TITOLO
OCCHI DI CANE AZZURRO OVVERO
LA QUARTA DIMENSIONE ED IL MONOLOGO DI ISABEL MENTRE VEDE PIOVERE SU MACONDOANZI
LA QUARTA DIMENSIONE E LA SCELTA DI TIFARE LAZIODA CUI SI DEDUCE
CHE MARQUEZ SE FOSSE NATO A ROMA NON AVREBBE POTUTO NON ESSERE BIANCAZZURROAltrimenti come avrebbe potuto immaginare un secolo di (orgogliosa) solitudine? AVVISO AI NAVIGANTI
La lettura di questo topic risulterà offensiva per tutti coloro che tifano per qualsiasi squadra romana che non abbia compiuto cento anni nel duemila, e, in virtù di questo, sono condannati a vivere in una dimensione sola: la loro. Chissenefrega.
Il 4 ottobre del 1953 Gabriel Garcia Marquez, in calce ad una copia del racconto intitolato
Occhi di cane azzurro che aveva venduto tre anni prima per 150 pesos ad Eduardo Zalamea Borda, direttore del supplemento letterario dell’ Espectador di Bogotà, trascrisse, rispettando rigorosamente le maiuscole come nell’originale, la dedica che l’autore di Fatland, Edwin A. Abbott, aveva rivolto a chiunque avesse deciso di scrivere
guardando oltre.Ed io la riporto qui a tutto beneficio dei tre gatti che mi stanno leggendo:
FLATLAND
To
The Inhabitance of SPACE IN GENERAL
And H.C. IN PARTICULAR
This Work is Dedicated
By a Humble Native of Flatland
In the Hope that
Even as he was Initiated into the Mysteries
Of THREE DIMENSIONS
Having been previously conversant
With ONLY TWO
So the Citizens of that Celestial Region
May aspire yet higher and higher
To the Secrets of FOUR FIVE or EVEN SIX Dimensions
Thereby contributing
To the Enlargment of THE IMAGINATION
And the possible Development
Of that most and excellent Gift of MODESTY
Among the Superior Races
Of SOLID HUMANITY
Ai quali, conoscendo tutti l’inglese molto meglio di me, risparmio la mia traduzione se non per dire che Marquez aveva appena letto l’apologo della sfera che va a visitare Flatlandia, un paese a due sole dimensioni più piatto di un foglio di carta.
La sfera si affaccia su un piano dove c’è un quadrato che non può vederla perché chi vive su un piano non ha strumenti per vedere figure a tre dimensioni, ed allora, per poter dare un concetto di sé compatibile con le capacità percettive del quadrato, attraversa lentamente il piano proponendosi in sezioni successive: prima un punto, poi cerchi sempre più grandi fino a quello massimo e poi sempre più piccoli fino ad arrivare di nuovo al punto.
Raggiunto il quale la Sfera ha attraversato il piano mantenendo invariata la sua forma ma variandola agli occhi del quadrato.
*Il quale però, non avendo un punto di vista dall’alto e vedendo solo il profilo della sezione, percepisce solo un punto che prima si allunga in una linea e poi si accorcia ridiventando punto prima di sparire; non capisce il fenomeno a cui sta assistendo e ne resta terrorizzato:
"…Un orrore indicibile s'impossessò di me. Dapprima l'oscurità; poi una visione annebbiata, stomachevole, che non era vedere; e vedevo una Linea che non era una Linea; uno Spazio che non era uno Spazio; io ero io, e non ero io... Questa è follia o l'Inferno!".Ecco: l’augurio di Abbott, riportato meticolosamente da Marquez in calce al manoscritto di Occhi di cane azzurro, era che nei propri lettori la meraviglia suscitata dall’ inconcepibile, provocasse un effetto contrario a quello provocato nella mente del povero quadrato.
Quel quattro ottobre Marquez aveva appena finito di scrivere
La notte dei pivieri, il penultimo degli undici racconti promessi ad Eduardo Zalamea Borda, e sarebbero trascorsi ancora due anni prima che riuscisse ad inviargli l’ undicesimo.
Nel 47 el señor Borda dopo aver pubblicato il primo di quei racconti,
La terza rassegnazione, lo aveva in qualche modo stroncato dichiarando che la giovane generazione letteraria non valeva nulla.
Tre anni dopo, mentre copiava l’ augurio di Abbott in calce al racconto che avrebbe dato il titolo a tutta la raccolta, Marquez sospettò che Borda avesse ragione.
E che avrebbe continuato ad averla fino a quando non gli avesse inviato un racconto scritto da un’ altra dimensione: la quarta.
Quella che cercava sulla lavagna dell’aula di matematica e fisica del Colegio Liceo de Zipaquirá el profesor Dom Ezequiel Celada Uribe.
“ ..El concepto de dimensiòn en la física tiene un significado mucho más amplio di quello che credete. Le dimensioni
del espacio che ci appare sono 3! Né 11 né 4! E se il principio che ce lo impone si chiama “antropico” è proprio perché è condizionato dai limiti che ci impediscono una
consideración objetiva dell’ universo.
Lo spazio a quattro dimensioni potrebbe essere quello della relatività speciale,
como afirma el profesor Albert Einstein, ma ritengo quella del professor Einstein una forzatura comoda.
Porque el tiempo no es una cuarta dimensión del espacio, ma tutta un’altra cosa. Quale non lo so, so solo que se esiste
nosotros non lo sappiamo ma ci siamo
dentro.”**Dentro. Come i quattro anni undici mesi e due giorni di solitudine vissuti dentro le mura austere e desolate del Zipaquirá e come il tempo che dentro le tre dimensioni in cui ci muoviamo in tutte le direzioni possibili ci accompagna muovendosi sempre in una direzione sola.
El señor Eduardo Zalamea Borda ed il suo supplemento letterario dell’ Espectador di Bogotà dovettero aspettare il 1955 per ricevere l’undicesimo racconto che avrebbe chiuso la raccolta di
Occhi di cane azzurro. Ma non era un racconto, era un monologo: quello che pronuncia Isabel mentre vede piovere su Macondo una pioggia lunga quattro anni, undici mesi e due giorni.
Come gli anni di solitudine vissuti nella quarta dimensione del Colegio Liceo de Zipaquirá.
Molti meno però di quelli di che gli stavano venendo in mente per descrivere la solitudine nella quarta dimensione di Macondo.
Per quella ne sarebbero voluti almeno cento.
**** Cfr.:
http://www.biancocelesti.org/solo-lazio/dialoghi/ di ThomasDoll
* Cfr.:
http://www.biancocelesti.org/solo-lazio/s-s-lazio-1900-in-the-world!/ di Zorba
*** Cfr.:
http://www.laziowiki.org/wiki/Centenario_del_9_gennaio_2000