Autore Topic: Stefano Lovati: "Mio padre meritava l'Academy"  (Letto 631 volte)

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Stefano Lovati: "Mio padre meritava l'Academy"
« : Giovedì 29 Maggio 2014, 11:57:24 »
www.laziopolis.it

Sensazioni e le speranze per il futuro confidate al Corriere dello Sport



Una vita per la Lazio, quella di Bob Lovati. Che nei giorni scorsi è stata premiata con l'intitolazione dell'Academy sorta a Formello. Una promessa di lazialità, un nome caro, carissimo ai tifosi, che tanto hanno bisogno di sentirsi di nuovo a casa, abbracciati dalle loro bandiere.
 Il figlio di Bob, Stefano, racconta al Corriere dello Sport le sue emozioni e le sue speranze nate grazie e insieme all'Academy. Di seguito, l'intervista integrale rilasciata a Daniele Rindone.

Academy “Roberto Lovati”. Professor Stefano Lovati, figlio di Bob, ortopedico di fiducia della Lazio, è ancora forte l’emozione?
«E’ molto forte. Questa Academy è perfetta per papà: ha iniziato come preparatore dei portieri, è stato allenatore della Primavera. Tutti i giocatori che arrivavano in società incontravano subito lui, era la prima persona che conoscevano. Li tranquillizzava, li istruiva, gli faceva conoscere la loro nuova casa. Sono contento, questa onorificenza la meritava».

C’è stata una votazione, ha coinvolto i tifosi. Anche lei ha conosciuto l’esito direttamente a Formello?
«Ero stato avvisato dalla società della creazione di questo evento e della votazione, in ballo c’era la possibilità che l’Academy portasse il nome di papà. Sono arrivato a Formello intorno alle 16,30, ho notato un clima abbastanza euforico, forse la notizia si era sparsa. Quando il presidente Lotito ha svelato l’esito della votazione ho provato un’emozione molto forte. Papà competeva con figure storiche come Piola, il bomber per eccellenza, come Maestrelli e Chinaglia. Lui è stato nelle retrovie come personaggio mediatico, partiva da outsider rispetto a Tommaso e Giorgio. Non me l’aspettavo…».

Bob ha dedicato la sua vita alla Lazio, è indimenticabile.
«Ha vissuto la storia della Lazio per più di mezzo secolo. Era venuto dal Nord, non è nato laziale, lo è diventato. La Lazio non l’ha mai abbandonata pur avendone avuto l’opportunità. Non ha cambiato bandiera, ha rifiutato remunerazioni più alte. E’ stato un amore mai tradito, ha fatto da trait d’union tra le varie gestioni, tra i giocatori. E’ stato un riferimento per tutti, non solo per la società, ma anche per i giovani che arrivavano nella Lazio».

E’ bello ricordare le volte in cui piombava a Formello…
«Arrivava e il presidente, quando c’era, lo accoglieva in modo affettuoso. Papà andava a vedere la Primavera, osservava il calcio giovanile. Durante l’era Cragnotti era il capo degli osservatori, girava il mondo, viveva più in aereo che a casa. I contatti con i giovani erano continui. Tempo fa, prima della sua scomparsa, mi fece vedere un foglio, c’erano alcuni nomi annotati negli anni passati, adesso non li ricordo. Erano calciatori europei, li aveva seguiti, li aveva reputati interessanti. Nel frattempo erano esplosi a livello internazionale, era un grosso conoscitore di calcio, i potenziali campioni li vedeva subito».

Bob Lovati sarebbe stato un maestro perfetto per l’Academy laziale. A lei quali insegnamenti ha lasciato?
«Mi ha insegnato tanto nella vita. Insegnava ad essere sempre se stessi, ad essere onesti nei confronti del proprio lavoro e nei confronti di chi si comportava bene. Insegnava a essere caparbi nell’inseguire i sogni, a rispettare l’avversario. La filosofia di papà era questa: bisogna mettere in campo tutte le forze che si hanno. Diventare calciatori o medici, come nel mio caso, non è semplice. Papà parlava molto con le famiglie dei ragazzi, spiegava loro che il calcio non era tutto nella vita, che una via d’uscita bisognava sempre averla. Papà consigliava ai ragazzi di proseguire gli studi, di imparare anche altri mestieri, non solo di buttarsi a capofitto nel calcio perché a un certo punto puoi voltarti e rischi di rimanere privato della vita».

Di padre in figlio, che bel motto. I padri della Lazio, i più famosi, rivivono grazie a figli come lei, come Massimo Maestrelli, come Giorgio Chinaglia junior. Le ha fatto piacere rivederli il 12 maggio?
«Li ho rivisti con piacere, in realtà non ci siamo mai persi di vista. Quella notte ho percepito un’aria leggermente diversa, spero che quello spirito continui anche nella gestione Lotito. Il presidente, in questo senso, forse si è un pochino ammorbidito. Il discorso che ha fatto a Formello è stato molto, molto profondo».

Che idea si è fatto?
«Lotito ha detto che il suo rammarico è non essere entrato nel cuore dei tifosi, credo che l’abbia detto con sincerità. In questo momento penso abbia voglia di riavvicinarsi alla gente e spera che la gente si riavvicini a lui. L’Academy può essere un inizio, un momento utile per far capire che qualcosa si sta muovendo anche in questa società».

E Bob come avrebbe vissuto il giorno dell’intitolazione dell’Academy?
«Male. Lui cercava sempre di non essere in prima pagina, non voleva essere un protagonista ufficiale. Magari lo era, ma lui preferiva stare nelle retrovie. In cuor suo gli avrebbe fatto piacere, ma una presentazione come quella che abbiamo vissuto a Formello gli avrebbe creato un po’ di disagio. Papà cercava di defilarsi da eventi simili, preferiva proclamazioni molto più modeste, forse è stata questa la sua vera forza».

I giovani di oggi conoscono Bob Lovati, è il premio più bello?
«Credo di sì. Il nome di papà è stato tramandato di generazione in generazione. Lunedì, a Formello, mi hanno fermato due ragazzi della Primavera. Si sono avvicinati, mi hanno abbracciato, mi hanno ringraziato. I nonni o i padri gli avranno detto qualcosa di grandioso di mio padre, ciò che ha tramandato non morirà mai».

Cosa le ha detto il presidente Lotito in privato?
«Abbiamo parlato, mi ha spiegato il progetto. E’ molto bello, è molto serio, all’avanguardia. Sono convinto che Lotito volesse bene a papà, non entro nel discorso aziendale. Il presidente era molto contento per l’esito della votazione, questo è sicuro, me lo ha dimostrato. Ho letto sincerità nei suoi occhi, mi sbaglio raramente in queste cose, ho un po’ l’occhio clinico».

Il progetto è stato svelato, prevede anche la costruzione di un centro medico all’avanguardia. Lei, da responsabile ortopedico della Lazio, come giudica l’iniziativa?
«Me lo auguro. Per un progetto così prezioso come l’Academy avere al suo interno una struttura sanitaria potrebbe essere una cosa molto importante. A volte i ragazzi delle giovanili non sanno dove andare a svolgere gli accertamenti. Spero che il centro nasca e che si avvalga di personale competente per seguire tutte le situazioni sanitarie del mondo Lazio».

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