Da LA REPUBBLICA di oggi, venerdì 29 ottobre a firma Fabrizio Bocca.
Edy Reja, 65 anni, tecnico della Lazio prima in classifica, decano degli allenatori: voi fate un po´ finta di niente e gli altri dicono è fortuna.
«Noi non siamo Juve, Milan e Inter, non abbiamo quegli organici. Il campionato è un po´ anormale e così... 19 punti non ce li ha regalati nessuno. Viviamo il primato con serenità, abbiamo giocatori intelligenti. La storia della fortuna mi ha fatto arrabbiare: non per me ma per loro e i ragazzi».
Loro sono il gruppo Reja, 8 simpatici uomini in tuta. Manca un´ora all´allenamento: sul tavolo nello spogliatoio di Formello un gran pentolone di insalata mista ("Si sta leggeri"), piatti di olive piccanti e pecorino, pane, e leggere leggere un paio di romanelle di rosso (vino locale ndr) sono volate. "Oh, grande Amarone ieri dopo la partita!". Mentre la moka da 12 borbotta Reja è felice.
Nel suo ufficio-spogliatoio 2 lavagne: su una il Palermo, su quella magnetica mosse e contromosse.
«Oh, mi mica le scrive no?»
No no, e poi chi le capisce? Eravamo rimasti a decano e gentiluomo.
«Perché tratto tutti alla stessa maniera, sono gentile, accettato dai giocatori? Deve essere un fatto culturale. Scriva, non sono un contaballe».
24 club da giocatore e tecnico. Più di un Giro d´Italia.
«Così tante? Beh, ho lasciato casa a 16 anni. Nord, Sud, isole, le ho fatte tutte. E anche Spalato, posto incredibile, di grande educazione: se lì dici "ragazzi, oggi si salta dal ponte" quelli si buttano».
E ogni volta trasloco con la famiglia?
«Ogni volta. Solo a Pescara rimasi un po´ di più perché mia figlia studiava. Anche la famiglia è un fatto culturale. Il mestiere è duro, ho circa 800 partite, tutte con l´adrenalina al massimo, come se ognuna fosse un derby. Anche col Portogruaro: per me è una partita in cui ci puoi solo rimetterci, sai che frittata se perdi? Noi allenatori siamo spesso soli, stressati e le amarezze sono tante: se a casa non hai chi ti aiuta è impossibile».
Il carattere friulano è un luogo comune o un dato di fatto?
«Sono più estroverso con un´influenza slovena da parte di mio padre. I friulani sono timidi e severi con loro stessi: ho questa mentalità, ma il girovagare mi ha cambiato».
Dovesse citare 2 squadre?
«La Spal dove arrivai da ragazzo e poi Napoli da allenatore, esperienza entusiasmante e difficile. Ma anche critiche e insulti: non era facile».
Due giocatori?
«Pirlo che trovai a 17 anni, e Zola un esempio».
Un matto?
«Giocai con Vendrame nella Spal, bella testa. E inaffidabile».
Presidenti sparsi?
«Gazzoni gran signore, Corioni metteva il becco nella formazione (io schieravo Doni e lui voleva Pirlo, troppo giovane), Cellino furbone, De Laurentiis gattopardiano. Ci siamo litigati e mandati a quel paese pubblicamente: così siamo rimasti amici».
Decisivo Galeone.
«Venivo da 8 anni di C1 e C2 e di salvezze all´ultima domenica, non ce la facevo più. Trovavo club senza una lira, con squadre impossibili. Come a Treviso, dove avevano programmato la retrocessione. Se ci salvi grazie, ma tranquillo il prossimo anno rimani. Feci il secondo di Giovanni e gli sono rimasto legato».
Galeoniano, ma non gioca alla Galeone.
«Il 4-3-3- l´ho fatto a Pescara, Cosenza, Verona, a Cagliari con Zola, Suazo ed Esposito. Poi al Napoli mi adattai al 5-3-2. Qui guardo i gol presi, guardo i video e dico: ma ragazzi dove vogliamo andare, e quindi 3-5-2. Quest´anno si poteva cambiare e via».
E´ uno che si adatta, allora.
«La squadra ideale ha 2 uomini per ruolo di pari livello e poi chi sta meglio gioca. Ma la squadra ideale non esiste, tutti ci adattiamo. A meno che tu non sia Mourinho o Capello: a loro danno tutto».
Mettiamo in fila 5 allenatori super.
«Ne dico 6. 1° Herrera, carica straordinaria; 2° Sacchi, professionalità e organizzazione, 3° Capello (che si incazzerà per il 3° posto ma pazienza), animale da campo e capacità di valutazione dei giocatori unica; 4° GB Fabbri, un precursore, non voleva che si buttasse via un pallone, nemmeno il rinvio del portiere, urlava "imbezél xa butti ‘sta bala!"; 5° Bearzot, altro friulano, lo incontrai, da ragazzo, al Toro a pranzo. Lo immagino sempre così. 6° Rocco, il sanguigno. Ho lasciato fuori i contemporanei Lippi e Mourinho. Mou dà carica al gruppo. Cito pure Spalletti, col suo attacco senza punti di riferimento: la penso anche io così».
Metodo di lavoro?
«50% standard, 50% mio. Aggiornarsi è vitale, vidi il Valencia di Benitez, l´Ajax, il calcio inglese. Il secondo Lopez è il tattico, Grigioni il nostro Sacchi dei portieri, Febbrari fa il lavoro a secco, - sì a secco, atletico - facciamo meno palestra di altri. Tanto pallone, per me il lavoro è sul rettangolo di gioco. Tutti noi allenatori curiamo la fase offensiva perché è un biglietto da visita, ma se davanti hai dei campioni, vedi Eto´o, cambiare sposta poco. Si può crescere in fase difensiva: l´Italia ha perso un po´ i grandi difensori. Troppi giocatori si sono abituati ai moduli, se li allontani da un allenatore o dal binario, addio».
Prima tappa obbligata: Hernanes.
«Non è arrivato al 100%. Meno elettrico di Sneijder, meno veloce di Kakà, ma salta l´uomo alla grande».
Seconda tappa obbligata: Zarate.
«Tatticamente complicato, non vera punta, non proprio un esterno, ma ha classe, dribbling e resistenza. A 23 anni ci vuole la maturazione definitiva».
Parentesi su Floccari.
«Mezzi straordinari, arrivato un po´ tardi: forse qualcuno non ha creduto in lui».
Terza tappa obbligata: Lotito.
«Quando arrivai sentivo un sacco di cose. Ora lo sento sempre e non lo vedo quasi mai, 2 o 3 volte quest´anno. Funziona bene e funziona così: Lotito è il capo, lo stratega; Tare, il ds tecnico; io ho il campo. Se la guida di una squadra è un tavolino a 3 zampe non traballa mai. Se le zampe sono 4 è già più difficile».
Lei ha una formula che sintetizza tutto vero?
«Sono pagato per scegliere: se va bene, bene, e se va male, lo... Scriva male. Con i giocatori sono corretto, se la lealtà non è condivisa divento cattivo. Sintetizzando: gestione democratica dello spogliatoio, con qualche incazzatura».