www.calciomercato.comdi Luca Capriotti
Laziali, noi, la solita giornata. Una giornata di sole, di lacrime, di festa, di rabbie e frustrazioni e grandi giocate e grandi sciocchezze: contro la Cremonese non è stata una semplice partita di fine stagione, l'ultima in casa, ma la partita da Lazio in tutto e per tutto.
Una partita da laziali, di laziali, con tutto quello che significa essere laziali. Una summa e una sintesi, e noi con quel cavolo di cuore che ogni volta ci dice che basta, e quando la Cremonese pareggia comunque amplia quel divario tra noi e la santità,
quando Radu piange amplia quel divario tra noi e gli anni che passano e abbiamo passato con lui, e quando Klose, Candreva, il 26 maggio viene festeggiato amplia quel divario tra noi e il resto di Roma, tra noi e il mondo, quel divario che rende questo popolo unico. Un divario che certi gesti, certi brutti addii, hanno acuito, tra popolo e dirigenza.
Una partita da laziale, che può essere piattaforma di una nuova partenza.LA PARTITA - Contro la Cremonese alla fine esce tutto quello che fa bene e male questa Lazio:
è una squadra che ha fatto un campionato pazzesco e ha approfittato delle altrui pochezze, è una squadra che nei momenti caldi ha tirato fuori cose fritte, impensabili, incredibili, e ha buttato in un tombino e poi ripreso partite contro ogni razionalità.
Di fatto, quella di Sarri è una squadra cresciuta sotto tantissimi aspetti, e nello stesso tempo è una squadra totalmente irrazionale, lo stesso spogliatoio di pazzi, incerti, appassionati cretini che questo popolo ha imparato ad amare, ha imparato ad adorare, e sente come cose di famiglia. Luis Alberto e Milinkovic: mio padre e mio padre, direbbe un teenager. Sono loro i simboli di una squadra folle, di suola e leggerezza e scemenze e cose totalmente fuori misura: una compagnia di sbandati militanti di un piano folle, rivoluzionati da un allenatore pretenzioso, quadrato, profeta di un gioco di simmetrie applicate, estetismi geometrici e pretese di grandezza.
Contro la Cremonese i soliti 20 minuti di schifo, ma tanto lo sappiamo, finché la rivoluzione non verrà totalmente appoggiata in tutti i suoi nomi dalla società questo passerà al convento, ma è anche la stessa squadra che, mezza moribonda, mezza stanca, mezza cotta l'ha voluta vincere, e l'ha voluta vincere per questo popolo.
IL POPOLO - Ci hanno creduto tutti, in questo progetto. C'erano le vedove, i partigiani del ds, i partigiani di quel giocatore o di quell'ex allenatore, però alla fine tutti e tutte si sono lasciati e lasciate affascinare da poche parole, tanto lavoro, tanta applicazioni, risultati e soprattutto bellezza. Ci hanno creduto, e hanno voluto omaggiare questo tecnico e questo gruppo nel giorno di una grande festa:
mezza squadra del 26 maggio 2013 era allo stadio, e allora l'intero Olimpico si è riempito, davvero sold-out sotto il sole di un'estate appena iniziata, di un progetto che sembra aver messo finalmente radici, basi, fondamenta. Questo popolo ha voluto Sarri, lo ha aspettato, lo ha adorato, lo ha seguito, e si è trascinato dietro poi la squadra, e quelli che erano più lontani da questo mister sono diventati i protagonisti di una stagione straordinaria. Ha ragione Sarri: questo è un miracolo, e chi diceva altro lo diceva per creare divisioni, malumori, aspettative.
E lo faceva da nemico interno non di Sarri, ma di quell'aquila sul petto che dovrebbe essere sopra acrimonie, difficoltà, e beghe personali. Il popolo ama Sarri, e da tempo non ama altri, specialmente alcuni dirigenti. E il popolo certe cose le sente:
è con Sarri, Lotito se ne ricordi. Deve farsi guidare da Sarri.GLI ADDII - La festa del 26 maggio è stata emozionante, e alcuni di questi giocatori, veterani di mille battaglie, ai miei occhi 10 anni dopo sembrano gli stessi, come quando si incontra un amico di quelli intimi, connessi davvero nel profondo, che alla fine sembrano non cambiare mai. I
n realtà dopo 10 anni sono passate tante cose, tanti giocatori, progetti e allenatori. Ma quella squadra, quella partita dopo tanti anni hanno ancora un senso, ancor di più in giorni strani, con alcuni di noi piuttosto tesi per altrui partite. Non sarà la nostra notte, non curatevi di loro.
Nel frattempo, la Champions League ci ha twittato addosso il suo bentornati, il sole ha inquadrato lo stesso sorriso di Miro Klose, di Mauri, di Lulic, proprio lui, i nostri sorrisi. E da quella fascia sinistra, al fischio finale, Stefan Radu ha pianto tra le braccia di Romagnoli, tra le braccia nostre. Si potrebbero scrivere libri sul boss, su come questo strano giocatore abbia scavato familiarità, passione, affetto, famiglia tra noi e lui. Ma l'abbiamo abbracciato tutti e tutte, e questo basta.
Oggi questo basta.