www.calciomercato.comdi Luca Capriotti
Ci penso dal giorno del suo compleanno, dal 19 marzo,
ad Alessandro Nesta. Ci penso perché credo che ogni laziale abbia dentro tante cose, specialmente irrisolte, e che
Alessandro Nesta rimarrà sempre una cosa irrisolta. Irrimediabilmente grande, grandiosamente ferma là, come un calcolo al cuore, una pietra che non fa scorrere la giusta riconoscenza, l’amore, tutto quello che dobbiamo a questo immenso campione. Ci penso dal giorno del suo compleanno,
e non riesco a togliermi dalla testa cosa ci ha fatto, cosa gli abbiamo fatto, cosa rappresenta questo pezzo di storia della
Lazio nelle nostre storie di famiglia, di cuore, di anima.
Ci ho pensato, perché il mio primo trofeo allo stadio
, quella finale di Coppa Italia da ragazzino in Curva Nord, con quel pallone che si ferma là, ad un passo dalla porta, io lo devo a lui, che in quel periodo aveva il capello da principe, in netta contrapposizione col taglio più moderno di Totti. Capello nero, lungo a destra, lungo a sinistra, che scende, la divisione con l’altra parte di Roma, l’unico che si è realmente contrapposto allo strapotere visivo, tecnico, mediatico, regnante di Francesco Totti, in eterno duello.
L’unico che abbiamo potuto mettere dentro, dicendo: io ho Nesta. Tu avrai quel 10, ma io ho Nesta. Ci penso dal giorno del suo compleanno,
perché per noi bambini cresciuti con la rincorsa breve e potente di Beppe Signori e la sua zazzera corsara questo capitano elegante fino al limite del raffinato era qualcosa di inciso dentro in un posto ben definito. Siamo stati tutti traviati dai rigori di
Signori, che ci ha convinto che perfino le rincorse corte e inaspettate portassero al risultato finali, siamo stati tutti adolescenti con un ideale troppo elevato, troppo alto e troppo altro, e quell’ideale è stato Nesta.
Era troppo per me: era troppo bello, troppo elegante, troppo tecnico, troppo tutto. Mi dicevano che somigliavo per modo di giocare a Stam, e io guardavo Nesta sospirando. Ci dicevano che alla fine i difensori pratici dei comuni mortali sono quelli che servono, che non fanno prendere gol, ma il mondo laziale sospirava e guardava a Nesta, una Madonna ad ogni incrocio di Roma a cui pregare, un Nesta ad ogni sogno profondo e incompiuto a cui aspirare.
Noi avevamo Nesta. Sullo Scudetto disse
“Ci hanno ridato quello che ci hanno tolto l’anno scorso”, poi si è corretto, ma questo voleva dire, e tutti abbiamo sperato che la nostra vita fosse quella, fosse giusta, profondamente giusta, che alla fine quello che la vita ci toglieva poteva ridarcelo
Nesta con una scivolata all’ultimo secondo, che quella maglia numero 13 potesse veramente farci dimenticare tutto il resto del mondo come solo il calcio sa dare.
Noi avevamo Nesta.Tutti abbiamo sperato che alla fine la vita fosse gridare
NESTA allo stadio, e vederlo entrare con la fascia rossa al braccio, con la maglia Cirio, che quella stagione della nostra vita in cui abbiamo vinto durasse per sempre.
Poi questa tifoseria è stata traumatizzata, brutalizzata dalle stesse persone per cui si era fatta spaccare la testa, e il silenzio di Alessandro Nesta, questa sinfonia di silenzio ci ha ancora spaccato il cuore per anni, e anni, e anni con altre maglie, a vincere altri trofei con altri tifosi. Poi questa tifoseria frantumata ha vissuto i Baraldi, il fallimento ad un passo, le moralizzazioni, le galere, le faide, chi entra e chi no, lo stadio muto, lo stadio pieno contro, le urla contro, rari momenti normali e tanti mozzichi, tante ferite.
Noi avevamo Nesta.Tutti abbiamo sperato che la nostra vita fosse quel tocco leggero sopra l’orecchio per sistemarsi quella fascetta, che teneva quei capelli divisi a metà, che scendevano a destra e a sinistra sul profilo elegante,
“Nesta, per ultimo, il capitano, e il boato biancoceleste”, dicevano le telecronache. Tutti abbiamo sperato che fosse sempre così. Poi le cose piano piano si aggiustano, i pezzi si ritrovano, le tessere piano piano ritornano al loro posto, e i cuori ritornano a battere. Però ogni tanto ci penso, ad Alessandro Nesta, e per me è ancora oggi, dopo tanti anni, tanti e tanti anni, pur nel calcio professionista e dei soldi, nel calcio delle aziende e delle grandi casate, per me oggi è ancora una cosa irrisolta, e in un piccolo pezzo di mondo nascosto di me stesso, ci sta ancora un ragazzino che non ci vuole credere che la vita a volte va così. C
he Alessandro Nesta è andato via dalla Lazio. Ci sta ancora, non si rassegna ancora, in fondo lo ama ancora come solo un ragazzino può amare il suo capitano. Per me Nesta è ancora una cosa che non ho mai risolto e non risolverò mai. Non è vero: quello che ci hanno levato, come popolo, come tifoseria, non ce lo hanno mai ridato, mai. Noi avevam
o Alessandro Nesta.