Reja: "Ho allenato Del Neri: un po' robustello ma con il piede vellutato"
«E' l'allenatore ideale per ricostruire. La Lazio? Basta definirci una sorpresa»
La lepre è il Milan, poi la «sua» Lazio a -3 e la Juve a -6. Reja, domani sera, all'Olimpico, c'è in gioco solo il secondo posto?
«In palio c'è molto perché il risultato premierà una delle due squadre più in forma del momento. Ma siamo solo a un passo dalla fine del girone di andata, guai a parlare di bocciatura per chi dovesse uscire con le ossa rotte».
Nessuna bocciatura vuol dire programmi ed ambizioni inalterati...
«La Juve può e deve lottare per il vertice, la Lazio non può più essere guardata come la sorpresa del campionato perché non si raccolgono 30 punti in quindici partite se sei una meteora».
Modello Lazio contro modello Juve, è così?
«In parte i due progetti possono essere sovrapponibili. Sia noi che i bianconeri ragioniamo in termini di gruppo e mai di singolo. E, poi, io e Gigi siamo molto simili oltre che grandi amici.».
Ci racconti il Del Neri giocatore.
«Un buon centrocampista dal piede quasi di velluto».
E' vero che quando se lo trovò alle sue dipendenze lo invitò a smettere con il pallone perché ormai non correva più?
«Non andò proprio così. Io ero allenatore a Gorizia e la squadra stava navigando in brutte acque quando gli chiesi di venirmi a dare una mano. Risultato? Gigi fece da tecnico in campo, prese per mano un gruppo di ragazzini e, grazie anche ai suoi otto gol, alla fine rimanemmo in C2».
E la storia del fiato corto?
«Del Neri giocava da centrocampista basso davanti alla difesa, un ruolo delicato e dispendioso. Aveva 33 anni, credo fosse fisiologico che non potesse reggere sempre per novanta minuti visto che era anche un po' robustello».
Come giudica il lavoro del suo grande amico a Torino?
«Gigi sta facendo un'ottima stagione. Chi lo conosce bene come me non aveva dubbi: se lo fai lavorare in una società che lo sostiene fin dalle scelte di mercato, il più è fatto. La dirigenza bianconera è con lui e, poi, c'è Marotta...».
Può vincere qualcosa fin da subito?
«La sua vittoria più importante l'ha già raggiunta. Penso al culto del lavoro, del sacrificio, del rispetto. Se c'è da ricostruire, Del Neri è la miglior garanzia possibile».
Parola di friulano.
«La nostra è una terra dove si coltivano valori come l'equilibrio e il buon senso, oltre al già citato spirito di sacrificio. Io, Gigi e gli altri sappiamo isolarci dalle critiche così come dai momenti di euforia: nessuno ci ha mai regalato nulla, nessuno potrà mai farci fare un passo indietro dalle nostre idee».
Reja, Del Neri e Capello, nati e cresciuti nello stesso fazzoletto di terra. Crede che il ct della nazionale inglese possa sentire il fascino delle sirene interiste?
«Fabio è un programmatore, non uno che si fa trasportare dalle circostanze. E, come tale, ha in testa l'obiettivo di chiudere bene l'esperienza Oltremanica. Dopo l'Inghilterra, se resterà nel calcio, lo farà solo da dirigente».
Facciamo un bel salto indietro. Cosa le ha lasciato la parentesi sulla panchina del Torino dodici anni fa?
«Un ricordo bello e intenso. Arrivai a campionato in corso e, a giugno il Perugia ci mise ko all'ultimo rigore salendo in serie A. Di quello spareggio di Reggio Emilia mi resta il rammarico per come andò la partita: l'espulsione di Tricarico ancora oggi non l'ho capita. Se davanti non ci fosse stata la squadra di Gaucci...».
Una beffa atroce.
«Sbagliò Dorigo che era il migliore dei nostri rigoristi. Nella mente ho viva l'immagine dei tifosi granata: erano migliaia e ci battevano la mani ai bordi della strada nel viaggio di ritorno da Reggio Emilia».
Lazio 30, Juve 27. Chi vince?
«Uno, ics, due. Sarà una partita aperta ad ogni risultato».
Come si ferma Krasic?
«Krasic? E Quagliarella o Aquilani? La Juve è una squadra e, da squadra, gioca».
GUGLIELMO BUCCHERI (La Stampa.it)