Autore Topic: Sinisa alla Lazio: parabole e amore  (Letto 675 volte)

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Sinisa alla Lazio: parabole e amore
« : Sabato 5 Aprile 2014, 08:32:26 »
(Corriere dello Sport)




Sei anni meravigliosi a Formello: i trofei, le prodezze su punizione, le frasi storiche. Un rapporto profondo

di Fabrizio Patania

Era l’estate del ‘98, la Lazio di Eriksson e Mancini era venuta alla luce un anno prima e aveva subito vinto la Coppa Italia. Stava nascendo uno squadrone. Svennis e Mancio, il suo principale consigliere, si presentarono da Sergio Cragnotti. «Gli dissi che se avesse preso Mihajlovic avrei vinto lo scudetto» raccontò qualche anno dopo il tecnico svedese per spiegare la svolta. Il presidente e Governato lo accontentarono subito: 22 miliardi di vecchie lire per convincere la Samp a cederlo. Iniziò così la meravigliosa avventura di Sinisa a Formello: sei stagioni di fila, tra il 1998 e il 2004, 33 gol in 193 partite (20 in 126 di campionato) con la maglia biancoceleste, vincendo un campionato, due Coppe Italia, una Supercoppa europea, una Coppa Coppe e una Supercoppa italiana. I titoli, le medaglie, i gol, le prodezze balistiche. Ma soprattutto un rapporto intensissimo e profondo con il popolo biancoceleste, come passionale e coinvolgente è sempre stato il suo modo di essere. Qualche errore seminato lungo il percorso, le scuse per il caso Vieira sul prato dell’Olimpico, la forza e l’orgoglio di metterci sempre la faccia. Uno vero, genuino. Come quella volta in cui la Curva Nord lo stava ferocemente contestando per un presunto sputo al momento di battere un angolo mentre si accendevano i falò sugli spalti (Lazio-Milan in notturna all’Olimpico, stagione 2001/02). Era un’invenzione e Sinisa decise di affrontare a viso aperto chi lo stava calunniando. Ne uscì rafforzato e rispettato. Quasi un anno dopo (28 ottobre 2002), l’allenatore era già diventato Mancini, a quattro minuti dalla fine di un derby con la Roma di Capello e sul risultato di 2 a 2, si presentò sotto la Nord per battere il rigore della possibile vittoria. Tiro messo in angolo da Antonioli. Tutto l’Olimpico e soprattutto la Curva lo applaudì così tanto da farlo emozionare. Dopo la partita si presentò alle interviste: «Non abbiamo vinto per colpa mia. Segnare su punizione da trenta metri sarebbe stato più comodo… Non ho tirato un bel rigore. Quando segni è normale. Se sbagli sei una pippa. Giusto. Ringrazio i tifosi, l’applauso è stato commovente». Le sue interviste hanno sempre regalato un titolo. Mai banale, Sinisa. «Dico quello che penso» uno dei suoi slogan preferiti. E alla Lazio, che prima o poi allenerà, è rimasto legatissimo. Tantissime notti e altrettante imprese da ricordare, come la tripletta su punizione all’Olimpico al povero Ferron (Lazio-Sampdoria 5-2, 13 dicembre ‘98) o la parabola magica di Stamford Bridge, gol pazzesco quasi dalla linea laterale per completare la rimonta sul Chelsea e trascinare Eriksson ai quarti di Champions. Ha tenuto duro, spesso giocando con la schiena a pezzi. Da libero, in fondo alla carriera, era diventato un fenomeno. Anticipava prima di essere puntato. «Così non mi fregano, sono un vecchietto». Una volta a Formello disse: «Non potrò mai fare l’allenatore. Rischierei di appendere al muro i miei giocatori». Ci stava riuscendo con Di Fiore, il quarto uomo di Samp-Fiorentina, così dovrà vivere il suo derby personale con la Lazio dalla Monte Mario.

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