Autore Topic: Sul Prato Verde Reloaded  (Letto 1201 volte)

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ThomasDoll

Sul Prato Verde Reloaded
« : Mercoledì 3 Giugno 2015, 01:57:16 »
Sul Prato Verde è un libro che ho scritto due anni fa. Una collezione di 80 figurine che raccontano la mia passione per la Lazio. Avevo lavorato a una seconda edizione che poi non ha visto la luce per scarsa determinazione da parte mia e per la millanteria di qualcuno. Poco male.
Sul Prato Verde reloaded comincia la rielaborazione dei quelle 80 figurine, alle quali se ne aggiungeranno delle altre, oltre a un minimo corredo d’immagini e a qualche link che consenta l’approfondimento della storia. Una per volta, in un lavoro cadenzato, saranno pubblicate sul mio blog e sulla pagina facebook del libro, che nella versione in pdf, stampata e rilegata in poche decine di copie destinate agli aficionados, è ancora disponibile qui.

Nelle ultime settimane ho curato una piccola rubrica sul Diario di Bordo, chiamata appunto Sul Prato Verde. Ora che la Lazio si ferma la aggiornerò con la revisione delle mie 80 figurine laziali e con l'aggiunta delle altre. Userò questo topic per annunciare gli aggiornamenti e postare i contenuti.
Il primo, naturalmente, è Tommaso Maestrelli. Gli altri seguiranno con cadenza più o meno settimanale. Leggete e moltiplicatevi.

Tommaso Maestrelli



Tommaso Maestrelli è stato il padre nobile della Lazio del primo scudetto, uomo-simbolo e figura di riferimento dell’intero movimento calcistico italiano negli anni settanta. Allenatore pluripremiato, desiderato dall’Avvocato Agnelli per la Juventus che voleva ricominciare a dominare il calcio italiano, Maestrelli era un uomo intelligente e sereno, che in gioventù aveva fatto esperienze importanti, come quella della prigionia durante l’ultima guerra. E poi aveva una… macchia nel curriculum: era stato il capitano della Roma retrocessa per la prima volta in serie B, nel ‘50/51. Un chiaro segno di predestinazione laziale.

Maestrelli arrivò alla fine della stagione ‘70/71, appena retrocessi in B sia il suo Foggia che la Lazio. Prese subito in mano la situazione, insieme a Bob Lovati, guidando a quattro mani la squadra alla vittoria della coppa delle Alpi. Assemblò il materiale che gli mise a disposizione Sbardella, dribblando i tentativi di sabotaggio del vecchio Lorenzo, spalleggiato da qualche tifoso nostalgico che invocava l’esonero del nuovo mister. Come si fa a voler richiamare un tecnico che ti ha appena fatto retrocedere? L’autolesionismo dei laziali non è nato mica nel terzo millennio.

La Lazio di Maestrelli decollò subito e tornò immediatamente in serie A, dove inaspettatamente si rivelò all’altezza delle grandi, perse prima uno scudetto all’ultima giornata e poi se lo aggiudicò, l’anno dopo, con una cavalcata trionfale. Il merito più grande del Maestro è stato l’aver tirato fuori un campione dalla materia ancora grezza che era Giorgio Chinaglia, a 24 anni già quotato, ma non ancora l’eroe che abbiamo conosciuto. La psicologia di Maestrelli e il suo rapporto tutto particolare con Giorgione fecero sentire il centravanti considerato e amato come un figlio.

Maestrelli fu la mente e Chinaglia il braccio di quella squadra magnifica. Molte sono le immagini che raccontano questo rapporto, illustrando un lato della personalità di Maestrelli che andava oltre il tratto tipico dell’allenatore di calcio, spesso in grado di gestire il talento dei calciatori e formare giovani, ma non di sovrapporsi alla figura paterna con sapienza e delicatezza.

Si parlò di lui per la successione di Valcareggi in Nazionale, e si ricorda ancora il meccanismo perfetto di quella Lazio che aveva portato in Italia il calcio totale. Purtroppo gli mancò la possibilità di saggiare la forza della sua squadra in Coppa dei Campioni, per la squalifica seguita agli incidenti di Lazio-Ipswich di Coppa UEFA. Il male che lo uccise a 54 anni gli tolse l’opportunità di misurarsi con un’altra grande sfida, ma l’impresa compiuta con la Lazio fa parte della storia del calcio italiano.

Il legame con Chinaglia è stato reso perpetuo dal recente trasferimento delle spoglie del campione nella tomba della famiglia Maestrelli. E questo ha chiuso il cerchio, dimostrando una volta di più come il Seminatore d’Oro fosse tale non solo in panchina, ma anche nella vita.


ThomasDoll

Re:Sul Prato Verde Reloaded
« Risposta #1 : Giovedì 11 Giugno 2015, 01:18:57 »


Giorgio Chinaglia

Giorgione era il nostro eroe. L’uomo del destino. Lo prendemmo insieme a Pino Wilson  dall’Internapoli, pagati in tutto cento milioni. L'affare del secolo. Giorgio era duro come il ferro, grosso come un bisonte, coraggioso, guascone, volitivo. Tecnicamente non dotatissimo, ma nemmeno scarso. In grado di sopperire con la forza a qualunque mancanza, Chinaglia si mise subito in evidenza, visto che la fame non gli mancava. Era cresciuto in Galles, dove la famiglia s’era spostata per lavorare, da Carrara. Mario Pennacchia, cantore delle storie biancocelesti, narra di un avventuroso viaggio solitario del piccolo Giorgio alla volta della Gran Bretagna, un cartello legato al collo con su scritta la destinazione, in caso si fosse perso.
Si era formato per strada, giocando a calcio e a rugby, e non aveva paura di niente. Con i suoi gol, la Lazio conquistò un ottimo piazzamento nel ‘70, ma non riuscì ad evitare la retrocessione l’anno dopo. Juan Carlos Lorenzo, suo primo mentore in biancoceleste, lasciò la guida della squadra a Tommaso Maestrelli, che stabilì con Long John un legame viscerale. Come padre e figlio.

I risultati furono eccezionali. Chinaglia riportò a suon di gol la Lazio in serie A e fu convocato in Nazionale da Valcareggi che ancora giocava in B, fatto rarissimo nella storia azzurra. Gestito al meglio da Maestrelli, che ne conteneva le esuberanze, incanalandole sul terreno di gioco, fu l’ariete della prima Lazio vincente della storia, segnando 24 volte nella stagione culminata con la conquista dello scudetto, giunto grazie a un suo gol al Foggia che chiudeva aritmeticamente il conto, facendo fuori la Juventus.

Parlare del Chinaglia-giocatore non rende però l’idea del valore inestimabile che l’uomo ebbe nell’universo laziale. Quella di Chinaglia fu una rivoluzione. Il coraggio e la spavalderia con cui fronteggiava i romanisti rivitalizzarono una tifoseria che veniva fuori dal suo periodo più buio. Dalla prima retrocessione, arrivata nel ‘60/61, la Lazio aveva inanellato una serie di stagioni oscure, tra salvezze tribolate, promozioni stentate e nuove discese negli inferi, cadendo ancora nel ‘66/67 e poi nel ‘70/71. Gli anni ’50, in cui la Lazio aveva conteso alla Fiorentina il ruolo di quarta grande, erano lontani.

C’era poco da opporre alla tracotanza del rivale cittadino, che per fortuna non brillava più di tanto a sua volta. Ma per i laziali, tradizionalmente composti e poco inclini a rispondere a tono, gli sfottò romanisti rappresentavano una specie di supplizio da subire con rassegnazione, viste le condizioni in cui versava la squadra. Chinaglia ribaltò la situazione, terrorizzando i romanisti, battendoli, sbeffeggiandoli, ingaggiando con loro duelli memorabili. Un uomo contro una curva, il dito alzato verso la sud, la riaffermazione di un orgoglio laziale che pareva ferito a morte.

Giorgione ci fece alzare la testa. Ci gustammo il nostro momento di gloria senza paura, senza pensare che tutto poteva finire e costarci caro come tememmo, poi, anche nel 2000. Pensieri tristi, legati alla scia di avvenimenti tragici seguiti allo scudetto del 1974, innescata dalla terribile malattia di Tommaso Maestrelli, fattore che escluse la squadra, in preda all’angoscia, dalla lotta per la conferma del titolo. L’1-5 subito in casa col Torino segnò l’abdicazione biancoceleste e arrivò, raccontano le cronache, nel momento in cui la squadra prese coscienza della malattia del suo Maestro.

Chinaglia allora mollò tutto e partì per l’America, seguendo la moglie e i figli verso una nuova avventura. Poi tornò per giocare e quindi ripartire definitivamente, al termine della stagione successiva, lasciando la squadra con un piede in serie B. La Lazio ce la fece, trovando un bravissimo Giordano, e Chinaglia si affermò definitivamente nel soccer americano, dove fece valere la sua personalità di leader in una squadra che allineava giocatori che avevano segnato la storia del calcio del dopoguerra, come Pelè e Beckenbauer, e uomini-simbolo del calcio totale, come Johan Neeskens.

Una ribalta che a Giorgione era stata negata da Valcareggi, incapace di rinnovare una squadra fatta di grandi giocatori a fine carriera, facendo una figura pessima in Germania nel 1974. Un mondiale amaro per i tifosi della Lazio, consapevoli che un più massiccio uso dei migliori elementi che avevano appena conquistato lo scudetto avrebbe potuto cambiare le sorti della spedizione in terra tedesca. Sordo ai segnali del campo, Valcareggi ignorò le indicazioni che gli giungevano dalle coppe europee, dominate da Bayern e Ajax, con le squadre italiane spesso relegate al ruolo di sparring partner.

Non si preoccupò di aggiungere tono al centrocampo ed elementi capaci di interpretare al meglio i dettami del calcio moderno che l’arancia meccanica olandese predicava da qualche tempo. La forza fisica dei polacchi, quindi, ci schiantò, ma avevamo disinnescato la possibile leadership di Chinaglia, messo in ballottaggio con Anastasi, rinunciato alla freschezza di Re Cecconi e alla precisa guida difensiva di Wilson, lasciato a casa Martini, Frustalupi e Oddi, che sarebbero stati in grado di rimpolpare al meglio la sazia pattuglia messicana.

Una scelta pagata cara dal CT, che Giorgio mandò platealmente a quel paese uscendo dal campo dopo la sostituzione nel match contro Haiti. Apriti cielo: gli strali della stampa sportiva, le liti furiose, il viaggio di Maestrelli in Germania per ricomporre la situazione sono storia. Chinaglia in America divenne il simbolo dei NY Cosmos e, quando smise, decise di tornare a Roma, acquistando la Lazio.

I laziali, precipitati di nuovo nel fango della serie cadetta, alzarono la testa, aspettando il loro eroe che tornava per salvarli. Io toccai il cielo con un dito. Chinaglia ci riportò in serie A, ma non riuscì a fare quello che voleva. I vagheggiamenti di sponsor globali e di dollari facili rimasero sogni proibiti, e la Lazio pagò, alla lunga, le sue scelte bizzarre e umorali. Lui avrebbe preferito di gran lunga rimettersi gli scarpini e tornare in campo.

Fu costretto invece a ripartire, lasciando la Lazio in stato di dissesto nelle mani del professor Chimenti, che la passò a Calleri quando il fallimento pareva ormai scontato. Il resto è storia. Stendiamo un velo pietoso sulla brutta appendice legata alla pseudocordata che avrebbe dovuto proporsi per rilevare la Lazio da Lotito, presentatasi nascosta dietro al suo faccione che per noi laziali rappresentava la mozione degli affetti. Finì male.

Denunce, accuse infamanti, fughe definitive. Fino alla notizia improvvisa della scomparsa, che squassò l’ambiente biancoceleste in un triste primo aprile. Il nostro eroe era morto, lontano dall’Italia e dall’affetto dei suoi sostenitori. I tifosi della Lazio gli hanno tributato un saluto affettuoso, decidendo di ricordare quello che era giusto ricordare e dimenticare il resto.
Giorgio ora riposa nella tomba della famiglia Maestrelli, vicino all’artefice della sua grandezza.

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Re:Sul Prato Verde Reloaded
« Risposta #2 : Giovedì 11 Giugno 2015, 13:54:45 »
Il quel dito di chi "viaggia in direzione ostinata e contraria" puntato contro la maggioranza che "sta" c'è tutta l'essenza di chi sceglie di essere laziale.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

ThomasDoll

Re:Sul Prato Verde Reloaded
« Risposta #3 : Sabato 20 Giugno 2015, 00:33:08 »
Alessandro Nesta.
Che altro dire?


Più di ogni altro grande prodotto del vivaio, Alessandro Nesta ha rappresentato l’immagine ideale del calciatore laziale. Romano, dotato di gran fisico e di classe limpida, in grado di disimpegnarsi in ogni ruolo difensivo con precisione, lucidità e freddezza, veloce, forte di testa e inarrivabile nell’anticipo, perfetto nel tackle, dotato di ottima tecnica, corretto all’inverosimile. Alto, bello, simpatico, intelligente, gentile, misurato, sportivo, e potremmo andare avanti per giorni, perché per noi laziali Nesta è stato la sintesi di tutte le virtù: il figlio prediletto, il compagno di giochi, il fidanzato ideale, l'uomo-copertina. Un raro caso di difensore su cui l’attaccante era costretto a commettere fallo. Si ricordano sue prestazioni mostruose, frustranti per gli attaccanti avversari. E scrosciavano gli applausi, su tutti i campi.

Nesta esordì a 16 anni e divenne capitano a 22, accompagnando la Lazio fino al 2002 e partecipando alla conquista di tutti i trofei cragnottiani, e molti li sollevò da capitano. Quell’estate palindroma di inizio millennio fu tremenda, perché alla fine di una lunga serie di annunci e di smentite (Berlusconi in persona disse che il Milan non l'avrebbe preso...) il ragazzo fu ceduto al Milan, proprio nell'ultimo giorno di mercato.

Cragnotti denunciò più in là accordi tra le tre grandi del nord per portare via il campione alla Lazio a un prezzo d’eccezione. Il passaggio di Cannavaro alla Juventus rendeva superflua l'asta, così il Milan fece il prezzo, e fu un prezzo molto inferiore a quello che circolava l'anno prima, quando si vociferava di una superofferta del Real Madrid. La Lazio dovette accettare le condizioni imposte dalle potenze del calcio che si vendicavano per gli anni in cui avevano dovuto mangiare la polvere.

Nesta si presentò al Milan con un’espressione stravolta e triste, ma poi giocò come sapeva e divenne un cardine della squadra rossonera, raccogliendo i successi che meritava. Per una strana coincidenza non riuscì mai a mettersi in luce ai mondiali, colpito da infortuni che lo misero sempre fuori causa. Ha comunque partecipato alla spedizione di Berlino 2006, finita in gloria.

Il rapporto con la Lazio è stato alterno, dopo la sua partenza: l’ammirazione di tutti, il grande affetto, i fischi surreali della curva al suo ritorno, l’evidente attaccamento che lui stesso ha manifestato per la maglia biancoceleste, il vagheggiamento di un ritorno che non si è mai concretizzato. Un tormentone che negli ultimi anni è tornato spesso a galla, con il campione sollecitato a rilasciare dichiarazioni che finivano per essere sempre le stesse.

Nonostante qualche passaggio oscuro (la vicenda nebulosa per cui la Lazio fu costretta a riacquistarlo da una società olandese cui il ragazzo aveva ceduto i diritti d'immagine, d'accordo col procuratore Canovi), Nesta passa alla storia come l'incarnazione dell’ideale bigiarelliano. La bellezza dell’atleta puro, l’eleganza dell’airone, la misura nei gesti e nelle parole, la correttezza esemplare. Prezioso, unico, inarrivabile campione.

qui:
http://www.biancocelesti.org/index.php?action=articles;sa=view;article=96

ThomasDoll

Re:Sul Prato Verde Reloaded
« Risposta #4 : Domenica 5 Luglio 2015, 11:17:15 »
Cristian Ledesma (nuova aggiunta, non presente nella prima edizione come tutti i giocatori in forza)



Successe tutto in una sera di dicembre. Ledesma sembrava un enigma patagonico, cercava di prendere in mano la situazione ma non ci riusciva più di tanto. La prima parte della sua avventura era caratterizzata dai passaggi sbagliati e dalle prestazioni in chiaroscuro. Ledesma aveva l'aria del leader silenzioso, ma necessitava  di tempo per imporsi in una nuova situazione. Poteva contare sulla fiducia di Delio Rossi, suo mentore leccese. Quella sera si stava distinguendo, come da caratteristiche, per la solidità e la continuità, in campo, a supporto di una difesa che stava diventando sempre più solida. Di fronte l'avversario più odiato dai tifosi, che si era avvicinato alla gara, come sempre, irridendo e strombazzando.

Stava per finire il primo tempo, Oddo aveva lavorato un pallone sulla destra e gli aveva appioppato il passaggio a mò di generico suggerimento. Eccotela, fai un po' te. La palla arrivava invitante, Cristian aveva caricato ed esploso il tiro di sinistro, potente e preciso, avendo avuto l'attimo a disposizione per prendere la mira, indisturbato. Un proiettile che staccava la ragnatela dal sette, sul palo alla destra di Doni. E giù feste e deliri.

Qui cominciava ufficialmente l'amore, sancito dal tuffo che Delio Rossi farà nella fontana del Gianicolo, a fine gara, ebbro dei tre gol rifilati al nemico. Un amore durato nove anni, con in mezzo trecento e passa presenze, qualche gol, una disputa contrattuale che costrinse lui sul campo dei ragazzini e la squadra in una depressione di classifica, tutti sdoganati dall'arrivo di Edy Reja, suo secondo mentore laziale.

Un amore cambiato per gli anni che passano, ma non finito, solo trasformato dalla necessità della squadra e della guida tecnica di sperimentare nuove geometrie, trovando velocità più consone alle proprie aspirazioni. Il che, forse, esula dalle caratteristiche dell'argentino, ormai italiano per nozze, passaporto e (unica) presenza in nazionale, nel frattempo in età avanzata per un centrocampista di lotta e di governo.

Ledesma ha salutato con amore la squadra e i suoi tifosi, elegante e sobrio, come sempre. Sarà ricordato per quel gol e per la sua serietà, che lo collocano tra le figure più importanti del ciclo lotitiano, in ottima posizione anche nella storia plurisecolare della Lazio. Resta la sua firma su tre Coppe fondamentali: su tutte quella del 26 maggio.

Panzabianca

Re:Sul Prato Verde Reloaded
« Risposta #5 : Lunedì 6 Luglio 2015, 09:21:07 »
Alessandro Nesta.
Che altro dire?


Nesta passa alla storia come l'incarnazione dell’ideale bigiarelliano. La bellezza dell’atleta puro, l’eleganza dell’airone, la misura nei gesti e nelle parole, la correttezza esemplare. Prezioso, unico, inarrivabile campione.
beh, complimenti Thomas

ThomasDoll

Re:Sul Prato Verde Reloaded
« Risposta #6 : Giovedì 9 Luglio 2015, 16:49:09 »
Un altro grande capitano che se ne va.

La prima volta che vidi giocare Stefano Mauri era all'Udinese, con Spalletti. Aveva le scarpe bianche, si muoveva partendo da sinistra e si inseriva al centro. Era imprendibile per i difensori, dispensava assist oppure andava al tiro, correva facile, sembrava lucido e presente. Veniva da una gavetta lunga, non essendo passato per il settore giovanile di una grande squadra. Ma aveva già convinto a Modena e a Brescia, dove giocava con Roberto Baggio.

Alla Lazio arrivò a gennaio, con Delio Rossi. C'è voluto un po' per piacersi, chi lo vedeva correre con le infradito, chi lo vedeva centrato su un'erezione che ne costituiva il baricentro. la verità è che, fatta la tara della discontinuità, si trattava di un giocatore importante, che negli anni è diventato, con Rossi, Reja, Petkovic e Pioli, sempre più fondamentale, per la visione di gioco, la velocità di pensiero, la capacità di indovinare assist magistrali per i compagni o di imbucarsi, da grande incursore, nei sedici metri.

Capitano dopo l'addio di Rocchi, coinvolto nella torbida vicenda giudiziara di cui troppi si riempiono la bocca, Mauri ha sopportato un arresto preventivo da repubblica delle banane e ha mantenuto un invidiabile equilibrio, di fronte alla gogna mediatica.

I tifosi hanno spulciato le carte senza fargli sconti, alla ricerca di un indizio di colpevolezza o della conferma dell'innocenza. Una ricerca che ha smontato tutti i teoremi cremonesi, riabilitandone l'immagine intaccata da sospetti che sembrano in totale malafede. Ma su questo farà piena e definitiva luce la conclusione della vicenda giudiziaria.

La storia sul campo, invece, appare ormai irrimediabilmente conclusa, a scadenza di contratto. Stefano ha annunciato ai tifosi l'addio, regalando parole grate e piene d'affetto. Un affetto ricambiato, con la consapevolezza che non sarà facile sostituire una colonna come lui, al termine di una grande stagione come quella passata.

Il ricordo corre ai grandi derby giocati, alle decine di gol realizzate, alla qualità del calciatore e dell'uomo: un altro che passa alla storia, in questa estate infuocata in cui si tagliano le radici.  Speriamo serva a spiccare definitivamente il volo.