Autore Topic: 24 aprile 1915  (Letto 6545 volte)

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CP 4.0

Re:24 aprile 1915
« Risposta #20 : Martedì 28 Aprile 2015, 07:41:09 »
visto che siamo sempre capaci di parlare di atrocita' e diritti umani, e il quesito sul perche' si parla oppure no, chissa' se non si potra' cominciare da qui http://www.balcanicaucaso.org/aree/Azerbaijan/Giro-di-vite-sui-diritti-umani-in-Azerbaijan-155040

ThomasDoll

Re:24 aprile 1915
« Risposta #21 : Martedì 28 Aprile 2015, 08:32:27 »
Ringrazio Er Matador per il bell'approfondimento, che mi piace di più perché racconta di un'Italia che so esistere e della grandezza di Venezia che ci dovrebbe rendere tutti orgogliosi. Quell'area del mondo (non so come definirla compiutamente) dall'Anatolia al Caucaso, alla Mesopotamia, giù giù fino all'Afghanistan, è affascinante, sarà perché in qualche modo è la culla della civiltà. Il fatto che non trovi pace è una pena. Gli armeni a pelle mi piacciono molto, mi sono anche concesso, crapulone al solito, un paio di sontuosi ristorantelli, in Francia, dai quali sono uscito soddisfattissimo. Consiglio vivamente i Manti, raviolini di carne buonissimi, li ho mangiati una volta in brodo con lo yogurt, ancora mi lecco la ciotola.

Offline cartesio

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #22 : Martedì 28 Aprile 2015, 11:28:30 »
Che hai fregato al ristorante. Ci facciamo sempre riconoscere, ci facciamo!
e ffforza lazzzio

Ai nostri giorni si può scegliere la propria religione, Hadouch, ma non la propria tribù. D. Pennac, La Prosivendola.

Offline cartesio

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #23 : Martedì 28 Aprile 2015, 11:44:36 »
A proposito di quanto scrive Er Matador, ho trovato una pagina interessante.

http://www.italiarmenia.it/sito/index.php?option=com_content&id=46&Itemid=11&limitstart=9
e ffforza lazzzio

Ai nostri giorni si può scegliere la propria religione, Hadouch, ma non la propria tribù. D. Pennac, La Prosivendola.

Offline Er Matador

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #24 : Martedì 28 Aprile 2015, 14:07:56 »
Siamo vittime di una propaganda di cui dovremmo vergognarci: l'unità d'Italia fatta di eroi in camicia rossa e di tricolori sventolati da intrepidi patriori liberatori di popoli oppressi e via strombazzando è una miserabile menzogna.
Fu guerra di conquista, fu aggressione, atrocità e annientamento di popolazioni intere. Un milione di morti, o forse più, ammazzati due volte: la prima dai fucili dei "liberatori", la seconda dal negazionismo e dalle bugie ripetute fino a farle diventare verità stampate sui libri di storia. Scritti dai vincitori, come sempre.
Ti seguo brevemende in questo OT, lasciando alla moderazione l'eventuale scelta di spostare altrove.
Nel caso di Pontelandolfo, che hai citato in precedenza, le stragi sono due.
La prima è quella compiuta ai danni di 41 soldati piemontesi entrati nel Paese - a detta dello stesso sindaco - a bandiera bianca alzata e per chiedere viveri: turisti, più che militari.
Li trovarono letteralmente fatti a pezzi, con teste mozze infilzate e piacevolezze del genere.
Piccolo particolare: la proposta di metterli a morte partì da individui propriamente identificabili come briganti, ma trovò cospicuo appoggio nelle genti di Pontelandolfo, Casalduni e Campolattaro.
Nella reazione delle truppe sabaude, un elemento può essere isolato con nitidezza: ai soldati era stato impartito esplicito ordine di risparmiare le donne, e non andò esattamente così.
Quello è un crimine di guerra, senza se e senza ma: il resto?
Stabilita la colpa, insita in ogni rappresaglia, di aver sparato nel mucchio coinvolgendo persone individualmente lontanissime da certe posizioni: come avrebbero dovuto reagire di fronte all'operato di siffatti galantuomini, ma soprattutto di fronte all'atteggiamento delle popolazioni locali?
Secondo aspetto: da come ne parli, sembra che un'unificazione realizzata in quel modo sia una peculiarità italica.
Fra i Paesi con cui abitualmente ci confrontiamo, solo la Germania mise ordine nella litigiosità della Confederazione del Reno senza passare come un rullo compressore sulle realtà locali.
Lo Stato francese nasce invece dall'imposizione di Parigi su realtà regionali diversissime per tradizioni e orientamento geoculturale, la società francese dall'imposizione della borghesia sul mondo rurale: e in entrambi i casi con una violenza, una metodicità coercitiva, uno sradicamento, una dispersione di culture locali imparagonabili a quanto accaduto dalle nostre parti.
Il territorio dell'attuale Regno Unito ospitava una miriade di realtà linguistiche: sopravvivono nell'uso reale l'inglese e poco più, come nel Sudamerica dei Conquistadores sopravvivono il castigliano, il portoghese e poco più.
La stessa Spagna non mi sembra l'esito di una Festa dell'Amicizia tra catalani, baschi e compagnia cantante.
E non mi sembra che la critica verso certi processi di assimilazione forzata sia molto più avanti rispetto a quanto accade da noi, anzi.
Di peculiare e italico c'è, casomai, un altro aspetto: che tutto - dai "buchi" nella memoria collettiva, al tentativo di riempirli, alla Ragion di Stato quando fa la sua timida comparsa - risponde a interessi di parte nel senso peggiore del termine.
Nulla che possa essere definito, sia pure approssimativamente, "nazionale".

Offline Breizh

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #25 : Martedì 28 Aprile 2015, 14:29:52 »
Lo Stato francese nasce invece dall'imposizione di Parigi su realtà regionali diversissime per tradizioni e orientamento geoculturale, la società francese dall'imposizione della borghesia sul mondo rurale: e in entrambi i casi con una violenza, una metodicità coercitiva, uno sradicamento, una dispersione di culture locali imparagonabili a quanto accaduto dalle nostre parti.
Imposizione che ha fatto sparire o rendere estremamente marginali (e comunque abbastanza malviste) specificità culturali e linguistiche come l'Occitania, la Bretagna, la Corsica, per limitarmi a quelle che conosco meglio.
L'annessione dei territori al sud della Loira, nel XIII secolo, è stata di una violenza inaudita anche per quei tempi (si parla infatti di crociata contro gli Albigesi), perpetrata da cristiani su cristiani, con la benedizione papale.
Nel caso dei Bretoni, si potrebbe parlare di vero e proprio genocidio studiato a tavolino ed eseguito durante la I Guerra Mondiale, selezionando e mandando allo sbaraglio in prima linea i battaglioni composti da chi non aveva il francese ma il bretone come lingua materna. Di statistiche ufficiali non ce ne sono mai state ma la Bretagna è stata letteralmente dissanguata dalle perdite al fronte. I Francesi, ora e come al loro solito, vanno a guardare la pagliuzza nell'occhio altrui per passare per i paladini della giustizia mondiale...

Offline Er Matador

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #26 : Martedì 28 Aprile 2015, 14:45:16 »
Ringrazio Er Matador per il bell'approfondimento, che mi piace di più perché racconta di un'Italia che so esistere e della grandezza di Venezia che ci dovrebbe rendere tutti orgogliosi. Quell'area del mondo (non so come definirla compiutamente) dall'Anatolia al Caucaso, alla Mesopotamia, giù giù fino all'Afghanistan, è affascinante, sarà perché in qualche modo è la culla della civiltà. Il fatto che non trovi pace è una pena. Gli armeni a pelle mi piacciono molto, mi sono anche concesso, crapulone al solito, un paio di sontuosi ristorantelli, in Francia, dai quali sono uscito soddisfattissimo. Consiglio vivamente i Manti, raviolini di carne buonissimi, li ho mangiati una volta in brodo con lo yogurt, ancora mi lecco la ciotola.
In effetti non è facile inquadrarla in un'unica definizione geografica, anche perché si tratta di comprensori con storie e vocazioni geografiche diverse.
Ah, dovessero identificare una sindrome che porta a collegare qualsiasi argomento a gastronomia, vino e calcio, mi sa che frequenteremo lo stesso medico. ;)
Il manti l'ho assaggiato anch'io ad Assos, costa micrasiatica proprio di fronte a Lesbo e un panorama a picco sul mare ai confini della realtà.
Una fra le tante meraviglie di una cucina fra le più gustose e salubri, nonché direttamente confrontabile alla nostra: perché nasce da un tradizionale, spontaneo, diffuso, quasi inconsapevole buon gusto, non dalla valorizzazione a tavolino di una tradizione "alta".
Cucina turca, viene definita. In realtà esito di una complessissima koinè, nella quale il contributo armeno è fra i più cospicui in virtù di due plusvalori.
Uno è il carattere fortemente stanziale di quel popolo, che anche quando è stato spostato di peso dalla necessità o dalla forza ha riproposto altrove la propensione a mettere radici: il che li ha portati a stabilire un legame forte col territorio e a valorizzarlo sotto vari aspetti, incluso questo.
L'altro è la loro innata sensibilità per gli aromi e i profumi in genere.
Basta pensare al baclava, dessert che diventa facilmente stucchevole per la presenza di sciroppo di zucchero, miele e chi più ne ha più ne metta.
Quello greco, la cui ricetta si è stabilizzata in assenza delle troppo costose e poco reperibili spezie, risulta problematico in tal senso per il nostro palato.
Ne esistono un'infinità di versioni: ma nessuno come loro, dosando sapientemente cannella e altri aromi, arriva a un equilibrio così raffinato e difficile da raggiungere.
A proposito, e per ricordare che la Storia armena è piena di drammi ma anche di tanta vita: conoscete qualche ristorante che sappia riproporre in Italia sapori del genere?

Offline Frusta

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #27 : Martedì 28 Aprile 2015, 18:30:14 »
La prima è quella compiuta ai danni di 41 soldati piemontesi entrati nel Paese - a detta dello stesso sindaco - a bandiera bianca alzata e per chiedere viveri: turisti, più che militari.
Li trovarono letteralmente fatti a pezzi, con teste mozze infilzate e piacevolezze del genere.
Questo ci fa capire come erano visti dalle popolazioni locali i "liberatori" piemontesi: un esercito invasore che trattava come bestie da macello chiunque non volesse venir "liberato".
Non si fidavano di quei "turisti" in bandiera bianca, sapendo di cosa erano capaci.
Li hanno fatti a pezzi, certo, del resto sappiamo benissimo dove può arrivare la ferocia di un popolo stuprato, i nativi americani scotennavano e legavano i bianchi al palo di tortura, no? E sappiamo pure cosa furono capaci di fare gli abissini sui prigionieri italiani che erano andati a "liberarli" non si sa bene da che.
Sarebbero stati così feroci gli indiani, i terroni o gli abissini se nessuno fosse andaro a rompergli i coglioni a casa loro?
Gramsci scrisse: "Lo stato italiano, leggasi sabaudo, è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti..."
Craro Matador, se ci mettessimo ad elencare nome per nome i paesi a sud del Garigliano distrutti e mai più ricostruiti, gli stupri di massa documentati, le baionette affondate nel ventre delle donne incinte "perché mogli di briganti" (del resto la Legge Pica era una sorta di licenza di uccidere) le deportazioni eccetera, altro che O.T. finiremmo...

P.s.
Con un po' di pazienza penso si possa trovare in rete il manoscritto che Garibaldi inviò al notaio Gaetano Cattaneo in cui rivela il suo pentimento, considerate le atrocità dei fatti, riguardo all'epopea che è finita falsamente prima ancora che retoricamente sui libri di storia nel modo in cui sappiamo.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

ThomasDoll

Re:24 aprile 1915
« Risposta #28 : Martedì 28 Aprile 2015, 22:21:13 »
stasera su Rai Storia c'era un bello speciale sul genocidio armeno, ospite Marcello Flores, il nostro massimo esperto (nonché amico del sottoscritto)

Offline Er Matador

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Re:24 aprile 1915
« Risposta #29 : Martedì 19 Maggio 2015, 22:26:10 »
Riporto in alto questo topic, anziché aprirne  uno nuovo, poiché la vicenda di cui mi accingo a parlare è strettamente collegata a quanto detto sinora.
A partire da una domanda: le vittime del Metz Yeghern furono perseguitate in quanto armene o in quanto cristiane?
Il particolare e specifico accanimento nell’eradicare l’elemento armeno, comprese le sue testimonianze storiche, dimostra la fondatezza della prima ipotesi.
La contestuale eliminazione delle altre comunità appartenenti a varie confessioni cristiane certifica la coesistenza fra le due motivazioni.
Altre comunità, appunto: perché la pur immane tragedia degli Armeni, che inizia faticosamente a ottenere il meritato riconoscimento, è solo una parte dell'atroce progetto secondo cui «la Turchia appartiene ai Turchi».

In fondo alla fila di chi attende giustizia si trovano probabilmente i rappresentanti delle Chiese assira, ortodossa siriaca, cattolica sira e cattolica caldea, la cui vicenda viene unificata nella definizione di «genocidio assiro».
Coi consueti metodi di deportazione ed eliminazione a mezzo fucilazioni, stenti e malattie, da Van e dalle regioni dell'Anatolia sud-orientale al confine con gli attuali Siria e Iran scomparvero centinaia di migliaia di persone: il numero esatto delle vittime è tuttora imprecisato, causa anche lo scarsissimo interesse sin qui riservato a questo orribile capitolo di Storia.

In parallelo alla risoluzione del «problema armeno», come lo definivano i Giovani Turchi, veniva pianificata anche quella del «problema greco».
Al riguardo si cita il Trattato di Losanna del 1923, che sanciva lo scambio di popolazioni non direttamente fra Greci e Turchi ma - in omaggio alla vecchia organizzazione dell'Impero Ottomano in comunità religiose, dette millet - fra musulmani rimasti in Grecia e cristiani rimasti in Turchia.
A prendere la via del ritorno in una molto teorica Madrepatria, e di fatto quella dell'esilio, furono oltre un milione di persone: che però rappresentavano solo una parte - grossomodo un quinto o un sesto - delle comunità elleniche e/o ellenofone radicate in Anatolia. Gli altri?
Pur considerando il flusso migratorio verso i Paesi viciniori e verso gli Usa, dove tuttora risiedono tuttora i loro discendenti, ancora in troppi mancano all'appello: anche fra i cosiddetti Greci del Ponto.

La suddetta regione storica coincide con la parte centro-orientale della costa anatolica sul Mar Nero, dalla penisola su cui sorge Sinope fino agli attuali confini con la Georgia, addentrandosi in profondità nell'entroterra e includendo la città di Trebisonda, principale centro dell'area.
I Greci insediati in quelle terre, a la cui presenza è documentata almeno a partire dal VII sec. a.C., hanno vissuto per lunghi periodi una vicenda separata rispetto a quella dell'ellenismo continentale e micrasiatico.
Nell'antichità, pur essendosi anch'essi organizzati in pòleis, furono a lungo sudditi del Re di Persia.
Nel cosiddetto Basso Medioevo, le loro sorti si separarono da quelle di Costantinopoli col sacco della Città e la costituzione dell'Impero Latino nel 1204.
Un legame mai ricostituito, se si pensa che l'Impero di Trebisonda cadde otto anni dopo la sua ex Capitale (nel 1461) e da allora ebbe con essa contatti sporadici.
Tant'è che i più frequenti rapporti con turchi, armeni e caucasici hanno plasmato usanze eccentriche, a partire da una lingua che viene riconosciuta come a sé stante anche perché la sua reciproca intelligibilità col neogreco è ormai parziale: ma pur sempre Greci si consideravano.

E Greci vengono considerati nel quadro del progetto che prevedeva l'eliminazione delle minoranze dall'intero territorio anatolico: ma anche qui con un destino parzialmente separato.
Le operazioni nei loro confronti partono attorno al 1916, e si intensificano dopo lo sbarco di Kemal a Sampsounda nel 1919: in quasi sette anni viene ucciso un numero di persone stimato fra le 350.000 e le 600.000 vittime, mentre quasi tutto il resto della popolazione pontica è costretto alla fuga.
Nei confronti degli altri Greci d'Anatolia, in primis quelli micrasiatici, la macchina di morte parte con maggiore anticipo.
Come nel caso degli Armeni, la fase operativa viene preceduta non solo da secoli di vessazioni, ma da quelle che col senno di poi appariranno come prove generali.
Nel loro caso il massacro di Chios (1822), che colpisce una parte consistente fra le decine di migliaia di Greci insediati nell'isola.
La violenza nei loro confronti si acuisce nell'ultimo decennio del XIX secolo, in parallelo ai massacri di Armeni voluti fra il 1894 e il 1896 dal «Sultano Rosso» Abdul Hamid II.
La fase operativa inizia convenzionalmente nel maggio 1914  - 13 o 14, il giorno esatto è controverso - con un documento inviato dal Ministro dell'Interno Mehmed Talat Paşa al Prefetto di Smirne: il contenuto riguarda le disposizioni per la deportazione dei Greci, che all'epoca costituivano la maggioranza della popolazione nella «perla dell'Egeo».
Quasi tutto, dalle pretestuose motivazioni legate alla sicurezza nazionale al modus operandi, ricalca tragicamente la vicenda armena: anche nel bilancio finale che, fra Greci e Pontici, oscilla fra il milione e mezzo e i due milioni di morti.

Le due vicende vengono convenzionalmente unificate nella dicitura «genocidio greco», riconosciuto da Atene e da un numero ridotto ma crescente di Paesi: compresi alcuni Stati degli Usa, con risoluzioni autonome per ora non condivise dal Governo Federale.
Si dirà: perché celebrare il Giorno della Memoria o del Ricordo il 19 maggio?
In tale data, nel 1919, avviene il già citato sbarco di Mustafa Kemal Atatürk a Sampsounda.
Per i Turchi rappresenta l'inizio della Guerra d'indipendenza con la quale riconquistarono il territorio spartito fra vari Paesi col Trattato di Sèvres: e con essi il diritto a uno Stato nazionale sul modello europeo, su un territorio delimitato in maniera quantomeno arbitraria.
Per i Greci è il simbolo della protervia con la quale vennero fatti a pezzi la Storia della regione, il diritto internazionale e troppe vittime innocenti.
La coincidenza con una Festa Nazionale turca è con ogni probabilità voluta, a rafforzare l'opposizione nei confronti dell'ingombrante vicino e del modo in cui quest'ultimo continua a raccontare certe vicende.

Una considerazione a margine: dalla brutalità nei confronti delle popolazioni preesistenti alla disinvoltura con cui si è fatto strame dei trattati e del diritto internazionale, lo Stato kemalista evidenzia natali non meno illegittimi rispetto a quelli dello Stato sionista.
Eppure agli uni è stato perlomeno rimproverato tutto; agli altri, almeno sinora, nulla.
Non occorre essere sostenitori di Tel Aviv per rilevare l'evidente, spudorato doppiopesismo.