A conti fatti accedono all'atto conclusivo, come spesso capita, le formazioni che hanno dimostrato maggiore sostanza.
La Francia nel proporre un fortino pressoché insormontabile a difesa di un golletto trovato quasi per caso.
La Croazia quanto a personalità e capacità di uscire alla distanza, tirando fuori energie impensabili dopo il finale sulle gambe nel durissimo quarto con la Russia.
Ad accomunare le due sconfitte un primo tempo brillante e non concretizzato e un calo troppo netto nella ripresa.
Che per il Belgio è avvenuto soprattutto sul piano tecnico, perdendo qualsiasi capacità di incidere in avanti, mentre per gli albionici ha coinvolto pesantemente l'aspetto atletico: strano in una squadra dall'età media bassa, e che non a caso dichiarava grandi ambizioni ma in prospettiva.
Analoghe le traiettorie delle rispettive panchine: Deschamps e Dalić hanno alzato il muro nel finale con Nzonzi e Ćorluka ottenendone un contributo paragonabile a quello di Ciani nei minuti finali del 26 maggio, quindi assai utile al cospetto dei lancioni disperati e poco convinti cui gli avversari delegavano le residue iniziative.
I Ct di Belgio e Inghilterra hanno, invece, grattato il fondo del barile quanto a varianti e contromisure per rimettere in sesto gare finite sempre più nettamente su un piano inclinato.
Southgate, in particolare, ha chiuso entrambi gli occhi sulle sofferenze del suo reparto difensivo quando veniva attaccato sulla propria destra verso l'interno del terreno: il gol è stato solo il classico "tanto tuonò che piovve" dopo numerose avvisaglie, prima fra tutte la voragine spalancatasi davanti al sinistro di Brozović su azione da corner.
Sarebbe forse servito il passaggio alla difesa a quattro per sottrarre il terzo di destra - l'esausto Trippier, autore della pennellata da fermo per il vantaggio - alla morsa della sistematica inferiorità numerica.
I cambi già spesi - da cui l'inferiorità numerica dopo la bandiera bianca sventolata dallo stesso Trippier - hanno limitato il raggio d'azione del tecnico, rivelandone comunque i limiti: bravissimo, fra i migliori del Mondiale, nel preparare squadra e partita nel segno dell'organizzazione; poco pragmatico e a corto di risorse quando si è trattato di fare di necessità virtù, rimescolando un mazzo con poche carte superstiti, e di giocarsela pallone su pallone.
Anche lui dovrà crescere, insieme ai suoi ragazzi, per colmare il divario che separa il grande lavoro e l'indubbio potenziale dall'Albo d'Oro.
Fra i croati, Mandžukić ha meritato il ruolo di match-winner per un contributo che somiglia a un esperimento scientifico sui limiti fisici nella tenuta di un giocatore.
Modrić ha contribuito non poco alla serata di gala di Vrsaljko, portando densità e appoggio costante sulla corsia quando i suoi insistevano da quella parte.
Hanno convinto meno, casomai, alcuni leziosismi nel finale quando davvero non c'era spazio per simili giocate.
Il vero uomo copertina, e non solo per un gol alla Ibra con un movimento da arti marziali, è forse Perišić.
Sempre uomo in più o uomo in meno, quasi incapace di prestazioni normali anche all'interno della stessa gara, ieri ha fischiato l'inizio del proprio Mondiale con l'aria di chi arriva per ultimo a una festa ma con lo scopo di diventarne ancor più protagonista.
Dal barometro dei suoi umori e prestazioni dipende una discreta parte del pronostico per la finalissima.