(Il Fatto Quotidiano 22.07.2010)
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Il calcio dei sentimenti
(di Nanni Delbecchi)
“Non mi piace raccontare i miei gol”. Miglior commento alle sue prodezze in campo non poteva trovarlo Gigi Riva, il più grande cannoniere della storia del calcio italiano. Accade nel corso della puntata inaugurale di “Sfide” (Raitre, venerdì, 22.50), il programma di Simona Ercolani che con una certa audacia tenta di restituire lo sport alla sua vocazione narrativa e di strapparlo al vaniloquio perenne in cui è sprofondato. In ogni sfida c’è una storia, e non c’è storia più esemplare di come è cambiato il calcio negli ultimi quarant’anni quanto quella di Gigi Riva. Sfilano spezzoni in bianco e nero delle prodezze di “Rombo di tuono”, come lo aveva nominato Gianni Brera, più qualche controcanto odierno di lui e dei suoi compagni, Cera, Albertosi, Burnich, Domenghini. Vecchie figurine Panini che si faticava ad appiccicare sull’album, erano gli anni ruggenti della Coccoina, oggi diventati tranqulli signori prossimi alla pensione. Ma nel bianco e nero delle immagini di repertorio luccicava una misteriosa polverina d’oro, qualcosa addirittura di “mitico”, per usare un termine che non si è mai usato tanto a sproposito. E, lui, Rombo di tuono, più che un eroe sembrava un dio. Come sono gli dèi? Per cominciare, uguali a se stessi. Gigi Riva, a 66 anni, è rimasto se stesso. Anche se lavora nella Nazionale svolge un ruolo quasi invisibile; non è diventato allenatore, direttore sportivo, telecronista, opinionista non va ospite nei processi del lunedì, e del martedì, e del mercoledì. È rimasto sempre il solito gigiriva, da pronunciare come fosse una parola sola, essenziale e diretto già nel nome – mai avrebbe potuto chiamarsi Pizzaballa –, proprio come il calcio che si praticava negli anni Sessanta. Meno tattico e infinitamente meno fisico di quello di oggi; ma essenziale, minimalista, assoluto come certi diagonali che entravano in rete con la geometria indiscutibile del destino. Vero che il passato, quando si parla di nostalgia, gioca sempre in casa. Ma oggi siamo davvero in un altro mondo. Oggi i campioni sono personaggi da copertina, fotomodelli, testimonial delle lamette e delle mutande, fidanzati delle veline, pupilli di Dolce&Gabbana. Oggi una vera storia d’amore come quella che legò il giovane orfano Gigi Riva alla squadra del Cagliari tanto da rifiutare la corte miliardaria dell’Avvocato, una storia così è semplicemente impensabile. Come c’è stata vita su Atlantide, c’è stato un tempo in cui anche il pianeta calcio è stato abitato dai sentimenti e dal loro epos. Ma nell’afa della terza serata televisiva, la cosa più stupefacente riguardava il Gigi Riva di oggi, questo sessantaseienne dai modi semplici che non sapeva cosa dire della sua giovinezza immortale, con negli occhi il sorriso velato che accompagna sempre le gioie passate. Non c’è sentimento senza pudore; e infatti Riva comunicava il pudore dei propri sentimenti, dei propri ricordi, l’imbarazzo di trovarsi a raccontare la sua stessa gloria davanti alle telecamere; quelle telecamere dove una ressa perenne di questuanti fa la fila per mettersi in mostra. Era lì, in questo culto del pudore perduto, che il calcio ai tempi di Gigi Riva, e non solo il calcio, sembrava parlare da una galassia perduta.