Servirebbe un omologo per le coppe
Giustissima osservazione.
Ricordo raramente, anche nei nostri anni migliori, una Lazio calata con tanta naturalezza nella dimensione europea.
Anche lì ha mostrato limiti di personalità, ad esempio nel primo tempo di Istanbul in cui avrebbe potuto e dovuto approfittare di un Fenerbahçe contratto e timoroso: ma se tali limiti emergono nei quarti di finale, e non assai prima, significa che qualcosa di buono lo si è fatto eccome.
Basta imbastire un confronto con Vaslui-Lazio e altri euroscempi della gestione Reja: si fatica a credere che sia non la stessa squadra, ma lo stesso sport.
Del resto, quando ci si sposta su palcoscenici continentali, Petko diventa un altro: coraggioso, deciso nelle scelte, lasciando sempre l'impressione che, anche quando l'esperimento non rende al massimo, si stia costruendo qualcosa di definito.
Dev'essere la refrattarietà ambientale al campionato italiano a chiamare in causa, non appena si rientra nei patri confini, quel suo parente che galleggia nel caos e nella mediocrità più stagnante.
Che fare, dunque, da qui a fine stagione? Non è facile rispondere.
Da un lato, la manualistica della gestione societaria impone l'allontanamento del tecnico non appena assume un impegno altrove, dato l'effetto "libero tutti" che un evento del genere innesca in maniera più o meno conscia all'interno del gruppo.
C'è un però, tutto legato alla specificità del contesto.
Non riesco a dare contorni più definiti a quanto sto per descrivere, ma ho l'impressione che l'intera gestione del tecnico di Sarajevo sia stata lacerata da due tendenze contrapposte: da una parte la spinta del mister verso un'innovazione in linea con le sue convinzioni; all'altra la silenziosa ma coriacea azione frenante dello spogliatoio, o di una sua parte.
La differenza di scelte, di rendimento, persino di atmosfera passando dall'Italia all'Europa, e viceversa, può essere letta in buona misura come prevalenza ora dell'una ora dell'altra componente.
Se davvero c'è un gruppetto di persone determinate a ibernare
sine die la dimensione tecnica della Lazio nel Pleistocene Rejano III, offrire loro la testa di un tecnico relativamente innovatore - a maggior ragione se si chiudesse il cerchio col ritorno del goriziano - ne rafforzerebbe l'immunità con conseguenze poco incoraggianti sul futuro della squadra.
Un aspetto da tenere presente per controbilanciare l'impressione suscitata dall'allenatore in campionato, e che ne imporrebbe l'allontanamento con criteri di urgenza.
Qualora si decida per un addio anticipato, insomma, servirà aria nuova non solo in panchina: avviando qualche senatore alla decadenza già sancita, e neppure in tempi recentissimi, dal campo.
Altrimenti, il tutto rischia di risolversi in un pericoloso passo indietro.