C'è qualcosa che mi costringe a prendere le distanze dai malumori collettivi laziali. In qualunque direzione vadano. Ma non è una mia sensazione esclusiva. La leggo negli occhi a parecchi di voi, a molti vecchi amici laziali con cui mantengo il contatto su internet o per imperscrutabili rotte percorse da umori e vibrazioni comuni. Le vie spirituali biancocelesti... In questa dimensione virtuale abbiamo imparato a esternare saperi laziali e a condirli con bislacche teorie tattiche e con tutto l'armamentario dei valutatori delle attitudini dei pedatori di ogni latitudine che sembriamo diventati. Ma ci siamo imbastarditi solo un po', e sopportiamo male i momenti in cui la guazza di poltiglia che ci sciacqua i piedi sale di livello, per questa o quella parola d'ordine radiofonica che fa breccia e ci si ripete, di bocca in bocca, come fosse un mantra. In realtà c'è un punto oltre il quale molti di noi non vanno. E non dipende dal di fuori, è qualcosa che è dentro di noi e che nel momento in cui c'è lo sfogo, l'invettiva, la voglia di rovesciare il tavolo e di scombinare l'ordine delle cose, ci riporta all'essenza. Al soffio interiore del laziale. Quello che trova una giustificazione a tutto e che oggi in cuor suo già sa che forse quello che è successo servirà un giorno a festeggiare l'avvento di Perea o la definitiva esplosione di Keita. Oppure no, ma quello che conta è il filo emozionale, il battito che riprende vigore ogni volta. Oggi si chiama Perea, ieri fu Pandev: non è uguale al petto che si gonfia d'orgoglio quando salutiamo il Klose. A salutare Klose sono buoni tutti. Quel soffio ci distingue dagli altri, dice che siamo altro dai tifosi delle strisciate, simili a bimbiminkia con un chilo di figurine nel cestino e la lezioncina televisiva ripetuta a pappardella. Altro dai dirimpettai che quando l'ambiente si fa sporco ci sguazzano e trovano un senso di comune esaltazione, di capacità di diventare gruppo di pressione o depressione e di attrarre il pulviscolo borgataro. Noi siamo tifosi in modo più intimo, che esternano con difficoltà, spesso con disincanto, preferendo una battuta amara, un riso sardonico, uno scetticismo preconcetto. E dentro trepidano come bambini. Così alla rabbia di lunedì sera è seguito un flusso enorme di elaborazioni della situazione, sottopelle, con quel suono che riecheggia nel vuoto delle grotte o delle cavità toraciche. Il ritmo scandito dal cuore. La tensione che si allenta e ci ritrova, come sempre, uniti.