COLLOQUIO CON FABIO FAZIOLUTTAZZI, MANIFESTO CONTRO I MEDIOCRIIl conduttore ricorda Lelio: “La vicenda del 1970 lo segnò per sempre”(di Malcom Pagani)
Erano diventati amici, con la frenante circospezione di una reciproca timidezza, superata dalla sensazione che il tempo, scorrendo, meritasse una forzatura. L’anagrafe a dividerli, la reciproca curiosità a unirli. Lelio Luttazzi, scomparso l’altro ieri a 87 anni e Fabio Fazio. A discutere di spettacoli ed arte varia, su una terrazza ligure in un giorno d’estate di due anni fa. “Eravamo a Bocca di Magra, a casa sua. Ora che Lelio non c’è più, mi inseguono le immagini in controluce di quel pomeriggio, l’eleganza della figura che nel suo caso, circostanza rarissima, coincideva con l’essenza”. La voce bassa. Atterrita. Il dispiacere per l’addio ad un artista che a scuola divideva il banco con il nipote di Svevo e che in coscienza, amava Oblomov, la lezione di Goncarov: “Evita qualsiasi frenesia; lascia che i tuoi giudizi smascherino la stupidità. Ridi, ma senza fretta” e però seppe divagare tra facoltà universitarie, composizioni, set cinematografici, radio, tv e patrie galere. Maggio 1970. L’Italia di Valcareggi si prepara per le nuvole messicane e sulle biografie di Walter Chiari e Lelio Luttazzi nevica polvere bianca. Un equivoco spaventoso che spinse Luttazzi per 27 giorni, “In una cella fetida, con il buiolo così piccolo che per centrarlo, dovevi prendere la mira”. L’ossimoro tra l’incedere principesco di Lelio e le cantine di Regina Coeli, gli marchiò l’intera esistenza. Massacro mediatico e abbandono delle scene, per un signore che senza palcoscenico, inseguito dall’onta di un’accusa poi rivelatasi completamente infondata, si sentì morire. Riemerse a fatica, per trovare, nella seconda vita, l’affettuoso destino che lo aveva abbracciato prima del crollo.
Fazio, che dire?Lelio era un uomo di sublime raffinatezza, dotato di un’ironia che molto raccontava di sé. Arrivò nel mio programma ultraottantenne e si offrì al pubblico che non lo vedeva da decenni con un’intervista pazzesca.
Sorprendente?Espresse concetti di un anticonformismo eversivo. Sulla pigrizia, sul valore e il piacere di perdere tempo, sulla necessità di non far niente. La frenesia contemporanea in senso stretto, lo interessava pochissimo.
Cosa gli piaceva?La complicata semplicità della bellezza. Luttazzi era di grande intelligenza, non l’ho mai sentito sprecare una parola. Rifuggiva dall’artificiosità, dal vacuo inseguirsi dei complimenti formali, dietro ai quali spesso si nascondeva il nulla. Non amava farli se non sentiva un’empatia con l’interlocutore, né riceverli se li avvertiva come insinceri o peggio immeritati. Si schermiva.
La timidezza era un riflesso dell’esperienza in carcere?Non aveva nessuna intenzione di smarrirsi nelle miserie della vita che pure lo avevano colpito duramente. Attraversò quel linciaggio mediatico con dignitosa levità ma la ferita, profonda, non si suturò mai.
Quasi un mese di carcere, quando era tra i conduttori più famosi d’Italia.Quella vicenda e il suo rilievo mediatico lo distrussero, condizionandolo moltissimo.
Con lui furono brutali.Una commistione di superficialità, conformismo giacobino e voglia di dare addosso al personaggio in vista. Una caccia all’uomo, tipicamente italiana, che è accaduta, riaccaduta e purtroppo avverrà ancora.
Secondo i dietrologi più arditi il caso Luttazzi-Chiari venne manovrato ad arte dalla politica per distrarre l'opinione pubblica dalle indagini su Piazza Fontana.Faccio fatica sempre a legare disegni terreni a trame da romanzo, ho sempre l’impressione che si sopravvaluti l’intelligenza di chi è al potere. L’appiattimento e il caso bastano a creare danni in grado di rovinare l'esistenza delle persone per bene.
Parlò mai con lui di quel che avvenne nel 1970?Soprattutto in privato, le dico la verità, mai. Ho sempre avuto l’impressione che nella vita di Lelio, quella vicenda fosse sufficientemente presente, senza il bisogno che nessuno gliela ricordasse. Come se una parte del suo animo fosse perennemente occupata da quella storia.
Eterna.Insuperabile. Trovarsi da persona corretta in quella situazione equivale a un intraducibile incubo kafkiano. Per rendere verosimile la realtà, a volte le parole non bastano. Magari sbaglio, ma ho la sensazione che quando ci colpiscono dolori del genere, e la solitudine non è solo un’astrazione, non c’è nessuno al di fuori di te, disposto ad ascoltare il tuo racconto. Siamo impreparati, soli, soprattutto nell’insuccesso.
Luttazzi non fece eccezione.Magari sbaglio, ma credo che quel trauma non l’avesse mai abbandonato del tutto. Come raccontò bene Alberto Sordi in “Detenuto in attesa di giudizio”, se ti capita una cosa del genere, è impossibile prendere sonno e addormentarsi senza il timore che ti ricapiti nuovamente.
Anni dopo, per spiegare il distacco dalle scene, Luttazzi scelse di virare su altri temi: “La galera fu solo la goccia finale. La verità è che la musica si era trasformata in qualcosa di più elementare che non capivo e non sapevo fare. Mi disamorai e me ne andai”.Lelio era un signore colto che teneva un basso profilo su tutto, a iniziare da se stesso. Questo minimizzare costante, peculiarità dei grandi, in qualche modo lo tranquillizzava. Credo abbia avuto la consapevolezza che nonostante le traversie, la sua curva biografica era quella di un uomo fortunato. Ha avuto molti grandi amori . Sua moglie Rossana, una donna che lo amò pazzamente, ricambiata e che gli stette accanto per 35 anni. Poi la musica, il palcoscenico.
Note allegre.Credo che abbia attraversato l’esistenza nel modo migliore. Facendo ciò che gli piaceva e ragalando bellezza agli altri.
Nel vostro percorso, si incontrano inattesi punti in comune. Partenze difficili, fughe da fermo, mentori che ad un tratto, si accorgono del talento.Ci univa l’essere provinciali, anche se Trieste, non era certo la fotografia di un avamposto sconosciuto. Trent’anni fa, la televisione era il modo in cui il centro, si rendeva visibile alla periferia.
Poi cambiò tutto. A iniziare dalla tv. Posso essere sgradevole?
Prego.Per essere realisti, credo che oggi di un certo tipo di arte applicata al mezzo non freghi più niente a nessuno.
Un peccato.Quasi una vergogna. Quello che un tempo era un talento considerato utile o importante per alzare il livello della televisione, oggi è ritenuto inessenziale. Adesso all’eleganza si preferisce la volgarità e i risultati, temo, siano sotto gli occhi di tutti.
Duro.Ma per la modestia imperante, una spiegazione c’è. Solo attraverso quella, i tanti mediocri su piazza possono aspirare a posizioni di dominio in qualunque settore. Oggi c’è un’unica volontà.
Quale?Per la fabbrica del nulla, l’eccellenza è fastidiosamente insopportabile. La tv è stata per anni un luogo dove esprimere il meglio delle arti creative e Luttazzi, in quell'alveo spiccava per originalità. Gli riconoscevano abilità e bravura, ma oggi la qualità è un manufatto passato di moda. Infatti la tv somiglia alla periferia del regno e non è più da anni un'esempio di estetica, linguaggio e comportamento.
Cosa allora?Un mezzo di consumo che pretende un pubblico di consumatori. Asseconda gli istinti peggiori, offre un modello prospettico tarato verso il basso, solletica una platea indistinta.
Quindi?A vincere è il trash e quanto più bassi si vola, meglio è. Luttazzi con il degrado odierno non c’entrava e anzi, ad essere precisi, era l’esatto contrario. Sa cosa rispondo a chi mi chiede cosa mi piaceva di Lelio?
Cosa?Che avrei voluto essere come lui, portare lo smoking con la stessa soavità, muovermi tra le linee danzando leggero. Tutta la sua vita, banalmente, ha incarnato il nudo sogno dello spettacolo.
Come lo convinse a tornare in Tv dopo oltre un trentennio di assenza?All’inizio mi disse no. Poi parlammo, e trovammo un accordo. Avevamo anche progettato di
fare altro insieme.
Aveva nostalgia della tv?Non credo. Nel momento in cui prevalgono logiche elementari e esigenze alimentari, i professionisti, quelli veri, si ritirano. Farsi da parte rappresenta l'estrema difesa di chi non vuole essere complice.
Lei è stato protagonista di un'operazione basata sul recupero del passato. E per questo è stato ferocemente criticato.Non me ne importa nulla. Faccio quello che mi piace e l’idea di riportare sotto le luci, la tv che avevo visto in bianco e nero, riproponendo la magia visiva che in parte aveva formato vasti pezzi del nostro paese, mi interessava e mi interessa tuttora.
Perché?Certi volti non avevano prezzo. Trascinarli fuori dalla polverosa archeologia televisiva, era pagare un debito a tutti quelli che avevano lavorato per rendere quella scatola un angolo di sperimentazione e libertà.
Qualcuno l’accusò di melassa, di eccessivo buonismo.Non so cosa voglia dire. Una persona semplice, non attrezzata a esegesi sui media mi ha fatto un complimento: “Mi piaci perché cerchi di trarre il meglio dalle persone”. Anche se faccio un mestiere in cui il clamore si ottiene soltanto con la disgrazia, mettere in evidenza la positività non mi turba. La bellezza, in fondo è molto più utile della bruttezza e mostrarla rimane una mia ambizione.
Luttazzi era definito erroneamente pigro. Similitudini?Non so. Se scorre la salita di Lelio, scoprirà che ha scalato di tutto. La pigrizia in realtà è una nostalgia di ciò che non si è potuto ottenere. Un gioco intellettuale messo in scena da chi avendo lavorato talmente tanto, può permettersi di vagheggiare un’alternativa.
Davanti a chi gli ricordava le esperienze con Risi e Antonioni, Luttazzi nicchiava: “È passato molto tempo, non rammento più”.Diceva il vero, era disincanto e realismo. Viveva di futuro più che di passato e sapeva, come tutti quelli che toccano il palcoscenico, che l'applauso dura un attimo. Il resto è illusione.
Amara.Quella specie di sorriso cinico che apparentemente sembrava incastonare il volto di Luttazzi era in realtà la prova di una sincerità senza difesa.
Lui le voleva bene.E questo spiega anche perché oggi, io sia davvero molto triste.
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