Autore Topic: Come nel 1974. Che festa  (Letto 748 volte)

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Come nel 1974. Che festa
« : Martedì 13 Maggio 2014, 15:52:47 »
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Oltre 65mila tifosi per ricordare il primo scudetto della Lazio. Un messaggio per Lotito contestato ancora dall’Olimpico

Il popolo laziale c’è, ora serve una risposta di Lotito. La notte dell’Olimpico certifica, semmai ce ne fosse bisogno, l’amore della gente verso la propria squadra, così come il fallimento della politica dell’attuale presidente biancoceleste. I tifosi ci sono e tanti, bisognerà riconquistarli perché questa lotta intestina sta facendo veramente male alla Lazio. Tant’è, in uno stadio gonfio di passione, sono oltre 65.000 a urlare il loro senso di appartenenza. C’è la Polisportiva che sfila con le sue cinquanta sessioni pluridecorate, diecimila atleti che alzano il numero dei partecipanti alla festa «Di padre in figlio». Sono arrivati da tutto il mondo allo storico appuntamento, bisogna festeggiare il quarantennale dello scudetto del 1974, quello di Chinaglia, Re Cecconi e Maestrelli, ma soprattutto urlare al cielo di Roma che questo popolo merita molto di più di un deludente decimo posto. Un messaggio forte e chiaro per Lotito che è stato bersagliato dai soliti cori ostili.
Tutto scontato ma poco importa, la festa dei laziali ha un sapore dolce per tutti quelli che hanno a cuore le sorti del più antico club della Capitale. Ecco arrivare dal cielo i paracadutisti della sezione biancoceleste: il delirio ha inizio. Gente con gli occhi gonfi di lacrime alla vista di Nesta con la maglietta della Lazio e poi i figli di Chinaglia, Maestrelli e Re Cecconi. Urla la gente: «Te volemo bene», come recita l’inno: sono le 20.20 e la festa entra nel vivo. A bordo campo i reduci del ’74, della Lazio dei -9 e di quella del Duemila griffata da Veron e Mancini. Con i loro figli, i figli dei figli per tramandare alle future generazioni quella follia chiamata «lazialità». La folla va in delirio quando entra Cragnotti: «C’è solo un presidente». Tutto lo stadio canta commosso e grato per uno scudetto e sette coppe. Il popolo laziale ritorna a 14 anni fa, sembra la festa per quel tricolore strappato alla Juve dopo la pioggia purificatrice di Perugia. C’è pure il giro di campo di Cragnotti, il tempo si è fermato. Il maxischermo trasmette le immagini in bianco e nero della scudetto del 1974, segna Chinaglia contro il Foggia, la gente si abbraccia come fosse lì, come se Giorgio avesse tirato il rigore in quel momento. Arrivano i protagonisti, qualcuno con i capelli bianchi, altri con la pancia, Ruben Sosa sembra Fabris del film «Compagni di scuola». Esplode lo stadio, la follia diventa delirio, l’Olimpico urla «Cragnotti caccia Lotito», poi appare Delio Rossi e sono tutti in piedi ad applaudire tranne quando sullo schermo appare il presidente attuale (fischi). Poi Nesta finalmente sotto la Nord a rimarginare una ferita che dura da troppi anni. «C’è solo un capitano», un coro che non si ascoltava più da tanti anni. Sorride il Mancio, Mihajlovic prova a fare finta di nulla (è in lizza per la panchina di Reja), Stankovic si diverte, Couto sfoggia un fisico da modello, c’è anche Giampiero Pinzi, spunta la famiglia Sandri, l’omaggio a Gabriele è sentito da tutta la gente laziale. Lo speaker li nomina tutti, sono gli eroi di tre storiche squadre rimaste nel cuore dei tifosi. All’applausometro sfonda Signori: «E segna sempre lui». Arrivano Ledesma, Radu e Keita, la Lazio di oggi. Infine le partite che non contano nulla, ci si diverte, si esulta per i gol e per il pancione di D’Amico. Alla fine nessuno vuole tornare a casa, tutti ancora lì dopo il delirio, con la storia nel cuore e con poche certezze sul domani. Lotito rilfetta, in fondo al laziale basta poco.
Luigi Salomone

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