E' stata un'ottima annata.
Perché il 26 maggio è stato un giorno speciale.
A pensarci bene neanche l'ho mai raccontato. Il mio 26 maggio.
A pensarci meglio non ho molto da dire.
A ripensarci, allo stadio non c'ero. Però c'era tutto il resto, che di me se ne frega. Quello che conta, verrebbe da dire.
E allora eccomi qui, a mani nude. A raccontarvi perché è stata un'ottima annata. Ve l'ho detto: il 26 maggio. Ma non in quel senso.
No, non aspettatevi chissà quali fiumi di melassa intorno al significato di un derby vinto. Un derby che era una finale, certo. Ma ormai siamo abbastanza adulti da poter fare a meno delle ovvietà.
No, voglio raccontarvi un po' di cazzi miei. Che con quel derby non c'entrano granché.
Allora, il 26 maggio lo ricorderò perché son successe diverse cose che, lo ripeto, con quel derby non hanno avuto a che fare. Tipo... Oddio, non è che ricordi proprio tanto. Però l'ho premesso: a pensarci meglio non ho molto da dire. Quando una premessa è ribadita, è meglio tenerle fede. Forse non ho proprio niente da dire.
Meglio chiuderla qui.
Sì, è stata un'ottima annata.
No, vaffanculo.
Ho visto la partita da solo, in salotto.
Prima però ho accompagnato mia figlia a Trastevere, a via Bertani. C'era la solita festicciola annuale, con la strada chiusa al traffico, le bancarelle, l'area giuochi, i clown, ecc.
Prima di tornare verso casa l'ho abbracciata forte. Poi mi sono rivolto alla madre: qualsiasi cosa dovesse accadere non perdere la calma; cerca piuttosto il primo portone aperto e infilatevi dentro. Li hai i gettoni per il telefono?
Mi ha guardato con orrore.
Ho cercato di riprendermi immediatamente, peggiorando purtroppo la situazione: scusa, era una battuta... Piuttosto segnati il mio cellulare...
L'orrore stava per diventare pazzia sul suo volto.
In qualche modo sono riuscito a fuggire.
Davanti all'Alcazar ho travolto un bengalese con le rose. Mi ha urlato strane cose. Gli ho semplicemente detto ma vaffanculo. Non è razzismo, amici, sono i crudi fatti della vita.
Sono salito sull'8 al volo e ho visto la partita da solo, in salotto. Dove ancora mi trovo.
Cosa sia realmente successo non lo so ancora. Ho un vago ricordo del gol. Ero seduto sul divano e vedevo il mio corpo urlare e sbattere contro la materialità degli oggetti più vari. Era l'intero corpo a urlare, una cosa strana, un po' sinistra. Io ero seduto e mi guardavo, anzi guardavo il mio corpo urlare. Ho un vago ricordo del fischio finale e del dopo. Ho corso, questo sì.
Tornare in una Trastevere silenziosa e stordita è stata una delle sensazioni più forti mai provate. Correre a perdifiato lungo via Garibaldi e via Bertani, per entrare urlando in una piazza San Cosimato che sembrava Frittole, prima della scoperta dell'America.
Silenzio, qualche turista, qualche bambino col triciclo, il rumore gentile di una fontanella, il cinguettio di una giapponese alle prese con una palla demmerda comprata in un negozio su cui spiccava e spicca ancora la scritta "gelato artigianale", il solito tran tran festivo insomma. Tutto troppo tranquillo per essere reale. Ma non è questo il punto e non è neanche importante; quello che conta è la mia corsa verso una bambina con un palloncino rosa. Urlo io, gorgheggia lei. E balliamo fuori dal tempo. Sembra proprio Frittole.
Alle 4 del mattino ancora non dormo. Fisso il buio ma ho paura di vedere di nuovo il mio corpo distaccato e fluttuante. Ho anche paura di di vedere Cosimato, il santo, materializzarsi nell'oscurità e farmi il cazziatone per aver sfregiato la sua Trastevere, tutta intenta a rimboccarsi le coperte di una tranquillità chiamata rimozione.
Passano i minuti.
Non ho sonno ma ho recuperato lucidità.
Prendo la macchina, Colli Portuensi, Isacco Newton, Roma-Fiumicino, una virgola di Raccordo, via del Mare, via dell'Idroscalo. La Fiumara è uno dei luoghi più significativi della mia geografia dell'anima. Il Tevere entra nel mare e il mare entra nel Tevere. Per me simbolicamente è l'utero di Roma. E se sto qui, a quest'ora, col cielo che si fa di un lilla tenue, un motivo ci sarà. Superfluo provare a spiegarlo. Anche se lo dedico a tutte le spigole che da questi massi mi sono scappate e lo dedico a Giacinto Mazzatella e alla sua lavanda gastrica con una pompa di bicicletta.
L'odore salmastro dell'alba è buono. Inutile aspettare il sole sul mare; Ecce Bombo ce l'ha insegnato.
Al ritorno deviazione verso l'aeroporto. Mentre faccio colazione, guardo qualche decollo e sogno di prendere di nuovo un aereo per andare a vedere una finale europea.
E' stata un'ottima annata.
E ora sotto col prossimo. Buon 2014 a tutti.
A mani nude. Il futuro non è stato ancora scritto.
Per parlare di un amore non è necessario nominarlo.
Vi abbraccio.