Autore Topic: Boubacar Barry  (Letto 1401 volte)

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Offline MCM

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Boubacar Barry
« : Domenica 8 Febbraio 2015, 23:02:29 »
Portiere 36enne della Costa D'Avorio, para due rigori, segna il decisivo.
Grandissimo! Vince la Costa D'Avorio, campione d'Africa.
Bene così!


darienzo

Re:Boubacar Barry
« Risposta #1 : Domenica 8 Febbraio 2015, 23:17:31 »
Ho i brividi. Emozioni incredibili. Finale pazzesco dopo una partita bloccata. Benedetti i rigori

Offline Er Matador

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Re:Boubacar Barry
« Risposta #2 : Lunedì 9 Febbraio 2015, 02:45:28 »


Doppiamente eroico, poiché durante la serie dei rigori è stato colto da crampi e rimesso in piedi alla bell'e meglio.
Il primo piano mentre si appresta a calciare il penalty decisivo, col viso contratto nello sforzo e imperlato di sudore, spiega quanto abbia dovuto stringere i denti: il cuore oltre l'ostacolo, davvero.
L'esito della competizione richiama tutta una serie di suggestive coincidenze.
Una è quella con l'edizione del 1992, sino a ieri l'unica vinta dagli Elefanti.
Avversario nella finale di Dakar? Il Ghana.
Modalità di assegnazione della vittoria? Ai rigori dopo un'interminabile serie di 24 tiri dal dischetto, due in più di ieri sera.
Errore fatale di Baffoe, statuario difensore nato in Germania e all'epoca impegnato nella Bundesliga.
Quel trionfo lanciò a livelli sin lì impensabili la Costa d'Avorio, all'epoca quasi priva di stelle dalla dimensione internazionale, e il suo Ct Geo Martial: prima dell'egiziano Hassan Shehata, fra i non moltissimi selezionatori "indigeni" a conquistare un trofeo monopolizzato da tecnici stranieri.
L'altra edizione in parallelo è quella del 2012.
Stesso Paese organizzatore, la Guinea Equatoriale, all'epoca in tandem col Gabon e subentrata al rinunciatario Marocco proprio per la recente esperienza in materia.
Stesso Ct vincitore, il francese Hervé Renard, che all'epoca portò sul gradino più alto del podio lo Zambia.
Battendo in finale, neanche a farlo apposta, proprio la Nazionale con cui ha appena trionfato.
Vittoria tutto sommato meritata anche per il cammino assai poco agevole: prima un vero e proprio "girone X" - quello in cui il secondo posto è stato assegnato tramite sorteggio con la monetina -, quindi l'Algeria e la RD Congo nella fase a eliminazione diretta, dove le Black Stars hanno avuto vita più facile con le due Guinee.
Ghana forse più squadra secondo i canoni europei, ma a tratti con un pizzico di supponenza.
Sul piano delle sensazioni emotive, il genuino entusiasmo collettivo degli arancioni è piaciuto assai più delle sguaiate esibizioni devozionali con cui i loro avversari hanno ritmato la serie dagli undici metri.
Una versione afro-islamica e collettiva degli Atleti di Cristo, i cui atteggiamenti plateali c'entrano assai poco con autentiche convinzioni in materia di Fede.
Ultima istantanea per Gervinho, estromesso in anticipo dal match ma pur sempre vincitore di un trofeo durante la stagione.
Nella sua squadra di club, sarà probabilmente uno dei pochi a potersi fregiare di tale referenza.

Zapruder

Re:Boubacar Barry
« Risposta #3 : Lunedì 9 Febbraio 2015, 05:37:54 »
Complimenti d'obbligo ai neo Campioni d'Africa.

Come sempre, è d'obbligo la riflessione sullo "stato dell'arte" del calcio africano. Nel 1982, l'inopinata vittoria ai Mondiali dell'Algeria sulla Germania scatenò una serie di riflessioni - molte d'accatto, come spesso capita - sul futuro dello sport più amato e diffuso al mondo, che si vedeva destinato a un futuro "fisico", più che tecnico, e del quale quindi si sarebbero impadroniti i "neri", come accaduto nell'atletica.

La percentuale di calciatori di origine africana nei tornei più importanti è certamente cresciuta, in questo frattempo: quello che non è cresciuto più di tanto è il movimento africano in sé, che è fermo ai quarti di finale ai Mondiali centrati da Camerun e Ghana, rispettivamente nel 1990 e 2010, per quanto un accesso in semifinale in entrambi i casi - specialmente nel caso degli sfortunati ghanesi - non avrebbe certo destato scandalo. Troppo poco, in ogni caso, considerando i 32 anni - e otto Mondiali - trascorsi da allora: il salto di qualità non è avvenuto, o sta avendo luogo in maniera lentissima.

C'è anche da considerare un aspetto che potrebbe sconfinare in considerazioni di stampo razzista, ma spero mi si esenti da questa accusa: molto spesso i calciatori neri, anche quelli di lunga militanza in Europa, sembrano peccare di mancanza di concentrazione e determinazione, nell'arco di un torneo o anche di una carriera. Il motivo è certamente culturale e, se questo ha una certa incidenza su chi vive e gioca in Europa, immagino possa essere il motivo per cui il calcio, nel continente africano, non viene preso troppo sul serio: o, meglio, non viene vissuto con la feroce esasperazione alla quale siamo abituati.

Non credo che questo gap "culturale" sia irrimontabile: mi viene in mente il paragone con la storia della specialità più seguita dell'atletica, i 100 metri maschili: una storia di atleti bianchi, fino a un certo punto, che esplorarono i propri limiti fino a - probabilmente - raggiungerli, con atleti come Borzov e Mennea: il tutto mentre qualche nero ai 100 metri si dedicava quasi occasionalmente, allenandosi poco e chiudendo la carriera a 25 anni: quanto bastava comunque per competere e, spesso, vincere. Poi un bel giorno apparve sulla scena Carl Lewis, che trasformò radicalmente l'approccio alla velocità da parte dei neri, e non solo: e non ci fu più storia; grazie all'allenamento vero (e ai soldi garantiti dalla trasformazione in Evento di una singola specialità) emerse definitivamente la superiorità nera nella velocità pura.

Nel calcio un ruolo del genere avrebbe potuto rappresentarlo uno come George Weah, immagino: ma questo, per qualche motivo, non è accaduto.

ThomasDoll

Re:Boubacar Barry
« Risposta #4 : Lunedì 9 Febbraio 2015, 08:31:17 »
Non è un problema sconosciuto ai brasiliani, quello che segnali, quindi la questione non è né razziale né territoriale. Argentini e uruguagi sono molto più vicini al modello europeo, ultracompetitivo (gli uruguagi probabilmente lo anticipano).
Detto questo, ci sono casi e casi, ma in linea di massima sarei d'accordo, o almeno gli esempi che abbiamo osservato più da vicino sembrano proprio suggerire che, a far da contraltare a doti fisiche superiori, i calciatori provenienti dal continente africano hanno una minore competitività, sono meno "giocatori" e più istintivi.
A detrimento della mia stessa tesi cito, però, Yaya Touré e Didier Drogba.
Forse all'Africa manca peso politico-economico, e, soprattutto, manca un movimento "locale". Per questo non ha ancora all'attivo grandi affermazioni nei tornei internazionali.

Offline BobLovati

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Re:Boubacar Barry
« Risposta #5 : Lunedì 9 Febbraio 2015, 09:01:54 »
riguardo l´atletica, soprattutto nei 100, i coloureds c´erano già negli anni ´60 gli Stanfield ed i Norton, oltre al francese Seye, che furono quelli che Berruti mise in fila nella finale olimpica dei 200 al´Olimpico ( meno Stanfield, che già aveva nel ´60 iniziato la fase calante ).

Direi che nel calcio africano si sta verificando quelli che succede da anni nel rugby; l´Italia, accettata malvolentieri nel 6 nazioni, soprattutto per evitare che una delle 5 dovesse riposare, ha speso cifre ingenti, raccattando oriundi nei 5 continenti ma, non avendo quasi tradizione di qualità al di sotto della linea gotica, non riesce a fare quasi nulla ed è la detentrice ad honorem del cucchiaio d legno fin dalla sua entrata nel gruppo.
Laziale, Ducatista e fiumarolo

Siamo noi fortunati ad essere della Lazio, non la Lazio ad avere noi

“LA MOGLIE DI CESARE DEVE NON SOLO ESSERE ONESTA, MA ANCHE SEMBRARE ONESTA.”

Offline aquilafelyx

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Re:Boubacar Barry
« Risposta #6 : Lunedì 9 Febbraio 2015, 09:42:44 »
Forse è la mancanza di strutture adeguate per la pratica di base, ad iniziare da quella giovanile, a marcare profondamente il gap con il calcio extra africano, i talenti cresciuti in europa possono competere alla pari nelle competizioni maggiori ma quando partecipano alla Coppa d'Africa devono fare i conti con il retroterra nazionale il quale non offre che pochi mezzi per selezionare, addestrare e formare calciatori, c'è poi da aggiungere
la situazione di tutti i campionati africani che credo che stiano al livello di professionismo solo sulla carta, per arrivare ai massimi livelli questo non può bastare.
M'illumino di Lulic

Bajo las águilas silenciosas, la inmensidad carece de significado.


Chi ha paura di perdere non merita di vincere

ThomasDoll

Re:Boubacar Barry
« Risposta #7 : Lunedì 9 Febbraio 2015, 09:52:46 »
il che non toglie che ci siano state nazionali importanti, in passato, tra Camerun, Nigeria e Costa D'Avorio

Offline Er Matador

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Re:Boubacar Barry
« Risposta #8 : Martedì 10 Febbraio 2015, 02:52:01 »
Non credo che questo gap "culturale" sia irrimontabile: mi viene in mente il paragone con la storia della specialità più seguita dell'atletica, i 100 metri maschili: una storia di atleti bianchi, fino a un certo punto, che esplorarono i propri limiti fino a - probabilmente - raggiungerli, con atleti come Borzov e Mennea: il tutto mentre qualche nero ai 100 metri si dedicava quasi occasionalmente, allenandosi poco e chiudendo la carriera a 25 anni: quanto bastava comunque per competere e, spesso, vincere. Poi un bel giorno apparve sulla scena Carl Lewis, che trasformò radicalmente l'approccio alla velocità da parte dei neri, e non solo: e non ci fu più storia; grazie all'allenamento vero (e ai soldi garantiti dalla trasformazione in Evento di una singola specialità) emerse definitivamente la superiorità nera nella velocità pura.

Nel calcio un ruolo del genere avrebbe potuto rappresentarlo uno come George Weah, immagino: ma questo, per qualche motivo, non è accaduto.
La differenza fra Lewis e Weah passa, probabilmente, anche per le diverse realtà che si ritrovarono alle spalle.
Il primo poteva contare su una megastruttura "bianca" nella sua costituzione, ma che aveva tutto l'interesse a cooptare il formidabile potenziale dei neri per aumentare il distacco nei confronti di chi non poteva attingere a tale risorsa interna (un po' quello che Eusebio trovò nel Portogallo).
Il secondo poteva contare solo sulla Liberia, Paese dalla storia atipica ma pur sempre nella bassa classifica africana e non solo nel calcio.
Aggiungo che, nonostante le premesse, il calcio del Continente Nero sembra aver innestato la retromarcia persino nel suo punto di forza, vale a dire la produzione di talenti individuali: i vari Eto'o, Drogba, Yaya Touré non sono più giovanissimi, e fra le nuove leve si fatica a rintracciarne gli eredi a quei livelli.
Per il resto, ripropongo quanto scrissi sullo stesso argomento durante il Mondiale brasiliano:

Credo che, anche in questo caso, tutto sia riassumibile in una parola: organizzazione.
Qualche esempio:

1) la concreta impossibilità di lavorare sul gruppo, almeno a sentire chi ha esperienze da quelle parti.
Giocatori che arrivano alla spicciolata, anziché rispondere alla convocazione con un minimo di compattezza, rappresentano la norma.
Le alzate di spalle dei dirigenti, se il Ct cerca di farlo notare, anche

2) La scelta dei tecnici, troppo spesso bolliti o scartati dal campionato francese: dove una vera e propria mafia interna assegna le panchine della Ligue 1, destinando gli altri a una Françafrique tuttora gestita con criteri coloniali.
Difficile ricavare granché da svernatori con motivazioni in mutande e ciabatte: a maggior ragione se i contratti sono praticamente a gettone, poiché il meccanismo di cui sopra impone un continuo ricambio per meglio distribuire le fette della torta.
Conseguenza inevitabile: anche quando si azzecca il tecnico giusto, come Patrick Neveu alla guida della Guinea, lo si lascia partire alla prima offerta utile - nel suo caso con destinazione Cina - per mancanza di programmazione sul medio periodo.
Sarà un caso, ma quando un allenatore ha potuto lavorare con un minimo di continuità, magari mettendoci di suo stimoli all'altezza e una certa empatia con l'ambiente, i risultati non hanno tardato a venire: si pensi al povero Bruno Metsu, protagonista sulla panchina del Senegal nel pur sciagurato Mondiale nippo-coreano

3) L'influenza di componenti extra-tecniche nella scelta dei giocatori e lo strapotere di quelli intoccabili, che si ripercuote anche sulla possibilità di imporre la più elementare disciplina al gruppo.
Ricordo solo il principe - nel senso che discendeva davvero da una famiglia dell'aristocrazia locale - Rufai, portiere titolare e capitano della Nigeria a Usa '94 nonostante ci fosse a disposizione di meglio in entrambi i ruoli.
Non che da noi manchino principi - di Frattocchie, però - e raccomandati: ma laggiù si esagera davvero

4) Il modello di sviluppo: mentre in Estremo Oriente si è puntato a rafforzare i campionati e le Nazionali, permettendo alle seconde di attingere sempre più frequentemente ai primi, in Africa tutto si è concentrato sulla valorizzazione dei talenti individuali.
Per venderli quanto prima e realizzare subito un incasso, senza alcun ragionamento in prospettiva.
Questo malaffare si è esteso alle gerarchie interne del calcio nel Continente Nero.
La Tunisia, ad esempio, ha preso a trascurare i vivai preferendo rimpolpare gli organici dei club con una vorticosa compravendita di giovani stranieri, quasi tutti provenienti dall'area sub-sahariana.
Si spiegano così il difficile ricambio e l'eclissi, anche in ambito internazionale, dopo la generazione-Scoglio

5) Corollario del punto precedente, la marginalità delle Nazionali nella vita professionale dei singoli.
I talenti non mancano, ma per loro la selezione del Paese d'origine è quasi un peso: e quando la tengono in considerazione, come nel caso di Eto'o, lo fanno più per avere (potere interno, propaganda in loco, magari nell'ottica di una futura carriera politica) che per dare (un contributo tecnico determinante).
Per un giocatore, il core-business si limita così a un ingaggio nella Liga o in Premier: difficile ipotizzare che lo metta in pericolo rischiando le caviglie contro un terzinaccio del Malawi

6) Altro sviluppo nella stessa direzione: la spaccatura fra i giocatori rimasti nei tornei locali, che spesso conquistano da soli l'accesso alle fasi finali, e gli "stranieri" impegnati in Europa e altrove, che sovente arrivano solo a qualificazione conquistata.
Una situazione abbastanza comune vede questi ultimi ostentare la lingua del Paese d'adozione, sbattendola in faccia alla stregua di uno status-symbol: non il modo migliore per fare gruppo e conquistarsi una leadership che non sia solo strapotere.
Storie di emigrazione, più che di calcio.
E storie di politica locale: dove le classi alte, anziché assumere la guida del Paese come vorrebbe qualche illuso, puntano sopratutto a smarcarsi dalla sua realtà