No, non è il giorno del saccheggio del blog di Cerracchio, è che ho letto questa bella intervista pubblicata qualche giorno fa che mi porta alla mente bellissimi ricordi. Parole d'oro su Maestrelli e un racconto sulle schioppettate. Da leggere.
Badiani e il suo gol per Maestrelli: "Così salvai la Lazio" Roberto Badiani, da buon toscano, non la finirebbe mai di parlare. Ha compiuto 64 anni, è un nonno felice. Gli dici Lazio, gli nomini Maestrelli, e i ricordi fluiscono. Fu lui a segnare il gol salvezza del ’76, il 2-2 di Como rievocato proprio in questi giorni nello spettacolo teatrale “Tommaso Maestrelli, l’ultima partita”.
Partiamo da lì…?
“Dal gol più importante della mia carriera, allora. Eravamo con un piede in B, dopo pochi minuti perdevamo 2-0. Si sentiva troppo ‘sta partita, volevamo farlo davvero un regalo all’allenatore. La malattia avanzava, lo avevamo capito”.
Intervallo. Cosa accadde?
“Maestrelli parlò, ci disse di farci valere. Non è finita, ripeteva. Poi in campo a trascinarci fu Re Cecconi. Chinaglia era andato via, in America. Cecco diede la scossa. Aveva segnato Giordano nel primo tempo e cominciammo a crederci. Ho un flash: Re Cecconi che scatta e supera di slancio due-tre avversari, un mezzo contropiede a tagliare il campo, io che mi libero sulla sinistra, il passaggio, il mio collo esterno sul primo palo a scavalcare il portiere toccando la traversa. La gioia incontenibile dei tifosi, le mie lacrime. La Lazio l’avevo e mi è rimasta nel sangue”.
Pochi gol, 6 in 220 presenze, ma tutti importanti…
“Uno lo feci al Milan. Ma quello storico è all’Atalanta in B, perché fu il più veloce della storia della Lazio, almeno fino ad allora: un minuto e mezzo, respinta del portiere su tiro di D’Amico. Mi avventai e la buttai dentro, vincemmo 2-1, a quattro giornate dalla fine fu la svolta, il ritorno in A dell'83. Io nascevo centravanti nelle giovanili della Sangiovannese, poi mi spostai all’ala. Ma fu Maestrelli a trovarmi il ruolo giusto: mediano-cursore con licenza di attaccare. Spesso marcavo i registi di allora e ripartivo. Allora c’erano i Tardelli, gli Orlandini. Mi rivedo pure in Candreva, anche se non ho il suo tiro. Oggi sarei perfetto come esterno in un 3-5-2”.
Riavvolgiamo il nastro. Lei arrivò alla Lazio nel ’74, rinforzo post scudetto.
“Già, fortemente voluto da Maestrelli. Allenava il Bari anni prima e io giocavo a Livorno con Martini. A fine partita mi mise una mano sulla spalla e mi disse: un giorno, se posso, ti porterò nella mia squadra. Vinto lo scudetto mi chiamò: visto che mantengo le promesse? Mi fece un discorso chiaro: la Lazio non si cambia ma se qualcuno avrà cali di forma tu sarai il primo a subentrare. Io ero un ragazzo semplice, umile, innamorato del calcio e gli dissi subito di sì. Fu la scelta migliore della mia carriera perché a Roma, in quella squadra di matti, mi trovai a casa. E giocai tantissimo, in pratica un titolare aggiunto”.
Si racconta che dovette subire un battesimo del fuoco, nel vero senso della parola…
“Mamma mia che paura, quel giorno. Si andava in ritiro all’hotel America e lì sotto c’era una scarpata dove Chinaglia, Martini e gli altri appassionati di armi il sabato pomeriggio andavano a sparare. Mi chiesero di scendere giù a piazzare le bottiglie come bersaglio ma non aspettarono che risalissi. I proiettili sibilavano, mi buttai da una parte, urlavo che mi facessero risalire, mi dicevo se qualcuno sbaglia mira addio. Così per mezz’ora. Mentre ricaricavano io provavo a venir via, macché…Alla fine mi dissero bravo, hai superato la prova. Ma io a Maestrelli glielo dissi…”
E non accadde più?
“Ma quello era un gruppo che viveva di scherzi, si caricava così. Una squadra di strada e io nasco giocatore di strada. Poi in campo un blocco unico, concentrato. Perché vincere è una questione di testa. Guardate la Roma di quest’anno e raffrontatela con quella che fallì l’anno scorso”.
Torniamo a Maestrelli.
“Mi diceva: so che ragazzo sei. Sapete cosa significa? Che ci conosceva uno per uno, ci veniva a scegliere in squadre meno importanti o in periodi difficili della carriera. Non ho conosciuto un altro come lui: ti parlava sempre guardandoti negli occhi e tu avresti fatto di tutto per accontentarlo. Con pochi soldi costruì una squadra che precorse il famoso calcio all’olandese. Una rivoluzione. Calcio alto, aggressivo, spettacolare. Era un grande tecnico e un grande psicologo”.
Lei ha attraversato la Lazio. Quattro stagioni, poi due in prestito, poi altre due in biancoceleste in B.
“A Roma mi sono sposato con una ragazza di Genova, le mie figlie sono nate lì, la gente mi ha voluto bene perché in campo davo tutto per loro, per l’allenatore, per i compagni. Nel ’79 andai via solo perché mi chiamò Vinicio al Napoli quando saltò l’acquisto di Filippi: vi ricordate, fu un caso clamoroso perché lui rifiutò di trasferirsi. Mi si sfilacciò il tendine perché non avevo fatto la preparazione, al rientro proprio contro la Lazio, Zucchini, proprio quello che aveva preso il mio posto, mi spaccò la caviglia. Che jella. L’anno dopo a Pistoia giocai con Lippi, Bellugi, Borgo, ebbi Vieri e Fabbri come allenatori. E segnai in un derby proprio alla Fiorentina: raro per un toscano, l’ho detto solo gol storici”.
Così evitò l’onta del calcio scommesse.
“E’ vero, furono anni bui. Sbardella mi richiamò nell’81 proprio per risparmiare. Eravamo in B, pochi soldi, serviva esperienza. Rischiammo prima la C con Castagner e Clagluna, ci salvò D’Amico contro il Varese, ma l’anno dopo tornammo in A con Clagluna e poi Morrone. Gli anni di Giordano e Manfredonia. Arrivò Chinaglia alla presidenza e non mi confermò. Vabbè avevo 33 anni ma almeno una telefonata per dirmelo me la poteva fare…”
Il dopo-Lazio?
“Dalla A sfumata alla C/2 a Senigallia, Altafini ds, si ragionava in grande ma era solo una finta. L’altra faccia del calcio: non ci pagarono gli stipendi. E allora tornai a casa: il babbo aveva un’azienda di maglieria e confezioni qui a Prato e l’ho tenuta con Walter Speggiorin, lo ricordate? Giocò nella Lazio anche lui, è mio cognato, ha sposato mia sorella. Poi nel 2007 mi ha chiamato l’Aglianese, curo il loro settore giovanile, volontariato, solo un rimborso spese, ma mi diverto a insegnare un po’ di tecnica ai ragazzi. E faccio il nonno”.
Quando l’ho chiamata al telefono per farle gli auguri mi ha detto subito forza Lazio.
“Beh sì, io vorrei che vincesse lo scudetto. Anche se la logica dice che se la batteranno Juve, Napoli e Roma. Ogni tanto sento Lopez, Petrelli, Wilson. Sono rimasto legatissimo alle mie squadre, anche alla Sampdoria, al Torino che per primo credette in me. Ci ho messo sempre il cuore, mai i soldi al primo posto. E ho conosciuto, vissuto un calcio alto, rivoluzionario, in quella Lazio speciale. Anni indimenticabili. Cosa sperare di più…?”
Vincenzo Cerracchio