www.laziopolis.itIl grande ex di Udinese e Lazio: domenica sarà dura per entrambe, giocano maleStefano Fiore, un giocatore di classe al servizio della Lazio. Durante l'era Mancini, mentre la società scivolava inesorabilmente verso il basso, fu fondamentale per tenere la squadra in alto, come in occasione della vittoria della Coppa Italia contro la Juventus. La sua Lazio scendeva in campo sempre bella, sempre unita, sempre ordinata, come se il caos del dietro le quinte non avesse la forza di sfiorarla. Uno degli ultimi rappresentanti della Lazio abituata a vincere, che lottava per splendere anche quando l'oblio sembrava alle calcagna. In occasione dell'impegno di domenica prossima contro l'Udinese, squadra in cui si è fatto conoscere al grande calcio, Fiore ci parla del presente biancoceleste e del suoi anni romani, tra ricordi e ambizioni future.
Iniziamo con Lazio-Parma di Coppa Italia: che Lazio ha visto?
«Sinceramente non buona, non mi sembra un gran momento. Dal punto di vista del gioco, anche nelle ultime partite con Inter e Bologna, non mi è piaciuta. Per il momento non è cambiato molto con il ritorno di Reja. Sono arrivati però i risultati, e questo è molto importante, positivo. Trovo comunque la squadra in grande difficoltà.»
Come giudica quindi la scelta di richiamare Reja?
«La trovo da un lato giusta, perché conosce l'ambiente e molti giocatori, e questo dà garanzie. Ma se devo pensare a un futuro con Reja, non altrettanto giusta: è un allenatore che va bene per un certo tipo di squadra, ma se si deve pensare a un progetto di qualche anno credo sarebbe stato meglio puntare su un allenatore più giovane e con idee diverse. Puntare su di lui non la ritengo una scelta di prospettiva.»
Avere Bollini come secondo pensa possa agevolare i giovani?
«Il fatto di aver scelto Bollini tra i collaboratori potrebbe essere un segnale in quella direzione, visto che è un allenatore che ha fatto molto bene con la Primavera. Sicuramente l'investimento sui giovani è un processo che è bene iniziare, anche perché nell'organico della Lazio ce ne sono molti validi, e il fatto di avere un secondo che li conosce e sa come valorizzarli può aiutare.»
Il mercato di gennaio: come deve intervenire la società?
«Sicuramente il reparto arretrato dev'essere rinforzato, è quello che necessita di più. Quest'anno si è scesi in campo con giocatori adattati, non di ruolo, o comunque chi ha giocato non ha dato un gran senso di solidità. Poi penso a una punta che si sposi meglio con Klose rispetto a quelle attualmente in rosa. Una seconda punta come Quagliarella, di cui si sta parlando questi giorni: credo manchi alla squadra qualcuno con le sue caratteristiche. Per uscire da questa situazione la Lazio ha bisogno di giocatori pronti, di spessore.»
Domenica ci sarà Udinese-Lazio, un incontro da lei molto sentito visto che sono state le due squadre più significative delle sua carriera. Che effetto le fa vederle così in basso in classifica? Che partita si aspetta?
«Negli anni passati, quando mi si chiedeva un parere su Udinese-Lazio, si parlava di ben altri obiettivi e di squadre proiettate verso traguardi più ambiziosi. In questo momento è uno scontro molto complicato: sono due squadre in enorme difficoltà. La Lazio forse sta un pochino meglio dal punto di vista morale, è arrivato qualche risultato in più, mentre l'Udinese è nel periodo peggiore dei suoi ultimi anni. Sarà una partita molto difficile, che nessuna delle due vorrà perdere, soprattutto l'Udinese che viene appunto da una serie di risultati negativi. Prevedo una gara aperta su tutti i risultati.»
Cosa dovrà fare la Lazio per vincere la partita?
«La Lazio non vince fuori casa da tantissimo tempo (da Inter-Lazio 1-3 del maggio 2013, ndr), e quando questo succede è perché si subisce troppo l'avversario e non si cerca di imporre il proprio gioco. La Lazio sa di andare incontro a una trasferta difficile, ma comunque contro una squadra in difficoltà, quindi secondo me dovrebbe scendere in campo con il piglio vincente, provando a fare la partita. L'Udinese non è quella degli scorsi anni, è una squadra giovane che potrebbe soffrire mentalmente certe situazioni. La cosa più importante sarà fare la partita.»
Hernanes può uscire dal suo momento di crisi?
«È il giocatore più importante della squadra, e quando non rende è normale sia oggetto di critiche. Quello che sta succedendo a lui è un po' strano: vero che la continuità non è mai stata il suo forte, neanche nei momenti migliori, però quest'anno credo sia il suo anno peggiore: non so se per via del Mondiale, o se per la posizione in campo… sicuramente una serie di cose che lo stanno facendo rendere meno. Mi auguro che in questo finale, visto che ha voglia appunto di andare al Mondiale, possa esprimersi ai suoi livelli. Quando sta bene, è forse l'unico giocatore in grado di cambiare volto alla squadra.»
Lei aveva un grande affiatamento con Giuliano Giannichedda, sia ai tempi di Udine che di Roma: manca forse anche questo aspetto alla Lazio attuale?
«È chiaro che avere feeling anche fuori dal campo, come con Giuliano, aiuti tantissimo. Io e lui ci incontravamo benissimo come caratteristiche, lui giocatore più di quantità, io di qualità: ed essere molto uniti anche al di fuori ci aiutava tanto. Questa è una cosa fondamentale per un gruppo di giocatori. Certo non è necessario andare d'accordo, si può anche non condividere delle cose fuori, ma in campo bisogna lottare per lo stesso obiettivo.»
Cosa ricorda con più affetto dei suoi anni alla Lazio?
«Sicuramente il momento più bello è stata la vittoria della Coppa Italia, nel 2004, contro la Juve. Venne alla fine di due anni molto belli, intensi, difficili, soprattutto dal punto di vista societario. Quella vittoria ci ripagò di tutti i sacrifici. Fu il momento più bello, e allo stesso tempo il più brutto, perché da lì a poco sarei andato via dalla Lazio. Rimane l'amaro in bocca: avrei voluto continuare a giocare con questa maglia.»
Era una grande squadra, quella di Mancini…
«Non me ne voglia la Lazio attuale o quella che ha battuto la Roma lo scorso anno, tra l'altro vincendo una Coppa Itlalia di un sapore così particolare, ma credo che la Lazio di Mancini sia stata una delle più belle degli ultimi anni. Si giocava un grande calcio, eravamo molto uniti e questo traspariva anche mentre giocavamo. Ho il ricordo di un gruppo legato: tra l'altro con quasi tutti sono ancora in contatto, sia telefonicamente che dal vivo, ci frequentiamo. È rimasto un grande rapporto al dà del calcio, e questa è la cosa più bella.»
Ha qualche rimpianto ripensando a quella Lazio? Potevate vincere molto, basti pensare a Piacenza-Lazio 2-3 quando vi ritrovaste primi in classifica.
«Sì, infatti per un certa parte del campionato pensavamo anche di poter vincere lo scudetto. Del resto però vivevamo comunque una situazione societaria complicata, eravamo sempre in bilico. Per tanti mesi non abbiamo percepito lo stipendio e non si sapeva che fine avremmo fatto. Questo un po' ha pesato, tant'è che nella seconda parte del campionato non riuscimmo a mantenere il passo delle prime giornate. Comunque ci abbiamo provato, e sappiamo di aver fatto molto bene.»
Proprio per via dei grandi problemi societari, dopo la vittoria della Coppa Italia lei fu ceduto al Valencia. Che differenze ha riscontrato nel calcio spagnolo rispetto a quello italiano?
«Si vedono anche a livello di Nazionale: in Spagna si gioca un calcio molto più tecnico. Anche le squadre meno forti giocano a viso aperto. Si gioca sempre per vincere, insomma. In Italia invece c'è un tatticismo esasperato e si tenta prima di tutto di non perdere, che è una cosa molto diversa dal "giocare per vincere" spagnolo. Al di là di questo aspetto, le differenze maggiori si riscontrano nelle poche pressioni attorno alle squadre rispetto all'Italia. In Spagna il calcio è vissuto come è giusto che sia: come una cosa importante, ma riservata alla domenica. Finita la partita si va tutti a casa propria, ognuno torna alla propria vita. I tifosi assistono alla partita per 90 minuti: se ti piace quello che vedi applaudi, altrimenti puoi fischiare o agitare fazzoletti bianchi - cosa per gli spagnoli usuale - ma poi alla fine il calciatore riesce a svolgere la propria professione con serenità. Qui in Italia le pressioni te le porti per tutta la settimana fino alla partita successiva. Questa è la sostanziale differenza.»
Negli ultimi anni lei è stato direttore sportivo del Cosenza: cosa le è rimasto di questa esperienza?
«La mia esperienza è finita a giugno dello scorso anno, dopo due anni molto belli e pieni di risultati: la squadra quest'anno è stata ripescata in Lega Pro seconda divisione. Mi rimane il rammarico di non aver potuto proseguire questo lavoro iniziato e svolto per due anni. Al momento sono fermo, in attesa di sistemarmi da qualche parte.»
Pensa di continuare come dirigente o le piacerebbe anche allenare?
«Nel frattempo ho preso il patentino di terza categoria, quindi non è escluso un mio percorso come allenatore. Una cosa non esclude l'altra: l'esperienza come dirigente non mi è dispiaciuta, così come magari non mi dispiacerà avere a che fare con la panchina.»
Magari alla Lazio…
«Beh, quello è l'augurio che mi fanno in tanti! Allenare la Lazio sarebbe veramente una cosa fantastica. Ma io sono per la politica dei piccoli passi: l'importante, prima di tutto, è cominciare.»
Valentina Pochesci