(ilmessaggero.it)
È morto Marini Dettina il presidente della colletta(di Roberto Renga)
ROMA – Il conte Marini Dettina, che si è spento ieri a 94 anni, era un uomo alto, elegante e con i baffi sottili. Amava la Roma e la voleva affascinante, quanto un gioiello di famiglia. Spese tutto ciò che poteva. Subito. Al primo colpo. Come davanti a un tavolo di roulette e come si conviene a un nobile. Andò male. Il banco vinse, la società rischiò il fallimento. E a Dettina dettero un consiglio: perché non facciamo una colletta? Cento lire a tifoso e si sistemano le casse societarie. Dove? chiese. Al Sistina, gli risposero: sarà uno spettacolo.
Venne scritta la pagina più triste della storia romanista. I tifosi entravano, sfilavano lungo la platea del grande teatro, lasciavano l’obolo e qualcuno piangeva. Si raccolsero seicentomila lire.
La Roma sopravvisse, non per quella collinetta di carta, ma solo perché era la Roma e una squadra che porta quel nome non può morire così. E sopravvisse anche, arrossendo, a quel gesto estremo: la richiesta della carità.Il conte ci provò, in realtà, alla maniera di tanti altri presidenti dell’epoca. Ora, anche se può sembrare strano, c’è addirittura maggiore programmazione. E, se non altro, i dirigenti possono contare sul danaro delle televisioni. Non c’erano sponsor e i soldi venivano dalla tasche dei proprietari o dal botteghino.
Dettina, uscito vincitore da un testa a testa con Anacleto Gianni, voleva lasciare il segno e aprire con fuochi d’artificio. Prese Angelo Benedicto Sormani dal Mantova: aveva segnato sedici gol alla sua prima stagione. Un brasiliano e proveniente dal Santos, la squadra di Pelé. La gente impazzì, ma il bravo, educato, gentile Sormani, venne travolto dalla crisi della società e ceduto alla Sampdoria. Si vide all’Olimpico anche Schnellinger, chiamato il cane dai suoi tifosi romani. Sciogli il cane, urlavano dalle curve a Lorenzo, quando la Roma doveva rimontare o cercare una vittoria. Il tedesco che ci avrebbe fatto gol in Messico nel 1970, costringendoci ai supplementari del 4-3, era un magnifico terzino d’attacco, prima di trasformarsi in difensore centrale.
Un successo, il conte, l’ottenne. Coppa Italia, strappata al Torino, in doppia finale. Zero a zero all’Olimpico. Il Torino propose di giocare il ritorno di nuovo a Roma: per motivi d’incasso (l’Olimpico a quei tempi faceva sempre l’esaurito) e perché Lorenzo se la cavava meglio, per via della sua difesa attenta, in campo esterno. Lorenzo rifiutò e fu Nicolé a segnare il gol della Coppa, che venne alzata da Losi, l’unico “core de Roma”. Dettina stava per chiudere. Tre anni di presidenza, dal 1965 al 1968, tutto sommato, indimenticabili.