo per voi potrebbe essere un boomerang: perché gli italiani hanno bisogno di investimenti stranieri, e già molti sono andati via. Se qualcosa andasse storto non sarebbe un bel segnale...» .
Arriviamo al cuore del carciofo: prevede sorprese? Sa com'è, i tifosi ora sognano già una squadra a livello Milan...
«I tifosi della Roma sono diffidenti invece, aspettano. Ma io credo che la nuova proprietà cercherà di fare business puntando molto sul brand: se riuscirà, bene. Sennò andrà via. Gli americani si danno un tempo e degli obiettivi, se non si raggiungono...» .
Alla sua prima uscita italiana DiBenedetto s'è presentato con un maglioncino color arancio. Alcuni hanno storto la bocca...
«Hanno sbagliato. In America, per la maggior parte dei ricchi l'abbigliamento non conta. Avete visto come veste Steve Jobs?» .
Dal rapporto tifosi-proprietà cosa s'aspetta?
«Di certo, i soprannomi per DiBenedetto. Io spero che gliene diano uno, che di lui dicano così: santo subito...» .