Autore Topic: Laziomania, Maresca arbitro di basso livello: essere laziali è così  (Letto 238 volte)

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di Luca Capriotti
               
Non ho paura ad ammetterlo, a dirvelo: essere laziale è così. Un mese fa la squadra era un rullo compressore, la Champions pareva una cosa fatta, e ogni cosa girava al posto giusto. Sono bastate due trasferte di Milano, un rinforzino di preparazione, qualche tensione, qualche crepa. E arrivano sconfitte brutte da Torino in poi. E col Lecce rigore contro, poi si va sopra con Immobile, poi un pressing da fermo tra Ciro e Felipe + squadra svogliata e si prende il pari allo scadere del primo tempo. Pareggio che però il Lecce aveva già meritato ampiamente. Essere laziali è così: qualche settimana prima furoreggi a Napoli contro i campioni d’Italia, a metà maggio annaspi contro il Lecce in casa. Essere laziali a volte è così: una specie di ulcera. 

IL SECONDO TEMPO - L’unica cosa che salvo della Lazio è un troncone di secondo tempo. Il secondo gol, palla persa in uscita orrida di Luis Alberto, Milinkovic che non spende un fallo sacrosanto (per l’ennesima volta, sta diventando un maestro Jedi nell’annullare la sua Forza per far passare l’avversario, si smaterializza proprio) e via col secondo gol. Poi Maresca, l’ennesimo arbitro di livello medio basso che ci capita, fa perdere tutto il tempo che si poteva al Lecce (ci sta, gioco delle parti, tanto padre tempo avrà il suo corso), il gioco si spezzetta. La Lazio finalmente ha un sussulto, e sale di tono, va più forte, comincia a far paura per quanto finalmente ci sta provando. Pensate, al 70’ aveva fatto 2 tiri, poi chiude con 6 nello specchio ma 20 tentati. Sale di livello, Pedro fa due magie incredibili (lo stop sulla prima è da rivedere 100 volte, il tiro sulla seconda idem) ma il palo lo ferma. Essere laziali è così: dobbiamo recuperarla per forza, e tutto gira storto. Essere laziali è così, una specie di malavoglia di spegnere tutto, tirare il telecomando, andare via dallo stadio, interpellare chi di dovere, fare la conta di tutti i fallimenti della settimana che trovano eco e riverbero in una partita che sembra maledetta come quella dell’andata. E invece restiamo tutti. Squadra compresa. 

MILINKOVIC SAVIC FINISCE PER TERRA - Partiamo da là: Milinkovic, che fa una prestazione brutta, l’ennesima, comincia con Luis Alberto ad alzare il motore senza benzina, solo nervi, e rabbia e volontà. No forze, solo cuore. Luis Alberto, mente del primo gol, prova ad ispirare, sulla fascia sgasa a dovere Pellegrini (ma lancialo titolare Sarri, ma che fai, lui e Pedro dall’inizio sempre contro il Lecce, perché no, perché gente che va a 2 all’ora, sulla fascia sbagliata, pure tu ti ci metti), la Lazio ci prova. Solo che essere laziale è così: sembra tutto troppo, troppo difficile, troppo in semifinale la Roma, troppi loro, troppo sfigati noi, troppo duro tutto questo, troppo bello il tiro di Pedro e troppo difficile da sopportare lo stonck del palo. Milinkovic Savic, che perfino Kezman ha preteso di dover difendere, ma forse doveva raccoglierlo col cucchiaino, cade a terra a braccia aperte. La nostra immagine, come quando insegue Blin, perché siamo noi arrabbiati, noi che non ci devi far perdere tempo, noi che non ci vediamo più dalla fatica, dalla stagione, da giocano sempre gli stessi, dalle fisse di Sarri e da Marcos Antonio che a contrasto ha la consistenza del sogno Champions, evapora. 

Ma essere laziale è così, è rimanere tutti, fino all’ultimo cross di un impazzito Pedro, teso, forte per fortuna, un suo regalo alla nostra stagione, che mette in crisi tutti, si impenna, essere laziale è il colpo di testa di Milinkovic che sembra troppo lento, troppo telefonato anche se sono tutti fermi, troppo laziale. Quel pallone lo sospingiamo noi con le grida, con le ulcere, con le sacre parole di poca relazione con l’eterno, con la voglia, con i sogni, con i muscoli di una corsa sfinita. Entra. Essere laziale è quel grido isterico. Non so quanto peserà alla fine questo punto, se sarà piccolo o immenso, ma è un macigno che si rotola via dal mio e dal nostro cuore. Essere tifoso di calcio è così, una specie di porta che collega la vita e la settimana ad un rettangolo verde illuminato a giorno, ad un pallone che sembra troppo lento, sconfitto. Ed è un punto che oggi sembra piccolo perché siamo laziali, ci aspettiamo sempre il peggio, ma per come sta messa questa squadra, fragile, sulle gambe, isterica, spompata, derelitta, bella, pazza, per come siamo messi noi fragili, sulle gambe, isterici, spompati, derelitti, belli, pazzi, non sappiamo e non sapremo fino alla fine se sarà grande come quel macigno che un pallone lentissimo ha spostato da un cuore. Essere laziali oggi è così, un cuore liberato da un macigno, un punto di cui non sappiamo nulla, un pallone lentissimo, all’ultimo respiro, che tracima lentamente in rete.

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