Il ricordo toccante scritto da Marco Giordano, il figlio di Bruno, su
Millenovecento:
Maurizio Scarsella, una vita e una carriera gettate nel fango
di Marco Giordano
La massima ambizione per un calciatore è lasciare un segno indelebile nella storia del calcio: ma a volte il destino crea dei personaggi che saranno ricordati non per i loro successi o le reti segnate, bensì per una vita di eccessi, di errori e per la loro sfortuna.
Fin da piccolo ho sempre amato sentire mio padre raccontare aneddoti quotidiani su grandi campioni del passato, ma tra i tanti nomi famosi, tra i Chinaglia, Maradona e Careca, ce n’è sempre stato uno sconosciuto ai più, quello di Maurizio Scarsella. Uno che campione non è stato, anche se aveva il fisico di e il tocco di classe per sfondare, per arrivare ad altissimi livelli.
Il primo ricordo che ho di Maurizio non è propriamente mio, ma frutto dei racconti di mia madre. Ogni volta che mamma sente parlare di Scarsella, le cala un velo di tristezza sul volto, che poi lascia il posto ad un timido sorriso quando mi ricorda (e lo fa sempre…) di tutte le volte in cui lui le chiedeva il permesso di prendermi in braccio e di portarmi un po’ in giro. Come fa un padre con un figlio, oppure un fratello maggiore con il fratellino nati a tanti anni di distanza.
Del Maurizio Scarsella giocatore ho scoperto tutto o quasi da grande, documentandomi, perché fino ad allora a livello calcistico sapevo di lui solo ciò che mi aveva detto più di una volta papà, anche lui con gli tristi e un tono di voce colmo di rimpianto: “aveva il fisico di Van Basten ed il sinistro di Mihajlovic”.
Maurizio è nato a Roma il 28 marzo 1962, ha iniziato la sua carriera nell’Urbe Tevere, per poi approdare alla Lazio nel 1973.
A soli 11 anni, sotto l’occhi vigile di Volfango Patarca, inizia così la lunga trafila nelle giovanili, fino ad approdare alla Primavera dove vince la Coppa Italia nella stagione 1978/79. Di lui se ne parla un gran bene fin dall’inizio e il commento di tecnici e osservatori è sempre lo stesso: “E’ un giocatore dal fisico possente, ma elegante, come ne nascono pochi. E poi, con quel sinistro…”.
L’anno seguente, anche su insistenza di papà e di altri che lo hanno visto giocare, Bob Lovati decide di aggregarlo alla prima squadra. E il 4 maggio del 1980, complice anche la vicenda del Calcio Scommesse che lo ha privato di giocatori importanti, Bob Lovati fa esordire Scarsella in Serie A. Succede a Torino in una partita in cui la Lazio si batte ma esce sconfitta per 1-0.
La domenica successiva, Maurizio, gioca la sua seconda ed ultima partita in maglia biancoceleste in A, in casa contro il Milan.
Per Scarsella, quelle due apparizioni sembrano solo un assaggio, l’inizio di una grande carriera, ma anche il giusto e inevitabile epilogo per tutti quelli che lo hanno visto crescere nelle formazioni giovanili e che avrebbero scommesso ad occhi chiusi su un futuro da campione per quel bel ragazzo con il mancino fatato: ma, purtroppo, le cose andranno in modo diverso.
La stagione successiva, un po’ a sorpresa, la giovane promessa del vivaio biancoceleste non viene convocata per il ritiro estivo della prima squadra dal neo tecnico Ilario Castagner. C’è un campionato da vincere a tutti i costi per tornare in Serie A e l’ex allenatore del Perugia dei miracoli preferisce puntare sull’esperienza e non rischiare inserendo giovani in prima squadra. Maurizio, quindi, torna in Primavera agli ordini di Roberto Clagluna e trova le porte della prima squadra sempre sbarrate, eccetto che in occasione di una partita di Coppa Italia. Il 25 marzo del 1981, a Bologna, nella sfida di ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia, dove gioca tutta la partita in coppia con Lorenzo Marronaro, un altro “gioiellino” della Primavera.
Nella stagione 1981/82, la Lazio decide di cederlo in prestito al Termao per fargli fare le ossa in Serie C. Gioca 15 partite e segna un gol. Non è abbastanza per convincere la Lazio a tenerlo, quindi Maurizio continua a girare l’Italia e di prestito in prestito indossa le maglie del Varese, della Reggiana e del Messina, fino ad approdare a metà degli anni Ottanta nella Puteolana.
In quegli anni mio padre gioca nel Napoli di Maradona e Maurizio è sempre con noi. Io sono appena nato, ho solo qualche mese e, come ho già raccontato prima, Maurizio è il mio “dondolatore” preferito.
Anche alla Puteolana, come era successo in tutte le altre squadre, le cose per Scarsella non vanno benissimo, perché lui come sempre divide il suo tempo tra la passione per il calcio e quella per le belle donne: anzi, si dedica forse più alle seconde che al calcio e alla sua carriera. Ad aggravare la situazione, già pesante per i risultati al di sotto delle attese, ci si mette la società che smette di pagare i suoi giocatori. E’ in quel momento che papà decide di prendere Maurizio ulteriormente sotto la sua ala, invitando quel giovanotto talentuoso e scapestrato a passare il resto della stagione a casa nostra, come un componente della famiglia a tutti gli effetti. Forse perché papà meglio di chiunque altro conosceva Maurizio, ma soprattutto il rischio che corrono tanti ragazzi di perdersi, di gettare al vento carriera e futuro perché si ritrovano da soli, senza una guida e senza avere il carattere giusto per resistere alle tante, troppe tentazioni.
Aneddoti di quel periodo papà ne ha a centinaia, come quando quasi ogni settimana Maurizio presentava la sua ultima conquista cercando la sua approvazione e tutte le volte la risposta era sempre la stessa: “a Maurì, deve piacere a te, mica a me”. Oppure quando, durante un breve periodo di prova all’Olbia, rispose alla domanda di papà su come si trovasse là dicendo : “Bene! Qua però sullo stesso cartello all’entrata della città ce sta scritto Benvenuti e Arrivederci”.
Scarsella era una forza della natura in campo, quanto nella vita. Non aveva freni, era sincero, spontaneo, genuino, al punto che il giorno che conobbe mia madre le chiese se mentre baciava Bruno Giordano pensava mai che in quel momento stava baciando “er più de Trastevere”.
Come ho scritto prima, io non ho mai visto giocare Maurizio e avrei voluto avere molti più ricordi personali di lui, sia come calciatore che come uomo. Ma si possono intuire facilmente le sue qualità calcistiche, perché non c’è un laziale DOC che ho conosciuto, tra gli ex compagni di squadra di papà e gli amici, che non prenda lui come esempio quando si parla di talento sprecato. Sì, sprecato, perché si può parlare di fortuna quando nasci con certe qualità, ma non ci si può nascondere dietro la scusa della sfortuna quando certi doni della natura vengono gettati al vento e dispersi a causa di un carattere non all’altezza di quel talento. Maurizio è l’emblema di quanti fattori servono per diventare un campione, la dimostrazione lampante che la testa di Gattuso alla fine è stata più decisiva del sinistro magico di Scarsella, in un gioco in cui piedi sono fondamentali quanto la testa. Intesa come cervello.
Ma un giocatore può lasciare dietro di sé una scia romantica ed un ricordo felice anche senza aver alzato al cielo trofei, ma vivendo una vita intensa, sempre a mille all’ora, mettendoci sempre tutto se stesso.
Mio padre è un uomo tutto d’un pezzo, che non mostra facilmente nostalgia per il passato o tristezza per la mancanza di persone che non ci sono più: ma proprio per questo è più facile capire quando e quali persone gli hanno lasciato un vuoto profondo dentro. E Scarsella è una di quella, anzi, è in cima alla lista.
Per me Maurizio resterà sempre quel ragazzo bello e sfrontato che in un modo o nell’altro finisce sempre in mezzo ai racconti di papà. E non mi importa se non è diventato il nuovo Van Basten, perché è comunque riuscito a farsi ricordare da tutti gli altri laziali e soprattutto da mio padre, con la commozione che nasce da dentro e che ti fa cambiare espressione quando ricordi una persona speciale.
Maurizio Scarsella è morto all’età di 31 anni, per una malattia figlia di quella vita troppo sregolata che ha sempre condotto e che alla fine lo ha portato alla rovina. Papà andò a trovarlo l’ultima volta in ospedale tre giorni prima della sua scomparsa e mi ha detto con la voce emozionata: “Maurizio se n’è andato a 31 anni ma è come se ne avesse avuti 150 per quante ne ha fatte in vita sua. La sua è stata una vita degna di un libro, con un finale che ricordo come fosse oggi. Maurizio era un gran fan di Renato Zero, quante serate passate con lui che lo imitava cantando le canzoni più famose, ed il destino ha voluto che ricevessi il messaggio della sua scomparsa mentre ero ad un concerto di Renato Zero iniziato da poco. E non sai quante lacrime ho versato insieme a tua madre quella sera e poi sempre da allora cantando tutte quelle canzoni che a lui piacevano cosi tanto”.
Io voglio ricordarmelo così Maurizio Scarsella: non per i gol o per i trofei che avrebbe potuto vincere, ma per esser stato un laziale cha ha fatto emozionare altri laziali, chi lo ha solo visto giocare e chi ha giuocato con lui. Il massimo per un ragazzino che cresce con la maglia biancoceleste tatuata sulla pelle.
Ho sentito e sentirò mille storie di papà su grandi del passato come Maradona, D’Amico, Laudrup e tantissimi altri campioni con cui ha giocato, ma difficilmente vedrò sul suo volto quel sorriso misto a commozione che tu gli provochi e che fa capire a me quanto lui, come tutti quelli che che ti conoscevano, ti volesse bene.
Ciao Maurizio.