nessuna emozione.
Molto interessante.
Stato d'animo che, più o meno, ricalca il mio, anche se ignoro quali siano le condizioni che non suscitano in disabitato "nessuna emozione" al fischio d'inizio.
Parlo per me: dopo oltre un ventennio da abbonato e quindi dopo centinaia e centinaia di partite (mettendoci dentro anche trasferte e gare di Coppa) trovo tutto sommato comprensibile che quello stupore, quell'emozione che l'Olimpico non può non suscitare nel tifoso, spesso giovane, che inizia a frequentarlo nell'età (infanzia o preadolescenza) dove maggiore è la propensione a stupirsi, col passare degli anni e con la sempre più frequente ripetizione del
rito finisca per affievolirsi. E così quando si arriva allo Stadio in vista della gara casalinga, magari dopo aver superato l'ultimo controllo della foto sull'abbonamento dopo il tornello quando mancano meno di 10 minuti all'inizio della gara, si entra nell'impianto frettolosamente, desiderosi di prendere posto quanto prima e senza troppo concentrarsi sull'evento in sé e - soprattitto - sulle proprie sensazioni.
La priorità è prendere posto prima possibile, con corollario di amichevoli saluti ai vicini di seggiolino che ormai sono parte dell'evento e, per certi versi, una delle componente più emotivamente qualificante, nel senso che è bello essere allo stadio dal vivo ed è bello vivere l'evento-partita assieme a loro. Come se senza quei sodali che il caso ci ha regalato, collocandoli sui seggiolini accanto ai nostri, la partita della Lazio non sarebbe più la stessa cosa.
In tutto ciò, a meno di non ingannare me stesso, di emozione non ce n'è poi molta. Parlo personalmente, sia chiaro.
Detto ciò, non mi basta analizzare uno stato d'animo. Vorrei andare oltre, sempre ragionando di me ma allo stesso tempo invitando gli altri a dire la propria.
E' la routine che, come sperimentiamo in numerosi altri ambiti della vita, che toglie 'magia'?
Oppure, alla lunga, è la sensazione di
dover vivere quell'evento, di essere 'costretto' (costretti, beninteso, nel senso di individui che decidono, consapevolmente, di subordinare ogni altro aspetto della quotidianità dei fine settimana da settembre a maggio alla necessità di essere presenti - salvo concomitanti imperdibili impegni - alla partita della Lazio, così sottomettendosi volontariamente e convintamente a un vincolo ineludibile) a essere ogni volta in cui la Lazio gioca in casa a smitizzare l'evento partita?
In un dibattito qui su biancocelesti di alcuni mesi fa qualcuno palesò la sua 'apprensione' nei confronti dell'atteggiamento, enunciato da altri, che si riassume nell'essere, in quanto tifosi, acriticamente e incondizionatamente disposti ad abbonarsi alla Lazio, quali che siano le condizioni esterne (anche per paradosso in Terza Categoria, dunque).
A parte che tali enfatici enunciati - che io stesso sottoscrivo, beninteso - andrebbero messi alla prova dei fatti, nel senso che tre retrocessioni consecutive dalla A al Campionato nazionale dilettanti, per dire, presumo spegnerebbero gli ardori anche degli arcitifosi più accesi...
Ma rimuoviamo l'obiezione potenziale e diamo seguito al ragionamento: il tifoso assoluto (assoluto in senso etimologico: svincolato da ogni altro elemento che non sia la sua passione verso il Club, pronto dunque a seguirlo anche nell'ultima categoria del calcio dilettantistico) non rischia di finire, paradosso dei paradossi, per minacciare quella passione che pure lo dovrebbe alimentare e che, alla fine, lo connota appunto come tifoso assoluto?
Il fatto di doverci essere a prescindere perché questo hai deciso, perché è l'unica modalità plausibile di vivere la propria passione non rappresenta, ripeto paradossalmente, una minaccia nei confronti della passione stessa?
Mi si potrà obiettare che, ragionevolmente, alla soglia dei tre decenni di attiva frequentazione dello stadio - pur con una Lazio che offre, attualmente, spettacoli più che degni e garantisce prospettive di prestazioni sportive non comparabili con buona parte della nostra storia ultracentenaria - un'attività così a lungo ripetuta finisce inevitabilmente per produrre qualche
logorio. O, più prosaicamente, finisce per dileguare quella magia che la caratterizzava all'inizio del percorso (quando, guarda un po'...
, si era assai più giovani di oggi e si avevano, riguarda un po'
, assai meno responsabilità di quelle attuali).
Tutto ragionevole, in linea di massima. Ma c'è dell'altro. Che, evidentemente, io stesso fatico a dettagliare.