Bello l'articolo del Guerin Sportivo:
Helmut Haller è stato il meno tedesco dei calciatori tedeschi, in un’epoca in cui il giocatore doveva essere inquadrato molto più di oggi sia in campo che soprattutto fuori. Ecco, Haller era tutt’altro che inquadrato e non solo per lo champagne e i locali notturni frequentati senza nascondersi nemmeno troppo. Siamo purtroppo abbastanza vecchi per averlo preso per la coda, da appesantito ma brillante co-protagonista dei due scudetti della Juventus di Vycpalek (1971-72 e 1972-73), oggi decisamente più noto come zio di Zeman ma ai suoi tempi prima ottima ala destra e poi allenatore molto serio. Mentre il miglior Haller, quello del Bologna e della Germania Ovest del Mondiale 1966, lo abbiamo scoperto molto più tardi, rimanendo estasiati dalla sua genialità: mai una giocata uguale all’altra, sempre protagonista, una sicurezza in se stesso quasi alla Sivori (di qui la propensione verso il tunnel), un’eleganza assoluta che aveva conquistato Gianni Agnelli che con un lungo corteggiamento riuscì a portarlo in bianconero dopo sei anni di Bologna. Nella squadra di Renato dall’Ara era arrivato, ceduto dall’Augsburg dove era nato e cresciuto, dopo il Mondiale del 1962 in Cile, dove era stato lanciato da Sepp Herberger, accompagnato dalla moglie Waltraud e diventando protagonista nella squadra che nel 1964 avrebbe conquistato quello che al conteggio attuale rimane l’ultimo scudetto vinto dai rossoblu e che se il calcio non migliorerà la sua organizzazione tale rimarrà nei secoli. Poi la morte di Dall’Ara e il ridimensionamento del Bologna lo fanno un po’ ‘sedere’, anche se in Inghilterra nel 1966 è fra i migliori giocatori del Mondiale (anche 4 anni prima si era distinto, giocando tutte le parte compresa quella contro l’Italia) oltre che protagonista nella storica finale fatta svoltare dal gol fantasma di Geoff Hurst. Che fu quello del tre a due, mentre il risultato era stato sbloccato proprio da Haller… di quella partita gli rimasero un rimpianto enorme, smorzato solo in minima parte dal suo amore per la vita, e il pallone (o uno dei palloni, in questi casi le versioni sono molteplici) con cui si giocò. Quando a 29 anni arriva alla Juve, da pallino dell’Avvocato, in molti lo giudicano finito ma lui smentisce tutti ed è decisivo in una squadra che oltre vincere lancia giovani come Roberto Bettega e Franco Causio. Con la maglia bianconera chiude in maniera amara, perdendo la finale di Coppa Campioni contro un Ajax imbattibile, tornando all’Augsburg. Con la nazionale aveva chiuso dopo il Mondiale del 1970, dove giocò pochissimo a causa di un infortunio. Il dopo-calcio ha dato ad Haller meno soddisfazioni del calcio, con varie attività commerciali mai tramutatesi in successi, ma un genio come lui non ha avuto una sregolatezza sufficiente per rovinarsi e così la vecchiaia è stata serena almeno fino all’infarto del 2006, fra interviste e matrimoni (il terzo nel 2003, a 64 anni con una cubana 21enne). Parkinson e Alzheimer gli ultimi avversari, con i quali però i tunnel sono stati impossibili. Adesso i titoli di coda, su uno dei primi grandi dell’era televisiva. Amatissimo in Italia ma anche in Germania, senza bisogno di mille trofei in bacheca.