Era una brava persona, Gigi Simoni.
Ma il ricordo sportivo prevale su quello dell'uomo, e Gigi ha avuto un ruolo fondamentale, come molti ricorderanno, in quella stagione 1985/86 alla guida della Lazio. Non è esagerato sostenere che la Lazio sia rimasta in vita anche grazie a lui.
Fu l'anno dell'ennesimo addio/tradimento di Giorgione, che completava la sua nefasta parabola presidenziale, partita con i fuochi d'artificio e finita nel fango. Long John era il nostro eroe ma faceva il possibile per distruggerci, anche per dabbenaggine, dopo averci mollato due volte da giocatore, la seconda definitivamente, delegando all'imberbe Giordano il compito di salvarci dalla retrocessione.
Giorgio chiamò Simoni per ricostruire la Lazio dopo l'immane tragedia sportiva della stagione precedente, in cui perdemmo con tutte le avversarie almeno una volta, tranne che con la roma di Eriksson. Via tutti i gioielli: Giordano, Manfredonia, Laudrup, Batista, incredibile finire ultimi in classifica con simili nomi in squadra. Restava D'Amico, ormai al crepuscolo, e arrivavano, alcuni strapagati, i vari Galbiati, Fiorini, Poli, Magnocavallo, Malgioglio, oltre a Mimmo Caso. Tre di loro faranno la storia della Lazio, ma solo dopo. La stagione partì male, Chinaglia era in difficoltà ormai insuperabili e scappò, mollando la società al professor Chimenti. Stipendi nisba, conti da pagare un mucchio, trattative societarie fantasiose che si rincorrevano in diretta televisiva da Michele Plastino.
Figure tra il grottesco e il ridicolo, come il Marchese Gerini, figure di apparente piccolo cabotaggio, come Chimenti, il vuoto lasciato da un personaggio importante come Giorgio, che aveva illuso l'ambiente di poter tornare a una dimensione accettabile.
Simoni non fece solo il mister, che già era difficile: tenne proprio insieme i cocci della Lazio, insieme a Felice Pulici, arrivando a salvarla sul campo nonostante gli infortuni, gli stipendi non pagati, le (sapremo dopo) gare acchittate da quello schifo d'omo di Vinazzani, lo sputo sulla maglia di Malgioglio. Quante ne successero, tutte a noi! Un incubo continuo. Sostenemmo i Salafia e gli Zaccagna,
ci entusiasmammo per i Calcaterra, sperammo a lungo che Fiorini fosse un bomber all'altezza della faccia da rocker. Con lui l'appuntamento fu rimandato, su Poli si appuntavano gli insulti dei tifosi frustrati, e anche lui si riscattò l'anno dopo. Insieme i due, emiliani come Gigi, ci salvarono dalla C, che ci era stata prima inflitta dal giudice sportivo, dopo un miracoloso salvataggio dal fallimento, con Giorgio e Gianmarco Calleri insieme a Renato Bocchi, e, a stagione iniziata, col ripescaggio dalla C con 9 punti di penalizzazione, a 2 punti per vittoria, con Fascetti in panca al posto di Gigi, salutato con gratitudine dai tifosi, che non ebbero manco la possibilità di chiedergli di restare: restare dove, se non si sapeva più se esistevamo o no? La storia del mister con la Lazio è rimasta su quel livello: l'amore e il rispetto, il ricordo grato. Strade che si sono reincrociate a Parigi, quando Gigi ci negò, con Ronaldone, il primo grande trionfo europeo, prendendosi la rivincita per un campionato falsato (cit.) in cui perse lo scudetto per un famoso non-rigore, vincendo il suo trofeo più importante.
Da giovane era considerato un allenatore moderno, dal gioco piacevole e spumeggiante. In realtà si specializzò in promozioni, centrandone a piene mani, fallendo solo quella con la Lazio.
Ma davvero quell'anno di più non si poteva.
Riposi in pace.