Autore Topic: Democrazia, diritto e società: Italia-Norvegia  (Letto 1234 volte)

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Democrazia, diritto e società: Italia-Norvegia
« : Venerdì 22 Aprile 2016, 10:27:08 »
Due casi di giustizia lontani geograficamente e lontani anche quanto a soluzioni adottate. da una parte il riconoscimento di diritti umani per un condannato per strage, dall'altra la negazione degli stessi per un mafioso responsabile di numerosi omicidi, ormai vecchio e malato.


La Voce di New York

I mostri Breivik, Provenzano e i diritti umani
La differenza tra Roma e Oslo nel trattamento dei loro rispettivi "mostri"
Valter Vecellio

Un tribunale norvegese considera il trattamento di Anders Breivik, l'uomo che ha ucciso a sangue freddo settantasette ragazzi, una violazione dei diritti umani malgrado la cella di trentuno metri quadri, TV, palestra, DVD, giochi, libri e giornali. In Italia invece...

i Valter Vecellio - 21 aprile 2016
Ne hanno riferito giornali e televisioni di tutto il mondo. Un tribunale norvegese riconosce come fondate le rivendicazioni di Anders Behring Breivik, nella causa intentata allo Stato per violazione dei diritti umani durante la sua detenzione. Breivik, è l’autore delle stragi di Oslo e Utoya del luglio 2011: settantasette persone inermi uccise e un numero imprecisato di feriti, senza motivo. Una pazzia, senza “se” e senza “ma”. Una corte di giustizia norvegese ha concluso che le condizioni di detenzione di Breivik sono inumane, perché questo pazzo nazistoide è stato tenuto in isolamento per quasi cinque anni. Insistendo sulla durezza della detenzione, l’avvocato di Breivik, Oystein Storrvik ha accusato la Norvegia di violare due disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e parla di trattamenti “inumani” e “degradanti”.
Una disumanità, detto per inciso, che prevede 31 metri quadrati di cella divisi in tre settori: area notte, area studi, area per esercizi fisici; un televisore, un lettore DVD, una console per i giochi, macchina per scrivere, libri, giornali. Poi, certo: si sono inconvenienti, come i caffè serviti freddi, e piatti cucinati secondo standard gastronomici che Breivik definisce “peggiori del waterboarding”. Vien da sorridere vero? Sono strani questi norvegesi?
Andiamo ora in Italia e vediamo il caso di un altro “mostro”: Bernardo Provenzano, soprannominato “Binnu u’ Tratturi” per la violenza e la determinazione con cui ha eliminato i suoi nemici, chiunque gli facesse ombra. Condannato a svariati ergastoli, tutti meritati per una caterva di delitti, “Binnu”, da oltre due anni, giace in un letto del reparto ospedaliero del carcere San Paolo di Milano. Immobile da mesi con il cervello, dicono le perizie, distrutto dall’encefalopatia; si deve nutrire con un sondino naso-gastrico; pesa 45 chili. Ha 83 anni; il suo cuore – si citano sempre le perizie mediche – continua a battere, ma ha perso la cognizione dello spazio e del tempo. In una parola, è un vegetale. Chi lo ha visto, parla di un boss fisicamente irriconoscibile, mentalmente confuso, che non riesce a prendere in mano la cornetta del citofono per parlare con il figlio né riesce a spiegare al figlio l’origine di un’evidente ferita alla testa asserendo prima dice di essere stato vittima di percosse, poi di essere caduto accidentalmente.
La richiesta di differimento della pena sollecitata dal magistrato di sorveglianza dopo che i medici avevano definito incompatibili le condizioni del boss con il carcere, viene respinta dal tribunale di sorveglianza di Milano; respinta anche la subordinata dell’avvocato di Provenzano: lasciarlo in regime di carcerazione nello stesso ospedale, però nel reparto di lunga degenza, invece che in quello del 41bis.
Il no dei giudici, a differenza del passato, non è motivato dalla pericolosità del detenuto, ma dal suo interesse. Si sostiene che “non sussistono i presupposti per il differimento dell’esecuzione della pena, atteso che Provenzano, nonostante le sue gravi e croniche patologie, stia al momento rispondendo ai trattamenti sanitari attualmente praticati che gli stanno garantendo, rispetto ad altre soluzioni ipotizzabili, una maggior probabilità di sopravvivenza”. I giudici sostengono che spostarlo, anche solo per 48 ore, potrebbe essergli fatale; ad ogni modo l’attuale condizione è di “carcerazione astratta”, in altre parole lo tengono lì solo per curarlo.
Nella relazione medica si legge: “Il paziente presenta un grave stato di decadimento cognitivo, trascorre le giornate a letto alternando periodi di sonno a vigilanza. Raramente pronuncia parole di senso compiuto o compie atti elementari se stimolato. L’eloquio, quando presente, è assolutamente incomprensibile. Si ritiene incompatibile col regime carcerario”.
Il primario della V divisione di Medicina Protetta del San Paolo, dottor Rodolfo Casati, nell’ultima relazione con cui Provenzano è dichiarato incapace di partecipare a un processo penale, scrive che il detenuto “è in uno stato clinico gravemente deteriorato dal punto di vista cognitivo, stabile da un punto di vista cardio-respiratorio e neurologico; allettato, totalmente dipendente per ogni atto della vita quotidiana… Alimentazione spontanea impossibile se non attraverso nutrizione enterale. Si ritiene il paziente incompatibile con il regime carcerario. L’assistenza di cui necessita è erogabile solo in struttura sanitaria di lungo-degenza”.
Chissà se queste relazioni siano state lette dal ministro della Giustizia Andrea Orlando o dai suoi collaboratori perché il 24 marzo scorso il ministro ha firmato una proroga del 41-bis nei confronti di Provenzano per altri due anni, e così motivata: “Non risulta essere venuta meno la capacità del detenuto Provenzano Bernardo di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenza, anche in ragione della sua particolare, concreta pericolosità…non sono stati rilevati dati di alcun genere idonei a dimostrare il mutamento né della posizione del Provenzano nei confronti di Cosa nostra, né di Cosa Nostra nei confronti di Provenzano”. Insomma: un capomafia ancora a tutti gli effetti.
Ma questo non è il solo paradosso. Le Procure di Caltanissetta e Firenze confermano l’assenso alla revoca del 41 bis, già espresso nel 2014; la Procura di Palermo invece cambia idea: due anni fa era favorevole al “regime ordinario”, oggi non più. Perché? Nelle sedici pagine del provvedimento ministeriale, si legge: “Seppure ristretto dal 2006, Provenzano è costantemente tuttora destinatario di varie missive dal contenuto ermetico, cui spesso sono allegate immagini religiose e preghiere, che ben possono celare messaggi con la consorteria mafiosa”. Anche la Superprocura è d’accordo al mantenimento del “carcere duro”. Il ministro si è uniformato. Ad ogni modo, delle due, l’una: o Provenzano è un “vegetale”, e non ha senso tenerlo al 41 bis; oppure è tutta una mistificazione, e a questo punto lo si dica.
Infine Alfonso Sabella, magistrato non certo sospettabile di indulgenze vista la sua fama di “cacciatore di mafiosi”, come si intitola un suo libro; si dichiara convinto assertore della validità del “regime” carcerario 41-bis. Proprio per questo, per evitare che “si getti discredito su questo strumento che può servire solo se applicato nei casi necessari… si devono evitare ‘rischi’ come quelli che si stanno correndo con l’insistenza su un ex padrino ormai alla fine”. Provenzano, appunto.
Due “mostri”, Breivik e Provenzano; e la conferma di quanto, pur essendo sempre Europa, Oslo e Roma siano diametralmente lontani.
E per dire: cos’è un diritto umano? I casi di Breivik e di Provenzano ci dicono che il quesito è molto meno ozioso di quanto possa sembrare a prima vista.
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Il vero oggetto della sentenza di Oslo non è Breivik, ma la democrazia
la Repubblica, giovedì 21 aprile 2016
Giancarlo De Cataldo

Anders Breivik è ufficialmente una vittima. I cinque anni di isolamento ai quali è sottoposto il massacratore nazista di 77 civili inermi ledono il suo diritto a un’equa detenzione. I giudici di Oslo hanno applicato l’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, che vieta la tortura e ogni trattamento inumano o degradante. Eppure, Breivik dispone di un appartamento di trentuno metri quadrati con palestra, servizi, televisore e computer. Egli versa in una condizione detentiva che, in molti altri Paesi, sarebbe persino considerata invidiabile. Si potrebbe, dunque, sostenere che si tratta solo di una questione di misura. I giudici norvegesi sono di manica più larga, considerano illecito ciò che altrove è la norma. Così ragionando, il principio fissato dalla Cedu sarebbe salvo, e l’errore andrebbe cercato nella sua applicazione.
Ma la sensazione, nello scorrere i commenti che in queste ore si infittiscono, è che sia proprio il principio a risultare indigesto. Il fatto è che questa vicenda rinfocola l’attualissimo dibattito sul rapporto che avvince sicurezza e pena, repressione e diritti dei condannati. Con l’ulteriore precisazione che si tratta di questioni proprie degli stati democratici, e in particolare di quelli europei: dove regnano dittatori e cacicchi – e anche in qualche grande nazione fuori d’Europa – le questioni criminali si regolano con metodi assai più sbrigativi. È tipico, invece, dell’Europa democratica, il tentativo di uniformarsi a uno standard comune che interpreta in modo multiforme il rapporto fra sicurezza e pena.
Le democrazie europee non ammettono la pena di morte, e in molti casi (inclusa la Norvegia) nemmeno l’ergastolo. Le democrazie europee considerano la pena uno strumento difensivo, secondo la tradizione, ma anche propulsivo, perseguendo, attraverso il trattamento carcerario e le misure alternative alla detenzione, la rieducazione del condannato e il suo reinserimento sociale. È una strada angusta e impopolare, ma è la strada che le democrazie hanno scelto dopo un frastagliato percorso lungo centinaia di anni: inutile, anzi, dannoso infierire sul corpo del prigioniero, se il fine è il suo riscatto.
Ma Breivik è un’altra storia. Non si può, con Breivik, spendere l’argomento della “pena dolce” come strumento di rieducazione, perché Breivik non è pentito, non ha chiesto perdono, ha rivendicato i suoi crimini. Breivik è un assassino protervo che non aspira a nessuna rieducazione. Breivik è, a tutti gli effetti, un indifendibile nemico della democrazia. Perché, allora, la democrazia, invece di trattarlo coi guanti, non si limita a difendere sé stessa da uno come lui? Sul web intervengono, in queste ore, cittadini esasperati: Breivik porta alla luce il lato oscuro della democrazia. O quello stupido. Ma i giudici di Oslo non sono né oscuri né stupidi. Essi hanno giudicato Breivik ignorando consapevolmente chi è Breivik. Lo hanno spersonalizzato. Era ciò che chiedeva loro la legge, e si sono doverosamente adeguati. Davanti a loro è comparso un individuo che, qualunque fosse stato il suo passato, lamentava una condizione del suo presente. L’hanno esaminata, questa condizione, e hanno deciso che era illegale. Si sono assunti la responsabilità di una decisione che è parsa a tanti bizzarra, persino sconsiderata. E l’hanno adottata nel pieno rispetto della legge. È in questa spersonalizzazione che risiede il valore più alto della decisione dei giudici di Oslo. Breivik, da un lato, perde la sua qualifica di “mostro”, e i giudici decidono liberi dalla valutazione morale che, c’è da immaginare, dentro di sé avvertivano acuta e dolorosa. Dall’altro lato, la sentenza finisce per non riguardare più Breivik, che del resto si è mostrato indifferente alla giustizia nel suo complesso. No. Il vero oggetto di questa sentenza è la democrazia stessa.
A Olso è stata riaffermata, contro ogni clamore, la validità del principio universale che vieta di trattare in modo inumano anche il peggior prodotto dell’evoluzione della specie umana. Ed è su principi come questo che si sono costruite le democrazie: dando ragione a Breivik, in definitiva, la democrazia non solo si è difesa da Breivik, ma ha riaffermato la sua signoria.


un uomo di una certà mi offriva sempre olio canforato, spero che ritorni presto l'era del cinghiale biancoazzurro
STURM UND DRANG
Ganhar ou perder, mas sempre com democracia

Offline Skorpius

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Re:Democrazia, diritto e società: Italia-Norvegia
« Risposta #1 : Venerdì 22 Aprile 2016, 11:50:29 »
Ma perché si usa la parola democrazia come se fosse un sinonimo di "progresso" o cultura o civilta' o umanita' o giustizia o qualsiasi aggettivo positivo? La democrazia è un mezzo, uno strumento!
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

Offline Frusta

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Re:Democrazia, diritto e società: Italia-Norvegia
« Risposta #2 : Venerdì 22 Aprile 2016, 12:04:05 »
Summum ius summa iniuria.
Dato che il conflitto a fuoco mette tutti d'accordo, per me Breivik invece che catturato andava eliminato il giorno stesso della strage.
E non per vendetta o per giustizia: per igiene, ora non ne parleremmo più.
P.s.
E per Provenzano idem.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.