Il maggio del 1985 è un mese maledetto per il calcio.
Per l'Heysel, risponderà subito chi ha memoria personale di quegli eventi: ma la tragedia (o il crimine?) consumatasi nel settore Z dell'impianto belga non è l'unica di quel periodo.
L'11 maggio 1985, il Bradford City scendeva in campo al Valley Parade contro il Lincoln.
In palio poco o nulla, poiché i padroni di casa avevano già conquistato vittoria e promozione nel torneo di Third Division, all'epoca la terza serie di nome e di fatto nel calcio inglese.
Doveva essere solo una festa: doveva, appunto.
Verso la fine del primo tempo, un focolaio di piccole dimensioni si accese in un settore della tribuna.
Sembrava facile domarlo, favorendo nel contempo l'ordinato deflusso del pubblico presente in quel punto.
Nessuno si rese conto di come stessero per venire tragicamente al pettine quasi tutti i nodi legati alla sicurezza negli stadi, che nel Regno Unito si apprestava a vivere il suo periodo peggiore.
Gli impianti, intanto, dal fascino non comune ma troppo spesso vetusti in rapporto alle esigenze.
La tribuna del Valley Parade risaliva agli inizi del secolo, e somigliava al risultato di uno scellerato concorso per l'utilizzo di materiali infiammabili nelle strutture portanti: alle quali bastò quel principio di incendio per arrivare letteralmente a liquefarsi.
Il crollo del tetto, unito alla densità del fumo sprigionato nel rogo, contribuì non poco al bilancio finale di 56 morti e 265 feriti.
Gli estintori, poi: rimossi per non fornire materiale parabellico agli allora dilaganti hooligans.
A questi ultimi si deve un'altra misura, sulla quale all'epoca ferveva il dibattito: l'introduzione di barriere, sin lì ignote al football britannico, per dividere il pubblico dal terreno di gioco.
A Bradford si era provveduto in tal senso, ma con un muretto che non impedì neppure a tifosi normalissimi e pacifici di scendere facilmente in campo.
In questo caso, approssimazione ed inefficienza assai gravi salvarono involontariamente parecchie vite umane: se chi fuggiva dal fuoco e dai fumi non avesse potuto defluire in quel modo, le proporzioni del disastro si sarebbero avvicinate a quelle della strage di Hillsborough nel 1989.
Detto dei fatti essenziali e della disorganizzazione nei soccorsi, rimane un elemento non secondario: come si accese il focolaio all'origine della tragedia?
All'inizio le ipotesi maggiormente prese in considerazione erano due.
La prima, legata a una sigaretta o a un fiammifero incautamente accesi fra il pubblico, metteva l'accento sulla fatalità, invocata con troppa enfasi anche in questa vicenda.
La seconda allontanava ulteriormente l'attenzione dalle lacune nella sicurezza strutturale dell'impianto e nei soccorsi, ipotizzando che tutto fosse partito dalla fabbricazione di una rudimentale bomba incendiaria.
Dopo anni di seri interventi nel settore (tanto di cappello) e di rimozione un tantino ipocrita di quel difficile periodo (atteggiamento assai meno meritorio), da quelle fiamme sprigiona quasi all'improvviso una storia.
Quella che in gergo giornalistico si definisce "una tragedia nella tragedia": difficile trovare altri termini per la vicenda dell'allora 12enne Martin Fletcher, che nell'incendio perse il fratello Andrew di 11 anni, il padre John di 32, il nonno Eddie di 63 e lo zio Peter di 32.
Anni di inchiesta e un libro,
Fifty-Six, the Story of Bradford Fire, danno forma a uno scenario diverso e a dir poco inquietante
http://www.theguardian.com/football/2015/apr/15/bradford-fire-martin-fletcher-stafford-heginbothamDalle sue ricerche emerge che le proprietà e le attività di Stafford Heginbotham, all'epoca patron del club, erano state interessate nei diciotto anni precedenti da ben otto incendi devastanti.
Eventi ai quali la sua fortuna economica era sopravvissuta, grazie anche agli ingenti risarcimenti versati dalle compagnie di assicurazione.
"Può davvero una persona essere così sfortunata come Heginbotham?": questa l'amara e ironica domanda di Fletcher.
Da un punto di vista giudiziario la sua ipotesi è destinata ad avere poco seguito, poiché l'ex proprietario del Bradford City è scomparso nel 1995: ma il diritto alla verità, sia pure con irrimediabile ritardo, rimane.
Una considerazione a margine: osservando le immagini - in alcuni casi struggenti - dei vecchi stadi inglesi si ha la sensazione di qualcosa di remoto, di non più collegato al presente.
Un po' come lo sono per noi - ma fino a quando? - le foto ingiallite di vecchi e poverissimi emigranti.
Segno di come, a Londra e dintorni, abbiano posto una solida barriera di fatti concreti fra sé e quel passato di vergogne insanguinate.
Dell'Italia si può parlare in termini analoghi, ad esempio, per lo scandalo del vino al metanolo scoppiato proprio in quegli anni.
Poteva rivelarsi un colpo mortale. Divenne l'occasione non solo per prendere le distanze da certi metodi, varando una legislazione fra le più rigorose in materia, ma anche per un poderoso colpo di reni che ha portato a valorizzare sul piano commerciale veri e propri giacimenti sin lì ignorati.
Oportet ut scandala eveniant, insomma: peccato che da noi l'applicazione in positivo di quell'antico motto rappresenti un'eccezione.
E non solo nel calcio.