Autore Topic: La grande storia dei mondiali: Messico 1970  (Letto 1389 volte)

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Giglic

La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« : Lunedì 31 Marzo 2014, 09:30:28 »
NB: il buon Zap ci delizierà con suo approfondimento sull'Italia: è il motivo per cui qui se ne parla meno di quanto meriterebbe. Ringrazio al solito Roberto: il confronto con lui è sempre fonte di gioia, e l'occasione per rimediare ad alcune inesattezze.

La scelta della nazione ospitante la nona edizione della coppa Jules Rimet (ultima volta che il Campionato del Mondo si sarebbe chiamato così) venne effettuata nell’ottobre del 1964 a Tokio, due giorni prima dell’apertura della XVIII Olimpiade. La regola non scritta prevedeva che la nazione ospitante sarebbe stata questa volta americana, ed infatti le candidature furono due: l’Argentina (che ci provava così per l’ennesima volta) ed il Messico. Nonostante la maggiore tradizione calcistica dei sudamericani, l’attività di lobbying fatta dai messicani, assieme a considerazioni anche di carattere politico (sarebbe stata la prima volta che la fase finale di un campionato mondiale sarebbe stato giocato fuori dai due continenti “storici” del calcio) fecero propendere per l’assegnazione della manifestazione verso i centroamericani, che oltretutto avevano avuto anche l’organizzazione delle olimpiadi di Città del Messico del 1968. Ennesimo smacco per l’Argentina, che oltretutto neanche riuscì a qualificarsi.

Le diatribe politiche furono anche alla base dell’assegnazione dei posti disponibili: dato al Messico (ospitante) ed Inghilterra (campione uscente) i due posti di diritto, i restanti 14 posti sarebbero stati assegnati a tutti i continenti, accogliendo così, con 4 anni di ritardo, le richieste della confederazione africana, la AFC, che reclamava un posto per se. Nella ripartizione a rimetterci fu il Sudamerica, che delle quattro “solite” nazionali ne ebbe solo tre. L’Europa tenne i nove posti, grazie all’Inghilterra campione del mondo.

Le nazionali iscritte furono 75. Dal girone asiatico (che conteneva anche Israele, stavolta e, per ragioni politiche, la Rhodesia, l’attuale Zimbabwe), che aveva 7 nazioni scritte, venne subito esclusa la sorpresa vera del 1966: la Corea del Nord, che si rifiutò di giocare per motivi “politici” proprio con la nazionale israeliana. Come si può vedere, la politica internazionale cominciava ad influire pesantemente sul calcio, cominciando a rovinare lo sport più bello del mondo. Ben altri casi, purtroppo molto più tragici, sarebbero accaduti. Le semifinali per determinare chi avrebbe staccato il biglietto per il Messico avrebbero visto Israele, Nuova Zelanda e Rhodesia ammesse direttamente alle semifinali, mentre la quarta squadra sarebbe uscita fuori da un gironcino con Australia, Corea del Sud e Giappone che vice prevalere gli Oceanici. Nella finale nel dicembre 1969, Israele batté gli australiani (1-0 a Tel Aviv ed 1-1 a Sydney), qualificandosi così finalmente per la prima volta per la fase finale dei mondiali.

La nazionale africana sarebbe stata invece scelta tra 13 nazionali (11 accettate dalla FIFA) che videro, nel girone finale, il Marocco prevalere sulla Nigeria e sul Sudan. Anche per la nazionale africana sarebbe stato il debutto ad una fase finale dei mondiali, nonché la seconda squadra proveniente da quel continente dopo l’esperienza dell’Egitto nel 1934 in Italia.

Il posto della CONCACAF, oltre al Messico qualificato come nazione ospitante, (13 nazionali iscritte, 12 accettate) fu invece conteso in maniera molto più drammatica: le 12 nazionali furono divise in 4 gruppi da tre. Le vincenti avrebbero poi disputato semifinali e finali i gare di andata e ritorno. Queste furono USA, Haiti, Honduras, ed El Salvador. Haiti ebbe la meglio sugli statunitensi, mentre Honduras ed El Salvador furono costrette ad una gara di spareggio a città del Messico, che finì 3-2 dopo i supplementari proprio per El Salvador. Per le due nazioni, già sull’orlo di una guerra per motivi economici (El Salvador, molto piccolo, aveva il doppio della popolazione honduregna, ed essendo poverissimo aveva tanti abitanti che migravano verso la nazione confinante, che oltretutto avendo una gestione latifondista dell’agricoltura, aveva forte bisogno di braccia da lavoro. Quando la politica cambiò, i salvadoregni furono espulsi dall’Honduras, e questo creò la tensione) quella partita fu la scintilla che accese la guerra vera e propria.
Nell’estate del ’69 scoppiò il conflitto, che vide, prima del cessate il fuoco, quasi 3.000 morti tra militari e civili di entrambe le nazioni. La guerra si chiuse poi solo nel 1980, con i poveri salvadoregni che non furono accettati neanche al ritorno in patria, e che diventarono poverissimi e senza nulla. Per tornare al calcio giocato, El Salvador vinse poi con Haiti con un gol nei tempi supplementari dello spareggio, qualificandosi così – anch’essa per la prima volta – per una fase finale dei mondiali.

Per la CONMEBOL le 10 nazioni furono divise in tre gironi, uno da 4 e due da tre, dove i tre vincitori avrebbero ottenuto il via libera per il Messico. Solite teste di serie: Argentina, Brasile, Uruguay. Queste ultime due ebbero vita facile, il Brasile addirittura vincendo tutte e sei le proprie partite, con uno score impressionante di 23 reti fatte e di solo 2 subite. Era guidato da Joao Saldanha, un giornalista, ex calciatore del Botafogo, che riuscì, con il 4-2-4, a far coesistere un attacco stellare, composto da fuoriclasse che nelle loro squadre giocavano tutti con il n. 10: Pelé, Gerson, Tostao, Jairzinho e… Dirceu Lopes (Rivelino fu escluso da Saldanha, che aveva diramato le 22 convocazioni addirittura nel 1969). A sorpresa, invece, l’Argentina venne eliminata, finendo addirittura ultima nel suo girone. A qualificarsi per il Messico fu il Perù di Felix Alberto Gallardo, ben conosciuto in Italia (aveva giocato due anni a Cagliari), e di un giovanissimo centrocampista che farà parlare di se: Teofilo Cubillas.

Le squadre dell’UEFA iscritte furono, oltre all’Inghilterra qualificata di diritto come campione uscente, 30. Fu rifiutata l’iscrizione dell’Albania e si organizzarono 8 gruppi (cinque da quattro, e tre da tre, tutti con gare di andata e ritorno) dove le prime classificate si sarebbero qualificate per la fase finale. Le nazionali che staccarono il biglietto per il Messico furono la Romania (sul Portogallo, che non era più la forte nazionale di quattro anni prima), la Cecoslovacchia dopo uno spareggio con l’Ungheria a Marsiglia, L’Italia (con Riva che segnò 7 reti nelle 4 partite del girone), l’URSS, la Svezia, che tornava ai mondiali dopo il secondo posto in casa nel 1958, il Belgio (su Jugoslavia e Spagna), la Germania Ovest e la Bulgaria, che ebbe la meglio su Polonia ed Olanda, il cui movimento stava crescendo, ma non era ancora esploso. Negli arancioni, però, cominciava a farsi strada un giovanotto di ventidue anni dell’Ajax, che avrebbe fatto parlare, e molto, di se: Johann Cruijff.

Con le 16 squadre già qualificate, il sorteggio si tenne nel Gennaio del 1970 a Città del Messico. Delle otto nazionali approdate ai quarti di finale nel 1966, quattro non si erano qualificate: un rinnovamento tra i più drastici della storia del calcio. Non ci furono teste di serie, ma 4 fasce: Sudamericane più Messico, Europee Forti (Italia, Germania Ovest, Inghilterra, URSS), Europee meno forti (Svezia, Belgio, Bulgaria, Cecoslovacchia) e “resto del mondo” cui fu abbinata la Romania come squadra meno forte delle europee. Di n uovo, Messico e Inghilterra sarebbero stati inseriti d’ufficio nei gruppi 1 e 3 , in modo tale da non potersi scontrare nei quarti di finale.

La formula sarebbe stata identica a quella del 1966, con la differenza che a dirimere il passaggio del turno non sarebbe più stato il quoziente reti, ma la differenza reti, e che in caso di parità dopo i tempi supplementari nella fase ad eliminazione diretta, la partita non si sarebbe ripetuta, ma il vincitore sarebbe stato deciso dalla sorte. Altre novità furono l’introduzione del cartellini gialli e rossi per indicare ammonizioni ed espulsioni (non ci sarebbero più stati equivoci in merito alle sanzioni arbitrali, come successe nel 1966 in occasione di Inghilterra-Argentina), e soprattutto sarebbero state consentite le sostituzioni: due per squadra durante la partita.

Giglic

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #1 : Lunedì 31 Marzo 2014, 09:31:46 »
I gruppi estratti furono:
Gruppo 1 Messico, URSS, Belgio, El Salvador (sorteggio estremamente benigno per i padroni di casa, tanto che qualcuno cominciò a pensare ad un’estrazione “pilotata”);
Gruppo 2 Uruguay, Italia, Svezia, Israele;
Gruppo 3 Brasile, Inghilterra, Cecoslovacchia, Romania (vero girone di ferro);
Gruppo 4 Perù, Germania Ovest, Bulgaria, Marocco.

Nel marzo 1970, però, la politica torna a mettere il becco nello sport: nell’ottobre 1969 salì al potere in Brasile il più violento ed oppressivo dei generali dell’Esercito, Emilio Medici (capo del Servizio Segreto) che diede al suo regime forti connotati dittatoriali, con libero uso di torture e soppressione della libertà di stampa. Ne andò di mezzo, tra gli altri, anche il disegnatore della magliette verdeoro della nazionale brasiliana, che perse il lavoro e fu costretto all’indigenza. Saldanha, che era comunista, non poteva essere tollerato nonostante la sua indiscussa abilità come CT. Alla richiesta di inserire nei 22 giocatori alcuni nomi indicati da Medici stesso, rispose “i giocatori li scelgo io, è il mio lavoro, il presidente non mi ha chiesto quali ministri mettere al governo”. Non poteva durare. Il presidente della federazione brasiliana, Joao Havelange gli diede il benservito solo due mesi prima dell’inizio dei mondiali. Per sostituirlo fu scelto L’ala sinistra dei mondiali del 1958, Mario Zagallo, il quale, a parte alcuni cambiamenti (mise Rivelino titolare) confermò l’impianto del 4-2-4 creato da Saldanha, lasciando per il resto molto liberi i giocatori di mettersi in campo come volevano. Del resto, un insieme di talenti di quel genere non richiedeva un’enorme sapienza tattica.

Torniamo però al calcio giocato. I due interrogativi maggiori che si ponevano le squadre sarebbero stati l’altura (le sedi variavano da un’altezza di 1.500 metri fino a 2.600 metri sul livello del mare) ed il caldo. Infatti, per ragioni televisive, tanti incontri vennero giocati a mezzogiorno o nel primo pomeriggio per venire incontro al fuso europeo. E tra l’umidità e l’altezza, l’attenzione a dosare le forze doveva essere massima. Si temeva quindi un’esasperazione del calcio difensivo e gli ordini ricevuti dagli arbitri furono infatti quelli di non tollerare assolutamente il gioco violento che tanti infortuni aveva generato nelle due precedenti edizioni dei mondiali. In effetti, il calcio difensivo fu prevalente; ma data l’enorme concentrazione di campioni presenti, e data l’attenzione degli arbitri ai falli, gran parte delle partite furono spettacolari. La media gol per partita salì fino a 2,97 e da allora non ha più raggiunto questo livello.

Per la prima volta, oltretutto, si giocò con un “pallone FIFA ufficiale”. Era nata una della più lunghe sponsorizzazioni della storia, con l’Adidas che da allora avrebbe fornito i palloni a tutti i mondiali. Un bel passo avanti, per la ditta tedesca, dai tacchetti svitabili del 1954…. Il pallone in questione, forse il più famoso di tutta la storia del calcio, è il “Telstar”. Trentadue tasselli (tasselli, non pannelli) di cuoio: dodici pentagoni neri e venti esagoni bianchi cuciti a mano. Si chiamava così per l’unione delle parole “television” e “star”, furono infatti i primi mondiali trasmessi interamente in mondovisione, e quell’alternanza di bianco e nero rendeva molto visibile il pallone sui televisori di tutto il mondo, che per la maggior parte erano ancora in bianco e nero. Per caso (ma secondo noi l’assonanza era voluta) il primo satellite per trasmissione televisive (1962) si chiamava proprio Telstar, ed aveva una forma molto simile a quella del pallone.

L’arrivo in Messico, per molte nazionali, fu un’avventura: la più colpita fu proprio l’Inghilterra campione del mondo. Il CT Alf Ramsey che si attirò l’ira di tutta la nazione ospitante affermando che non si fidava dei prodotti e del vitto messicani, e che si sarebbero portati tutto da casa. Cosa vera (come vedremo, la maledizione di Montezuma – così era chiamata una diarrea da batteri che si prendeva molto probabilmente con l’acqua - colpirà tanti giocatori) ma non era forse il caso di dirlo con tanta supponenza da civilizzato che va tra gli indigeni. Oltretutto, la nazionale inglese arrivò in Messico prova del suo capitano Bobby Moore, arrestato (si, avete letto bene, arrestato) in Colombia perché accusato di aver rubato dei gioielli da un’oreficeria di Bogotà. Accusa che cadrà solo nel 1975, e che bloccò il calciatore tra galera e domicilio coatto in Sudamerica fino a tre giorni prima dell’inizio del mondiale.

La partita inaugurale fu quella del girone 1: il 31 Maggio Messico e URSS giocarono a mezzogiorno dopo la cerimonia inaugurale. I sovietici, ammaestrati dal caldo enorme, mandarono per la cerimonia di apertura solo le riserve, facendo così riposare i titolari. Il Messico, dopo il successo delle Olimpiadi del 1968, voleva di nuovo affermare la sua presenza al mondo con un campionato di calcio che sarebbe finalmente stato memorabile.  Fu la partita dove ci fu il primo cartellino giallo (letterale) della storia dei mondiali (il sovietico Lovchev) e la prima sostituzione : sempre per l’URSS, Puzach entrò all’inizio del secondo tempo. Ma la partita fu di una noia mortale. Uno 0-0 tra due squadre che non si volevano fare male, e l’episodio più degno di nota fu una pallonata che l’arbitro tedesco Tschenscher ricevette in peno volto dopo soli 20” di gioco. Il Belgio, invece, batteva El Salvador 3-0.

La giornata decisiva diventava la seconda: mentre il Messico batteva El Salvador 4-0 (ed i giocatori salvadoregni protestarono a lungo per il primo gol, frutto secondo loro di fuorigioco), l’URSS demoliva il Belgio: al 1’ quest’ultimo su calcio d’angolo costringeva prima il portiere sovietico ad un miracolo, e poi, sulla ribattuta, Van Moer prendeva la traversa interna. Ma era un fuoco di paglia; troppo più atleticamente pronta ed organizzata l’URSS per i poveri belgi, che subirono quattro gol prima di poter segnare la rete della bandiera.

Poiché nell’ultima giornata era facile immaginare una vittoria sovietica su El Salvador (come in effetti avvenne, per 2-0), l’altro posto per i quarti di finale doveva decidersi nell’incontro tra Messico e Belgio. Un rigore per il Messico al 14’ del primo tempo fissò il risultato sull’1-0. Messico ai quarti, e come secondo per sorteggio, essendo la differenza reti con l’URSS pari (6 gol fatti ed uno subito per i sovietici, 5 gol fatti e zero subiti per i messicani: interessante notare che se si fosse usato il quoziente reti sarebbe invece arrivato prima la squadra di casa). Visti i risultati del gruppo 2, forse ai messicani stava bene così: meglio l’Italia dell’Uruguay, pensavano.

Giglic

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #2 : Lunedì 31 Marzo 2014, 09:33:26 »
Nel gruppo 2, infatti, arrivarono primi gli azzurri, nel match di esordio contro la Svezia, bastò una rete di Domenghini al 12’ con la gentile collaborazione del portiere scandinavo per liquidare la pratica, mentre contro Uruguay e soprattutto contro Israele furono due 0-0. Ma se contro l’Uruguay lo 0-0 fu cercato con pervicacia da entrambe le squadre (che furono subissate da fischi), contro Israele la terna arbitrale non fu certo favorevole agli azzurri.

Fu questa l’ultima telecronaca di Niccolò Carosio per la nazionale italiana: l’episodio del “negraccio”, rivolto al guardialinee etiope che aveva sbandierato un fuorigioco inesistente a Riva annullando così il gol è conosciuto a tutti. Meno noto è il fatto che Carosio quella frase… non l’ha mai pronunciata. Lo nominò tre volte (citiamo dall’ottimo lavoro di ricerca fatto da Massimo De Luca): ovviamente all’elenco della terna arbitrale (e li disse nome e cognome), poi parlando dell’”etiope” che non aveva sbandierato un evidente fuorigioco israeliano che Albertosi aveva prontamente sventato, e tre minuti dopo dove invece il fuorigioco israeliano fu segnalato (“questa volta l’etiope ha sbandierato”, disse). Nell’occasione del gol di Riva, Carosio disse “Riva esulta, l’arbitro ha convalidato ma… il guardialinee ha segnalato il fuorigioco. Siamo proprio sfortunati!”. Alla fine della telecronaca Carosio fu invitato a rientrare in patria perché la parola “etiope” poteva creare polemiche (la RAI di Bernabè era fatta così…) ma sotto le proteste di tutti (in particolar modo di Enzo Tortora, altro epurato di Bernabè, che disse che poiché nell’Aida anche Radames parlava di un etiope, se cacciavano Carosio dovevano cacciare anche Radames) si trovò il solito compromesso tipico delle nostre parti: Carosio rimaneva in Messico, ma le telecronache dell’Italia le avrebbe fatte Nando Martellini. Si seppe dopo cosa era successo: alla radio, nel dopo partita, commentando con Enrico Ameri (il radiocronista) l’andamento del match, Carosio parlò del “Negus che si era vendicato”, provocando il – giusto – risentimento dell’ambasciata etiope in Italia. Poi, per dirla con una frase ormai vetusta, su questo episodio la stampa (sempre il buon Giuanin Brera, fervido di fantasia tanto quanto ci capiva poco di calcio) ci ha ricamato sopra. Dopo il dentista coreano, il negraccio etiope. Non ci siamo mai fatti mancare niente, ai mondiali.

Le altre partite videro l’Uruguay prevalere 2-0 su Israele, la Svezia e la formazione mediorientale pareggiare nella partita più violenta della manifestazione (a dispetto dei soli tre cartellini gialli assegnati dall’arbitro, l’etiope amico di Carosio, gli israeliani menarono come fabbri: l’attaccante Speigler ruppe il braccio al portiere Larsson senza essere neppure sanzionato, non tirando indietro la gamba dopo che il n.1 scandinavo aveva bloccato il pallone in uscita, e lo stesso Spiegler dopo 3 minuti pareggiò. Il povero Larsson si rese conto di avere il gomito fratturato solo dopo la partita. A questo punto, per passare il turno, la Svezia doveva vincere di due gol con l’Uruguay per la differenza reti. I sudamericani fecero quello che sapevano fare meglio (difendersi) e riuscirono a chiudere con un passivo di un solo gol, segnato allo scadere della partita. Italia prima ed Uruguay secondo. I primi due quarti di finale sarebbero quindi stati Italia-Messico e URSS-Uruguay. In tutte le sei partite del gruppo 2 si era segnato solo 6 volte: la presenza delle due formazioni più difensive del torneo si era fatta sentire.

Il terzo girone, quello di ferro, iniziò con una vittoria dell’Inghilterra sulla Romania per 1-0 con un gol del solito Hurst mentre il Brasile, dopo essere passato in svantaggio contro la Cecoslovacchia, regola la pratica con quattro gol di Rivelino, Pelé e doppietta di Jairzinho. Ma il vero scontro atteso da tutti è l’incontro della seconda giornata, tra l’Inghilterra, odiatissima dai Messicani tanto da disturbare continuamente il ritiro con clacson e rumori molesti, ed il Brasile delle stelle. Nonostante i 1.500 metri di Guadalajara la partita è spettacolare: le due squadre si affrontano a viso aperto, e le occasioni da gol, come direbbe un famoso giornalista sportivo italiano, fioccano come nespole. Pelé raccoglie un cross di Tostao dalla destra sul secondo palo; schiaccia di testa da non più di un metro e mezzo dalla linea, con un salto impressionante. Sta gridando al gol, ma Banks, con un balzo che ha quasi del sovrumano, devia la palla sulla linea, alzandola in angolo: la più bella parata della storia dei mondiali. Ma è tutto inutile: al quarto d’ora del secondo tempo, sempre Tostao fa un assist per Jairzinho che tira di prima da dentro l’area e trafigge l’incolpevole portiere inglese. Il risultato rimarrà sull’1-0, ma tutti si spellano le mani per lo spettacolo. Ed è solo l’antipasto di questa incredibile edizione dei campionati. Il fatto che la Romania batta la Cecoslovacchia per 2-1 passa, a fronte di questa partita, quasi inosservato.

La terza giornata rafforza la leadership delle due squadre: l’Inghilterra batte i cechi per 1-0 con un gol su rigore, mentre il Brasile batte 3-2 la Romania: doppietta di Pelé ed ancora Jairzinho. Un attacco stellare che maschera delle incertezze difensive anche gravi, di cui nessuno praticamente riesce ad approfittare.

Il quarto girone, quello della Germania Ovest, si apre con una mezza sorpresa: nella partita di esordio il Perù, che era sotto di due gol contro la Bulgaria, recupera e rimonta 3-2 guidato da Cubillas, che firma anche il gol del sorpasso, mentre i tedeschi, sorpresi in avvio di partita dal Marocco, riescono a ribaltare la situazione solo a 10’ dalla fine con Gerd Muller, dopo che Seeler, al suo ultimo mondiale, aveva pareggiato ad inizio secondo tempo.

Ma nella seconda giornata i rapporti di forza si equilibrano: il Perù trova un Marocco che sembra aver dato tutto nella partita di esordio, e vince agevolmente 3-0, mentre la Germania Ovest, preso il “solito” gol iniziale per una disattenzione difensiva, si scatena: Libuda pareggia, e poi tripletta di Muller intervallata da un gol di Seeler. Inutile il 5-2 ad un minuto dalla fine della Bulgaria. A questo punto, con due squadre a 4 punti e due a zero, i giochi per la qualificazione ai quarti erano fatti: si trattava solo di capire chi sarebbe arrivato primo. Tutto fu deciso nel primo tempo di Germania Ovest-Perù: seconda tripletta di Muller (è fino ad oggi l’unico caso ai mondiali di due triplette consecutive) e gol della bandiera, ad un minuto dal riposo, del solito Cubillas. La partita del giorno successivo tra Bulgaria e Marocco (1-1 il risultato) fu la meno interessante del torneo.

Si completava così il quadro dei quarti di finale con Brasile-Perù ed Inghilterra-Germania Ovest.

Partiamo proprio da questa partita, che era la finale di quattro anni prima, a descrivere a fase ad eliminazione diretta. La Germania Ovest continuava a soffrire l’Inghilterra ed anche se l’anno prima (1969) aveva finalmente avuto ad Hannover la sua prima vittoria contro i bianchi di Ramsey, il senso di inferiorità permaneva comunque. Nella partita di Leòn anche le maglie indossate dai giocatori ricordavano quelle di Wembley: in rosso gli inglesi, in bianco i tedeschi. Unico cambio importante in casa albionica il portiere. Banks era rimasto vittima anche lui della maledizione di Montezuma ed al suo posto esordiva in Coppa del Mondo il portiere anglo-svizzero del Chelsea Bonetti. E l’Inghilterra dominò per gran parte della partita. Al 50’ era già 2-0 e quando l’immenso Beckembauer riuscì ad accorciare le distanze, Ramsey pensò bene di sostituire i suoi due centrocampisti più di talento, Charlton e Peters, per preservarli per la semifinale. Errore di presunzione clamoroso: un minuto dopo la seconda sostituzione, ed a 8’ dalla fine, Seeler pareggia (Bonetti non è incolpevole. Ma solo su questo gol, mentre verrà poi crocifisso in patria). 2-2 e supplementari, esattamente come 4 anni prima. Ma questa volta la fine sarà differente: al 3’ del secondo tempo supplementare un cross di Overath vede Muller entrare in spaccata di destro a mezz’altezza: palla in rete, 3-2 per la Germania Ovest e vendetta compiuta.


Giglic

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #3 : Lunedì 31 Marzo 2014, 09:35:20 »
I tedeschi avrebbero incontrato la vincente di Italia-Messico: due squadre che ancora non avevano subito reti. Durò poco. Il Messico si portò in vantaggio al 12’, ma fu raggiunto al 25’ da un tiraccio di Domenghini deviato in porta da un difensore. Nel secondo tempo, cambio tra Mazzola e Rivera – concordato, visto che il buon Sandro aveva subito anche lui Montezuma – e l’Italia dilaga: Riva con un sinistro preciso, Rivera con un colpo di classe e Riva di nuovo in contropiede (azione divertente: Riva è solo davanti alla porta vuota dopo aver marcato anche il portiere, ma la palla è sul destro, che usa a stento solo per camminare. Se la deve portare sul sinistro ed ottiene che un difensore recupera ed il portiere torna in porta. Colpo da biliardo e gol lo stesso) fissano il risultato sul 4-1 per gli azzurri: La prima semifinale sarà Italia-Germania Ovest.

Nel primo degli altri due quarti, l’Uruguay batte l’URSS con un gol a 3’ dalla fine dei supplementari. Il cross che porta al gol è lungamente contestato dai sovietici, che lamentano che la palla sia uscita dalla linea di fondo in occasione del traversone, ma a rivedere le immagini hanno torto: soprattutto per colpa di un loro difensore.

Infine, il Brasile batte il Perù 4-2 in una partita altamente spettacolare: tre dei sei gol (quello del 2-0 di Tostao, il 3-2 di Cubillas ed il 4-2 di Jairzinho) vengono tutti da tiri dalla linea di fondo. Impreparati i portieri, sicuramente, ma azioni comunque divertenti. L’altra semifinale, quindi, sarebbe stata Brasile Uruguay. Sette delle otto Coppe Rimet assegnate erano in semifinale. Nulla più di questo poteva affermare la bontà di questa edizione dei campionati.

Il Brasile faticò moltissimo con l’Uruguay: anzi la Celeste passò in vantaggio per prima e fu raggiunta da Clodoaldo solo alla fine del primo tempo. La fitta rete di passaggi tra difesa e centrocampo degli uruguaiani disorientava i verdeoro, che non sapevano come venire a capo della partita. Ma una partita giocata per 120’ solo tre giorni prima si fa sentire: alla fine l’Uruguay crollò: due reti di Jairzinho e Rivelino nell’ultimo quarto d’ora permisero al Brasile di conquistare la sua quarta finale in sei edizioni della coppa Rimet.

Ma la semifinale che è rimasta nei ricordi di tutti è sicuramente Italia-Germania Ovest: quella che nello stadio Azteca di Città del Messico è ricordata da una targa come “la partita del secolo”. Partita tatticamente piena di errori e tecnicamente con delle mostruosità, ma emotivamente e “drammaticamente” (nel senso teatrale del termine) ad oggi insuperata. Passa in vantaggio subito l’Italia con Boninsegna, e per tutto il primo tempo controlla agevolmente la situazione. Nel secondo tempo entra Rivera, ma non per Boninsegna o De Sisti, ma per Mazzola che questa volta, non essendo preda di Montezuma, non la prende bene e non la manderà di certo a dire. Di sicuro i compiti di copertura di Mazzola adesso non li svolge più nessuno, ed i tedeschi schiacciano gli azzurri nella loro tre quarti. A pochi minuti dalla fine Beckembauer sta, in una delle sue innumerevoli incursioni, entrando in area quando Rosato lo stende. E’ punizione dal limite. I tedeschi protestano perché vorrebbero il rigore e così facendo non si accorgono che Kaiser Franz si è slogato una spalla nella caduta. A sostituzioni già effettuate, per non giocare in 10, Beckembauer giocherà con il braccio bloccato al corpo da fasciature. E’ l’ultimo minuto di recupero, quando Schnellinger, un difensore che giocava nel Milan, va in area a fare il centravanti aggiunto e in scivolata pareggia: sarà la sua unica rete in nazionale. Saranno supplementari, e sarà la seconda volta per la Germania Ovest in tre giorni.

Ma sono proprio i tedeschi a passare in vantaggio con Muller che sfrutta un errore di Poletti che ha del clamoroso. Tutto sembra perso per gli azzurri, quando però lo stopper Burnich, raccogliendo una punizione dalla tre quarti di Rivera dopo che la difesa tedesca “cincischia”, manda la palla in rete: nel suo caso è la seconda rete in nazionale. E non è finita: dopo aver visto i fantasmi l’Italia si ricompatta e Riva, con uno splendido diagonale, riporta gli azzurri in vantaggio ad un minuto dalla fine dei primi 15’ di extra time. Al quarto del secondo tempo supplementare, però, la Germania Ovest pareggia di nuovo: angolo dopo che Albertosi aveva miracolosamente deviato un colpo di testa di Seeler. Crossa Libuda, sponda di testa di Seeler e Muller di testa mette sul primo palo, lasciato incustodito da Rivera che si era allontanato dopo la torre del n. 9 tedesco (Muller aveva il 13). Albertosi si mangia vivo Rivera con insulti irriferibili.

Forse serve da sprone per l’”abatino”, che un minuto dopo, raccolto un cross dalla sinistra di Boninsegna, spiazza il Povero Maier di destro. 4-3. La partita non cambierà più risultato. Una fatica del genere, a 2400 metri di altezza, deve essere stata tremenda. Curiosamente, grazie al satellite, fu una partita che a stampa nazionale “bucò” clamorosamente. Finita quando in Italia erano le tre di notte passate, la “Gazzetta dello Sport” uscì il giorno dopo solo col risultato di 1-1 dei tempi regolamentari.

La finalina, di due giorni dopo, vide la Germania Ovest battere l’Uruguay per 1-0 con gol di Overath, ma l’attenzione era tutta per la finale: avendo sia l’Italia sia il Brasile due titoli, questa partita avrebbe assegnato definitivamente la Coppa Rimet, come deciso dal fondatore stesso. 110.000 persone circa sugli spalti, ed 800 milioni davanti al televisore, erano ansiosi di assistere a questo momento storico per il calcio.

Il Brasile partiva superfavorito: per l’enorme talento dei suoi attaccante e per non aver giocato i supplementari. Le formazioni: il Brasile schiera Félix, Carlos Alberto, Brito; Piazza, Everaldo, Clodoaldo; Gérson, Jairzinho, Tostão, Pelé, Rivelino. L’Italia risponde con Albertosi, Burgnich, Facchetti; Cera, Rosato, Bertini; Domenghini, Mazzola, De Sisti, Riva, Boninsegna.

E’ il 18’ quando si aprono le danze: un cross innocuo, frutto di un contrasto, vede Pelé elevarsi in alto a vette irraggiungibili da Burnich: colpo di testa ed Albertosi è battuto: 1-0! Pelé diventa, dopo Vavà, il secondo giocatore ad aver segnato in due diverse finali di Coppa del Mondo. Al 37’ però, succede una cosa incredibile: Boninsegna ruba palla ad un lezioso Clodoaldo, si smarca tutti, portiere e Riva che stava in mezzo compreso, e segna nella porta vuota: 1-1! Finisce così il primo tempo.

Ma l’Italia è troppo stanca, ed il Brasile troppo forte: il secondo tempo è un monologo verdeoro. La difesa azzurra regge fino al 66’, quando Gerson insacca prendendo palla al limite dell’area e tirando una fucilata che trafigge Albertosi sulla sinistra: 2-1! L’Italia non c’è più: cinque minuti dopo punizione da centrocampo di Gerson in area azzurra, Pelé fa sponda di testa per Jairzinho che mette in rete: 3-1! Ad oggi, Jairzinho è l’unico ad aver segnato in tutte le partite giocate in un’edizione del mondiale: 6 su 6. Muller, che sarà capocannoniere con 10 reti contro le sette del brasiliano, non segnò nella finalina, “limitandosi” a fare l’assist per Overath.

Ma torniamo alla partita. Sul 3-1 entra Rivera per Boninsegna, mancano 6’ alla fine. Non si capisce bene questa sostituzione, che tante polemiche poi susciterà in patria. Ma questa è una storia dei mondiali, e non della nazionale azzurra, per cui registriamo solo l’evento, accaduto due minuti prima che la partita terminasse con l’ultimo dei gol della manifestazione, ed uno dei più belli del mondiale: dall’area verdeoro con undici passaggi consecutivi si arriva in area italiana. Pelé scarica sulla destra per il capitano Carlos Alberto che con un diagonale secco segna: 4-1!

La partita è finita, il Brasile porta in trionfo la coppa con uno score impressionante e finora insuperato: incluse le partite di qualificazione, 12 vittorie su altrettanti incontri. Mario Zagallo diventa anche il primo a vincere la Coppa sia da calciatore sia da allenatore ed il Brasile porta, meritatamente, a casa per sempre la Coppa Rimet. Questa verrà rubata negli anni ‘80, ed ancora ufficialmente non è stata ritrovata; probabilmente è stata fusa, ma il mistero che da sempre c’è attorno a questa coppa non fa escludere nulla.

Zapruder

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #4 : Lunedì 31 Marzo 2014, 09:43:33 »
Dopo il disastro inglese del 1966, la Nazionale italiana viene affidata per un breve periodo alla coppia  Helenio Herrera- Ferruccio Valcareggi: ben presto, però, Herrera rinuncia all’incarico: finita l’epoca delle commissioni che ha caratterizzato tutto il dopoguerra, commissioni di cui spesso fanno parte in maniera più o meno ufficiosa anche giornalisti, si ritorna così alla figura del responsabile unico.

Valcareggi è un pragmatico,  punta sulla solidità difensiva, prima di tutto: a segnare ci penserà Riva, che sempre più si sta rivelando cannoniere implacabile, in campionato e in azzurro. Gli Europei del 1968 sono il primo banco di prova della nuova Nazionale e l’Italia ospita la fase finale del torneo. Si tratta soltanto delle semifinali e delle finali, ma il fattore campo viene sfruttato senza tanti scrupoli: contro l’URSS a Napoli non si va oltre lo 0-0 anche dopo i supplementari, e l’arbitro Tschenscher negli spogliatoi procede al sorteggio: la moneta da dieci franchi rotola sotto un tavolo, il fischietto tedesco  si china coprendola alla vista di tutti, la solleva e dichiara: “testa”. I sovietici non la manderanno giù tanto facilmente. La prima finale con la Jugoslavia finisce anch’essa pari, grazie soprattutto all’arbitraggio definito dagli stessi giornali italiani “scandalosamente casalingo” dello svizzero Dienst: ci vuole la ripetizione e questa volta gli Azzurri regolano gli avversari col classico 2-0, frutto di due splendide reti di Riva e Anastasi. Dopo la tragicommedia coreana, il calcio italiano aveva adottato provvedimenti molto discussi: chiusura delle frontiere (solo nel 1980 sarà possibile ingaggiare di nuovo calciatori stranieri) e riduzione a 16 squadre delle partecipanti alla serie A: la Coppa Europa contribuisce ad alimentare la convinzione che la strada intrapresa sia quella giusta.

Al  Mondiale del 1970 l’Italia si qualifica vincendo, a suon di gol di Riva, un gironcino con Galles e Germania Est. A qualificazione non ancora acquisita, gli Azzurri fanno un salto in Messico per sperimentare in un paio di amichevoli gli effetti dell’altura. Riva legittima la sua candidatura a protagonista assoluto del Mondiale – assieme a Pelé – trascinando il Cagliari alla vittoria di uno storico scudetto.
Per far coppia in attacco con Riva, il giovane Anastasi è l’elemento ideale: il suo affiatamento con Rombo di Tuono è già ben collaudato. Candidato a restare fuori invece Boninsegna, che nel Cagliari con Riva non aveva mai raggiunto una buona intesa, tanto da chiedere ed ottenere di essere ceduto all’Inter: e il buon Gigi non ha certo risentito dell’assenza di Bonimba. A sperare in un passaggio in Messico, anche il milanista Prati. Valcareggi, invece, oltre Riva e Anastasi, convoca tra gli attaccanti il solo Gori, compagno di Riva nel Cagliari. Iin ossequio alle indicazioni del campionato, sono sei i Campioni d’Italia che partiranno per il Messico: oltre Riva e Gori, ci sono il portiere Albertosi,  lo stopper Niccolai,  il centrocampista Cera e l’ala Domenghini. Nutrita anche la rappresentanza interista, con Burgnich, Facchetti, Vieri, Bertini e Mazzola; dal Milan il C.T. ha convocato Rivera, Lodetti e Rosato; Torino (Puia e Poletti), Fiorentina (De Sisti e Ferrante) e Napoli (Zoff e Juliano) sono rappresentate da due giocatori ciascuna; il solo Furino, fatto piuttosto inconsueto, è stato scelto tra gli juventini.

Gli azzurri sono in ritiro e Anastasi nello spogliatoio scherza col massaggiatore Tresoldi. Scherza in modo un po’ pesante e Tresoldi gli chiede di smetterla. Anastasi è un ragazzo e non la smette: Tresoldi lo colpisce con un asciugamano “in un punto assai delicato”, eufemismo dei paludati giornali dell’epoca per non citare esplicitamente un testicolo: che ad Anastasi continua a far male anche durante la notte: si scoprirà che il colpo subìto ha provocato una lesione e che Pietruzzo deve essere operato d’urgenza. Niente Messico, quindi. Valcareggi deve chiamare di corsa un altro attaccante: secondo alcune versioni, si attivano due canali diversi, secondo altre è lo stesso Valcareggi a rendersi conto di aver lesinato troppo sulle punte e ne approfitta per chiamare due giocatori, invece di uno: fatto sta che, in breve tempo, si presentano in ritiro Boninsegna e Prati. Bisogna rimandare a casa qualcuno: la scelta cade su Lodetti, centrocampista  e “scudiero” di Rivera nel Milan, nel quale Lodetti è solito sacrificarsi nel lavoro di copertura a centrocampo, indispensabile per compensare la scarsa attitudine di Rivera a collaborare alla fase difensiva.

Rivera comincia a sentire puzza di bruciato: l’esclusione di Lodetti è fin troppo chiaramente un atto di sfiducia nei suoi confronti; la stessa presenza di Boninsegna preclude a una sua possibile convivenza con Mazzola. Il sospetto diventa certezza quando nella prima partitella in Messico Rivera viene schierato tra i rincalzi: il Golden Boy è ormai sicuro di essere escluso, di essere vittima di un complotto nei suoi confronti, e spara contro tutto e tutti in una celebre conferenza stampa. Dall’Italia parte di corsa in aereo Nereo Rocco per placare il suo protetto; anche i dirigenti Allodi e Mandelli e il C.T. Valcareggi fanno la loro parte per ricomporre lo strappo. Dietro tutti, la potente e un po’ inquietante grande regia di Artemio Franchi. Rivera spiegherà in seguito di non aver mai paventato l’idea di abbandonare il ritiro, ma piuttosto di aver rischiato di esser mandato via. Comunque, la sparata di Rivera è l’occasione migliore per giustificare del tutto la sua esclusione, almeno nella prima partita con la Svezia: a farlo fuori dai restanti incontri del girone ci penserà Montezuma, la cui maledizione costringe i profanatori delle sue terre a poco nobili e fiaccanti disavventure intestinali.

Le avversarie degli Azzurri, nel loro girone, sono Svezia, Uruguay e Israele. Si giocherà a Puebla e a Toluca.
 
Italia-Svezia è una partita bruttina, gli Azzurri badano soprattutto a tenere il campo e a non cadere nelle trappole dell’altura: siamo a 2830 metri di quota e la prima necessità è quella di arrivare in fondo. Anche gli svedesi sono in difficoltà, si gioca quasi da fermo. Una ciabattata di Domenghini sorprende il portiere Hellström, che si accascia lentamente verso il palo: la palla gli passa sotto la pancia: 1-0 al decimo del primo tempo: il golletto resisterà fino alla fine. Nell’altra sfida del girone, l’Uruguay batte i debuttanti di Israele per 2-0.
La seconda partita vede di fronte Italia e Uruguay: tutte e due hanno vinto due titoli mondiali e il match è assai reclamizzato, ma chi si attende gioco e spettacolo resterà assai deluso. Alle 12, quattro ore prima, si è giocata Israele-Svezia, terminata 1-1, e un pari farebbe assai comodo a entrambe le squadre: Mazzola, come racconterà molti anni dopo, incrocia lo sguardo a centrocampo col capitano della Celeste, Montero Castillo, padre del futuro juventino Montero, e l’intesa è immediata. Altri parleranno di accordi ben più espliciti e ad altri livelli. La partita scorre soporifera; rompe la monotonia un tiro di Bertini che impegna severamente il mitico Mazurkiewicz: Montero Castillo si rivolge a Mazzola e lo fulmina: “che fa quello?” e il Sandrino nazionale spiega con un chiaro “es un loco” come il suo compagno non abbia ben capito l’antifona. “Bene, ma ora facciamo un tiro anche noi”, replica l’uruguaiano, e qualche minuto dopo è Albertosi  a dover tirare fuori una parata importante, per neutralizzare una fiondata avversaria. Ma sono gli unici due lampi: finisce 0-0, com’è scontato, e le due squadre possono guardare con fiducia all’ultimo impegno del girone. Passerà il turno l’Uruguay, che solo al 90’ subisce l’inutile gol-vittoria dei svedesi (agli scandinavi occorrevano due gol di scarto); passerà il turno l’Italia che si fa bastare un altro 0-0 contro Israele, nonostante Rivera faccia finalmente il suo debutto nella ripresa al posto di Domenghini. Gli azzurri, insomma, vincono il loro girone segnando un solo gol e senza subirne nessuno. Nelle sei partite del gruppo, sono state segnate la miseria di sei reti. La critica ridimensiona di parecchio gli italiani, l’attesissimo Riva finora non ha visto palla. Quello che contà, però, è che per la prima volta nel dopoguerra la Nazionale sia riuscita a superare la prima fase.

La partita contro Israele, lungi dall’esprimere qualcosa di significativo sul piano tecnico, lascia un pesante strascico per effetto di alcune esternazioni del telecronista Nicolò Carosio: due gol di Riva, apparsi del tutto regolari, sono stati annullati per fuorigioco da uno sprovveduto guardalinee etiope, che Carosio avrebbe gratificato, durante la diretta, nientemeno che con un “negraccio”. Qualche connazionale dell’incauto sbandieratore è all’ascolto e la faccenda rimbalza fino, almeno questo vuole la leggenda, alla convocazione dell’ambasciatore italiano da parte del governo etiope. Si trova una soluzione: Carosio rientri immediatamente in Italia: ma i suoi colleghi minacciano, in tal caso, un ritorno in massa. Finisce con il più classico dei compromessi all’italiana: Carosio resti pure, ma non commenterà più le partite della Nazionale. Molto tempo dopo, si accerterà che durante la telecronaca Carosio si è limitato ad apostrofare il giustiziere di Riva come “etiope”, anche se calcando il tono in modo un tantino polemico sul sostantivo: ma le topiche del guardalinee sono state veramente grossolane. A quanto pare, in una trasmissione radiofonica del giorno successivo, lo stesso Carosio avrebbe invece parlato di “vendetta del Negus”, col quale come noto non erano corsi buoni rapporti durante il ventennio: tanto bastò a scatenare l’incidente.

Montezuma inaugura la staffetta prima che lo faccia Valcareggi e prende di mira Mazzola, la notte prima della partita contro il Messico nei quarti. Sandrino è a tocchi ma Valcareggi conta su di lui: “tu gioca, poi si vedrà”. C’è il gol del vantaggio messicano, poi gli azzurri pareggiano grazie a un’autorete. E’ il momento di Rivera, che entra nella ripresa e assieme a Riva, finalmente protagonista, fa polpette dei malcapitati padroni di casa, invero non irresistibili.
Gli Azzurri finalmente convincono, anche se qualche critico si affretta a ridimensionare il successo contro il Messico mentre, puntuali, cominciano a fioccare le polemiche sull’entità dei premi che i calciatori avrebbero già accumulato: i soldi sono l’unico elemento che compatta un gruppo sempre percorso da guerriglie sotterranee e spaccature. Ma ora c’è una semifinale da giocare, contro la Germania che ai supplementari ha vendicato la sconfitta di Wembley.
 
E’ la mezzanotte di una calda notte di giugno. Gli italiani, abituati ai programmi televisivi che terminano alle 23:30, si apprestano a vivere un’altra Notte della Luna, dopo la storica diretta dello sbarco di Armstrong dell’anno precedente. Il satellite ci mostra in tempo reale quello che accade dall’altra parte del pianeta, ci mostra anche lo stopper Niccolai e allora il suo allenatore Scopigno dice di averle viste proprio tutte. Gli anni Settanta sono cominciati, tra speranze e inquietudini. Italia-Germania sembra una porta, anche se è “solo” una partita di calcio, verso un futuro migliore.
 
La formazione è quella ormai consolidata come titolare, con Rivera fuori. Valcareggi, si saprà poi, ha annunciato ai calciatori che il Golden Boy farà il suo ingresso nella ripresa: al posto di Mazzola o di Boninsegna, questo si vedrà. In porta ha giocato finora Albertosi, preferito a Zoff che fu invece titolare nell’Europeo. Cera giostra nella per lui insolita posizione di libero, ruolo che ricopre in maniera assai brillante dando così ragione all’intuizione di Valcareggi; Rosato è il marcatore centrale, Burgnich  e Facchetti i terzini. Il mediano Bertini è spesso incaricato di marcature importanti; Domenghini, Mazzola e De Sisti completano la mediana, Riva e Boninsegna sono gli attaccanti.
 
I tedeschi sono i favoriti, come spiega lo stesso Nando Martellini, commentatore della partita. Doveva toccare a Carosio questa semifinale, ma sarà la voce del suo amico e collega, che nella notte di Madrid di dodici anni dopo non dimenticherà di rendergli un commosso omaggio, a celebrarlo nella storia come colonna sonora di quelle indimenticabili due ore. (segue)

Zapruder

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #5 : Lunedì 31 Marzo 2014, 09:55:58 »
Si comincia all’insegna della prudenza e del reciproco studio: poi all’ottavo Boninsegna entra in scena, finalmente: avanza caparbio al limite dell’area, vince con un po’ di fortuna un rimpallo e fionda alle spalle di Maier: uno a zero. Piccola curiosità: non è il celebre pallone Telstar dell'Adidas a sezioni bianche e nere quello che Bonimba ha buttato dentro, ma probabilmente una sua versione totalmente bianca, poi diventata nota come "Chile": ma qualche minuto dopo il pallone bianco scompare misteriosamente e si gioca di nuovo col Telstar. I tedeschi ora dovrebbero fare la partita, ma non vanno al di là di una leggera supremazia sul piano dell’iniziativa: le forze in campo sono ben equilibrate, Mazzola e Beckenbauer si fronteggiano nelle rispettive cabine di regia, il duello a distanza è pari e sostanzialmente nullo negli effetti.
Così, il vantaggio italiano si trascina senza troppa fatica fino al riposo. A questo punto, il buonsenso imporrebbe una riflessione: Mazzola dovrebbe restare in campo, perché inserire Rivera sbilancerebbe troppo la squadra, che non deve certo interpretare all’assalto la ripresa: né è pensabile togliere Boninsegna che sembra l’unico in grado di pungere, come infatti è stato. Tuttavia, lasciare Rivera in panchina significa dare un calcio a tutti i giochini di retrovia, alle promesse, ai desiderata di Mandelli e Franchi: troppo, per il buon Valcareggi. Fuori Mazzola, quindi, e dentro Rivera. Il quale Rivera, com’è sua natura, va subito a piazzarsi alle spalle delle punte e, soprattutto, alle spalle di Beckenbauer: Kaiser Franz ora può giostrare liberamente e la pressione tedesca diventa un assalto al fortino, a tratti imbarazzante per portata e continuità. E’ un secondo tempo a senso unico, che vede i tedeschi mancare più volte il pareggio di un soffio: dove non arriva Albertosi, che per la verità in preda a un’evidente trance agonistica combina anche più di una sciocchezza, arrivano due salvataggi sulla linea, uno dei quali di Rosato in splendida acrobazia, e qualche strattone di troppo in area, che Yamazaki per fortuna non vede. Si arriva al 90’ con l’Italia incredibilmente ancora in vantaggio: sembra fatta, ma la partita non finisce e un minuto di recupero – all’epoca un prolungamento già insolito – trascorre senza che giunga il sospirato triplice fischio. L’ultimo assalto tedesco è respinto ancora, la palla va verso il calcio d’angolo ma un difensore la manda in fallo laterale. Battono alla disperata i tedeschi, Libuda scaraventa alla meno peggio la palla in area dove irrompe lo stopper Schnellinger, solissimo, che in spaccata mette dentro. Albertosi si dispera, Martellini non si dà pace per i “due minuti di recupero”. Che ci fa Schnellinger, compagno di squadra di Albertosi e Rivera dai quali riceverà poi scherzosi – ma nemmeno tanto – rimbrotti per quel suo gol, nell’area italiana? In tempi in cui uno stopper usciva raramente dalla propria? Si era reso conto che quello fosse l’ultimo assalto, dirà poi, e si era gettato alla disperata in avanti. E poi l’ingresso degli spogliatoi era dietro la porta di Albertosi e lui voleva rientrare subito, appena udito il fischio finale, perché non voleva assistere ai festeggiamenti degli italiani. Aneddoti a parte, la Germania ha pareggiato e si va ai supplementari. Sono le 1,45, in Italia: il prolungamento si inoltrerà nel cuore della notte, e gli eventi di quella mezz’ora si fonderanno, col rito collettivo che tiene svegli gli italiani, in un’alchimia irripetibile.

Quando si riparte, la delusione per la vittoria svanita all’ultima curva è ancora molto forte, e dopo quattro minuti tutto sembra finito: da un calcio d’angolo tedesco spiove in area una palla innocua, non fosse per il proverbiale fiuto del gol di  Gerd Muller, che trasforma un’incertezza difensiva degli italiani – invero alquanto grossolana – in un tocco beffardo che porta in vantaggio la Germania. Il capovolgimento del risultato, che per gran parte del match aveva arriso agli Azzurri, è un colpo tremendo: la mestizia del telecronista fa il paio con la delusione che si percepisce anche nei nostri calciatori, che dimostrano anche con un paio di svarioni il dramma sportivo che stanno vivendo. C’è una punizione per l’Italia, sulla trequarti: Boninsegna e De Sisti discutono in modo animato, lamentandosi a vicenda di qualcosa. E’ forse il momento peggiore della partita ma la leggenda di Italia-Germania è invece lì, dietro l’angolo: anzi, è dietro la barriera tedesca, che Rivera scavalca con una scucchiaiata senza pretese: la palla arriva morbida in area e sarebbe comodamente preda di Vogts: sarebbe, perché il difensore tedesco si fa sbattere malamente la sfera addosso: c’è Burgnich, altro difensore capitato misteriosamente in area avversaria, che le sferra una zampata alla meno peggio: ma tanto basta per metterla dentro. Ora è 2-2 e il gol del terzino interista ha rimesso in parità l’incontro, ma soprattutto è apparso come un provvidenziale, insperato calcio alla malasorte: ora tutto è di nuovo in parità, ora Italia-Germania puo’ cominciare sul serio. E comincia qualche minuto dopo, con una splendida azione in contropiede avviata ancora da Rivera, che fa partire Domenghini sulla fascia sinistra: il passaggio è per Riva che, al limite dell’area, prima controlla il pallone, poi lo allarga sulla sinistra preparando il tiro e mandando a vuoto Vogts, che si aspettava che il nostro di accentrasse: l’esecuzione è splendida, un rasoterra da manuale che taglia l’area da un lato all’altro e passa ben lontano da Maier, che pure aveva intuito, prima di entrare in porta a fil di palo. Un quotidiano inglese pubblicherà la foto del gol intitolandola “Splendore sull’erba”. Riva, per la verità, dirà poi che non si è trattato di una delle sue migliori esecuzioni: la sua esultanza però è degna di un gol storico come quello che ha appena realizzato. Lo vediamo tornare a centrocampo, stremato e senza fiato: l’altura e le abitudini non certo da sportivo si fanno sentire: ma quel gol che sta facendo ribollire d’entusiasmo l’Italia è un pezzo di bravura che gli perdona tutto.

Comincia il secondo supplementare e i tedeschi, com’è ovvio, non ci stanno: assalto disperato e, se possibile, ancora più intenso di quanto lo sia stato nel secondo tempo. Spicca fra tutti Seeler, che mette il piede in tutte le azioni e soprattutto è un autentico diavolo sulle palle alte: le prende tutte lui. Ne schiaccia una a terra, che andrebbe a infilarsi sotto la traversa se Albertosi, efficace quanto plastico, non la deviasse in angolo. Prende anche quella che spiove dall’angolo Seeler, nonostante la marcatura di Bertini, e riesce a mandarla verso la porta: finirebbe fuori la palla, non fosse che il solito Gerd Müller riesce a darle un’altra spizzata di testa, mandandola verso lo specchio, non lontano dal primo palo. Primo palo sul quale s’era piazzato Rivera, ma se n’era allontanato un paio di metri durante l’azione: la palla, insomma, passa tra il palo e Rivera, che tenta di recuperare la posizione con un movimento assai goffo, e inutile. Finisce con la palla che danza in rete e Rivera abbracciato disperatamente al palo. Albertosi ha vissuto due ore al limite della sopportazione e si vede per la terza volta beffato da un gol evitabile: Rivera è storicamente antipatico a tutti, compresi i suoi compagni di squadra, ed è stato il protagonista assoluto di tutte le polemiche del torneo: è abbastanza perché il portiere si sfoghi di brutto col Golden Boy, insultandolo in ogni maniera.
Si riparte e al sesto del secondo supplementare, dopo 111 minuti di gioco, “siamo ancora sul 3-3”, dice il nostro telecronista. Qualche tocco a centrocampo e subito un’apertura per Boninsegna, in posizione di ala sinistra. Bonimba cambia di colpo passo, effettua uno scatto e supera in velocità Schultz che lo affronta: poi mette dentro un rasoterra che sorprende Riva, finito troppo avanti rispetto all’azione, ma capita giusto giusto sui piedi proprio di Rivera, che con un tocco beffardo manda la palla da una parte, mentre Maier va dall’altra. Il tocco di Rivera è d’istinto, lui stesso dirà che credeva di aver battuto di sinistro, la “finta che sbilancia Maier” non era nelle intenzioni del numero 10 milanista: ma il gol è splendido, riporta di nuovo e definitivamente l’Italia in vantaggio, è il culmine di un’alternarsi di emozioni senza respiro: c’è tutto perché diventi, come sarà, l’immagine più celebrata e vista, un simbolo stesso, del calcio nazionale.
I tedeschi dovrebbero cercare nuovamente il pareggio, ora, ma non ne hanno più: c’è il solito Seeler che non vuole saperne di arrendersi, ma molti suoi compagni sono stremati, vengono da un’altra battaglia ai supplementari con gli inglesi e sono cotti. Martellini sente la grandezza dell’impresa e il suo stile sobrio cede a qualche velatura epica: sfogherà l’enorme tensione in un lungo pianto, a fine partita, facendo dubitare del risultato della partita un cronista inglese che assiste alla scena.  Yamazaki prolunga anche il secondo supplementare di una manciata di secondi, e fischia la fine. Delirio in campo, delirio in Italia dove ormai è notte inoltrata ma di andare a dormire nessuno ha voglia: va in scena invece, complice la calda notte estiva, un assalto alla fontane, ai centri cittadini, ai luoghi pubblici di ritrovo, alle spiagge. Per la verità, qualcosa del genere era già accaduto dopo Italia-Messico: ma stavolta le dimensioni della festa spontanea sono tali da far scomodare i soliti sociologi in servizio permanente: i quali oggi sarebbero in grado di capire come tali manifestazioni avessero come caratteristica principale quella di essere legate a un evento del tutto nuovo e per la prima volta vissuto collettivamente grazie alla televisione: nulla di più, nulla di meno.

L’Italia è in finale, dunque. L’altra finalista, una volta tanto in onore al pronostico, è il Brasile: entrambe le nazionali hanno già vinto due titoli e quindi la Rimet avrà certamente un padrone definitivo.

L’impresa contro i tedeschi, invece di diventare un sontuoso trampolino verso il successo finale, o almeno il tentativo di conseguirlo, viene percepito dai calciatori, e dall’intera spedizione italiana, come un punto di arrivo. La finale era un traguardo insperato: raggiungerla ha già appagato molti. La partita contro la Germania entra da subito in una dimensione propria, leggendaria, estranea al contesto del torneo: il fatto che ci sia da incontrare anche il Brasile sembra quasi un’inutile appendice. Per di più, le questioni interne non vengono di certo spazzate via dal 4-3 rifilato ai tedeschi: anzi, l’insofferenza nei confronti di Rivera sembra perfino aumentata. Mazzola è certamente animato da un po’ di gelosia, quando dice tutt’ora che quando uscì lui dal campo si era sull’1-0, e tutta quella sarabanda che seguì in fondo fu “solo un 3-3”: ma non ha tutti i torti: e di certo la pensava così anche allora. Insomma, sulla formazione è tutto da decidere. Il giorno prima della partita, gli Azzurri devono preparare i bagagli, perché ripartiranno per l’Italia subito dopo la finale: altro elemento che accentua l’aria di smobilitazione e toglie tempo prezioso all’allenamento e alla concentrazione. Rivera o Mazzola? I brasiliani temono il primo, qualcuno che si avventura in analisi tattiche ne caldeggia la presenza in campo, perché potrebbe sfruttare al meglio, assieme a Riva, la qualità non eccelsa dei difensori brasiliani. L’opinione pubblica, dopo l’abbacinante spettacolo dell’Azteca, è tutta con lui. Non la pensano così i compagni di squadra che, pare, ne chiedono l’esclusione a vantaggio di Mazzola. Pelé apprende negli spogliatoi che Rivera non giocherà, abbraccia i compagni ed esulta: abbiamo vinto. Chissà. Rivedendo quella partita, la sensazione di un esito inevitabile è piuttosto netta. Segna proprio Pelé, al 18’ del primo tempo, sovrastando di mezzo metro Burgnich di testa: un altro gol-simbolo. Burgnich compare in tutte le immagini celebrative di quel gol, e se ne dispiacerà sempre: Valcareggi aveva appena cambiato la marcatura su O’Rey, dice, e io non ho fatto in tempo a piazzarmi su quel pallone.
La partita scorre senza sussulti e i brasiliani la controllano con poca fatica. Al punto che Clodoaldo, un difensore, si diletta in colpi di tacco con atteggiamento da partitella in spiaggia: Boninsegna è un fulmine, ruba palla, si avventa verso la porta, caccia un urlaccio per far scansare… Riva che gli si è parato davanti, e mette dentro per l’1-1. Finisce il primo tempo ma la sensazione è quella di una sentenza rinviata. Entra Rivera? No, resta in panchina, ci sono un paio di giocatori che non stanno bene, spiegherà Valcareggi. Gli Azzurri tengono botta ancora a lungo, fino a metà ripresa: ci pensa una frustata di Gerson a mettere fine alle illusioni. Nessuno crede alla possibilità di rimontare, stavolta. E Rivera è ancora fuori. Jairzinho fa 3-1, Rivera entra quando mancano sei minuti, in tempo per assistere alla strepitosa serie di passaggi dei brasiliani conclusa dalla bomba di Carlos Alberto che frutta il 4-1. Pelé si prende la Rimet e nessuno la merita di più: giusto così. Gli Azzurri tornano a casa convinti di essere accolti da eroi, invece non mancheranno le contestazioni e le polemiche sul mancato impiego di Rivera nella finale.

Offline lollapalooza

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Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #6 : Lunedì 31 Marzo 2014, 10:00:30 »
Splendido.

 :clapcap:


P.s.: l'Inghilterra al prossimo mondiale vestirà in completo bianco, proprio come quel mondiale in Messico:





Offline dokblu

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Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #7 : Lunedì 31 Marzo 2014, 10:44:41 »
Grazie Giglic per questi tuoi post. k+ per te
Chi fischia un giocatore della Lazio, chi vuole spegnere la Lazio, chi non avrebbe avuto nulla da ridire su di un eventuale fallimento della Lazio, è un riomista glassato di merda

Offline DinoRaggio

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Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #8 : Lunedì 31 Marzo 2014, 19:37:36 »
Giglic+Zapruder=Spettacolo.

Altro che Pelè e Jairzinho!  :D
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)

geddy

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #9 : Martedì 8 Aprile 2014, 08:46:27 »
Avete qualcosa su Jairzinho e Rivellino?

geddy

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #10 : Martedì 8 Aprile 2014, 08:58:42 »
Probabilmente il Brasile del 1970 è la squadra più forte di tutti i tempi. Pelè, Jairzinho, Rivellino, Tostao, Gerson e Carlos Alberto. Giocatori di questo livello e tutti assieme non li ha mai schierati nessun'altra squadra.
Jairzinho, l'erede di Garrincha, è venuto in europa ,all'Olympique di Marsiglia, scappando via dopo un anno. Ha giocato anche in Ecuador.
Rivelino ha finito la carriera nel deserto. Giocatore dotato di un tiro micidiale.
Gerson e Tostao non si sono mai mossi dal Brasile. Carlos Alberto ha giocato anche con Chinaglia, nei Cosmos. C'era anche Pelè-

Offline Sca

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Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #11 : Martedì 8 Aprile 2014, 10:24:45 »
Probabilmente il Brasile del 1970 è la squadra più forte di tutti i tempi. Pelè, Jairzinho, Rivellino, Tostao, Gerson e Carlos Alberto. Giocatori di questo livello e tutti assieme non li ha mai schierati nessun'altra squadra.
Jairzinho, l'erede di Garrincha, è venuto in europa ,all'Olympique di Marsiglia, scappando via dopo un anno. Ha giocato anche in Ecuador.
Rivelino ha finito la carriera nel deserto. Giocatore dotato di un tiro micidiale.
Gerson e Tostao non si sono mai mossi dal Brasile. Carlos Alberto ha giocato anche con Chinaglia, nei Cosmos. C'era anche Pelè-

E' difficile fare dei paragoni tra i valori tecnici di squadre appartenenti a diversi decenni; nel caso gli anni sembrano ere geologiche. Sto pensando al Brasile del 1982.
Il Brasile del 1970 non l'ho vis(su)to. Anche se l'avessi fatto, probabilmente il confronto sarebbe risultato difficile, se non impossibile.
Parlo quindi solo sulla base di sensazioni, suggestioni.
E' vero, quella del Brasile 1970 è stata la squadra più forte di tutti i tempi. Ecco il punto, più forte. Intendendo con ciò solida, affidabile, quadrata, oltre che dotata della classe e della fantasia tipica dei verdeoro.
E' anche vero, almeno secondo le mie sensazioni  :), che il Brasile del 1982 è stato la squadra più bella. Ma la bellezza, si sa, troppo spesso è una signora con falce e mantello (nero) che ti aspetta a pochi metri dal traguardo.
Sì, forse la fragilità e la debolezza del Brasile 1982 erano intimamente condensate nella sua ragione estetica, nella sua bellezza.
Junior, Cerezo, Socrates, Falcao, Zico, Eder. Tutti insieme. E un passo dietro Leandro, Oscar, Luisinho. E molti passi dietro Serginho, vero anello debole di quell'orchestra.
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geddy

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #12 : Martedì 8 Aprile 2014, 11:07:21 »
Questa è anche la più bella da vedere, non solo i più forti in assoluto.
No, non penso che la nazionale brasiliana del 1982 possa apirare al ruolo di squadra più bella di tutti i tempi. Tralasciando quelle che hanno vinto il titolo, a me viene in mente la Danimarca all'europeo di Francia ed ai mondiali del 1986. Squadra capace di esprimere un calcio tecnico e atletico, straripante quasi. Mi pare non andò oltre gli ottavi. Un po come quel brasile.

Offline aquilafelyx

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Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #13 : Martedì 8 Aprile 2014, 18:14:28 »
Nel 70 mio padre lavorava a Formello, non ho ricordi delle partite perché troppo piccolo però rammento benissimo i pini di una piazzetta e la resina che m'hanno lasciato addosso dopo che ci sono salito sopra, insieme agli altri ragazzini sembravamo, dopo esser diventati neri, tutti brasiliani, c'era una cantilena che cantavamo tutto il giorno, everaldo clodoaldo e forse anche Jairzinho.
M'illumino di Lulic

Bajo las águilas silenciosas, la inmensidad carece de significado.


Chi ha paura di perdere non merita di vincere

ThomasDoll

Re:La grande storia dei mondiali: Messico 1970
« Risposta #14 : Martedì 29 Aprile 2014, 23:24:04 »
Ricordo distintamente Italia - Messico (non la partita, ma il contesto in cui la vidi) e il gol di Boninsegna in finale. Non ho ricordi del 4-3, forse un po' di Italia-Svezia... avevo quasi otto anni. Riva-Rivera, Brasile sotto tera. Il coro durante i caroselli seguiti a Italia-germania, le macchine che suonavano i clacson, la gente che cantava. Mi pare di ricordare che girassero facendo cori anche nei giorni precedenti la finale...