Autore Topic: Cecconetzer e altre storie  (Letto 2497 volte)

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feiez

Re:Cecconetzer
« Risposta #20 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 19:34:11 »
Topic spettacolare.
Qualcuno ha in archivio il topic di Tarallo sulla monetina a Frisk ed altro (si titolava ci servono vivi, credo in svedese)

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #21 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 22:48:14 »
Carissimo Benvolio, Lazio Magazine

La giostra di Dejan

Nell'album Metropolis, il cantautore F. Guccini narrava le esperienze adolescenziali percorse, prima ancor che vissute, tra la 'Via Emilia ed il west', ossia i campi che si espandevano aldilà del tessuto urbano della provincia emiliana distesa lungo l'antica via consolare.

Per noi, romani di periferia degli anni '60, la Via Emilia si chiamava Via Prenestina ed il west era la Villa Gordiani, delimitata ad est dal Viale della Venezia Giulia oltre la quale si estendeva il vero West, quello della prateria ancora abitata dagli indiani, tribù e clan di nomadi e baraccati (i' zingheri' per noi) che si contendevano il territorio ed ogni tanto (come dirò) uscivano dalla riserva.

Accampati in quel residuo di suburra, chiuso a Nord dal tracciato della ferrovia urbana e dalla vecchia stazione Prenestina (scalo merci già allora abbandonato ed oggi in spettrale disuso), gli indiani sbarcavano il lunario dandoci il senso - con le loro file alle fontanelle nelle gelide giornate invernali, o con le loro baracche imbiancate, a mo' di presepe, dalle agognate nevicate romane - di un'altra vita tutta in salita, meno domestica, forse più libera, sicuramente più difficile.

L'avamposto di confine in cui noi 'bianchi' stabilivamo una tregua armata ed un contatto (in vero un po' schifato) con gli uomini rossi era la Missione, ovvero S. Agapito, misera parrocchia di quartiere, situata giusto sulla Venezia Giulia - paradosso toponomastico: quel confine già oltrepassato si riproponeva ai nomadi con beffarda ed ironica puntualità. Loro venivano per carpire elemosine e sussidi, noi andavamo per la dottrina ed il catechismo (e che catechismo ragazzi…). Più in la noi non andavamo, più in qua loro non venivano - in mezzo gli indimenticabili sacerdoti a comminare ammende e prebende.

Quando invece, in barba ai trattati, gli uomini rossi si spingevano sin dentro la Villa Gordiani, a violare i nostri polverosi e improvvisati campi di calcio, allora era guerra.
Ad essere sinceri, per noi erano tutta una razza: i zingheri, appunto, una nazione guerriera o predona cui contrapporre ordine e civiltà, magari precaria, molto precaria - del tipo di quella che si vorrebbe riavere, oggi in Italia, in nome della flessibilità - però pur sempre ordine e civiltà.

A volte arrivavano su delle bici da corsa, a gruppi di dieci o venti; sguainavano dai pantaloni dei micidiali manici di scopa con cui ci aggredivano e noi, in fila serrata come fucilieri del regno, rispondevamo con una gragnola di sassi che, quasi sempre, li metteva in fuga. Quando riuscivano ad arrivare al corpo a corpo, vincevano spudoratamente allontanandosi poi sui cavalli d'acciaio brandendo, con grida festanti, i loro trofei di guerra: palloni, magliette della Lazio o della Roma (qualche volta anche magliette e camicie comuni…la guerra è guerra…), scarpini da calcio, veri e propri scalpi nell'immaginario del west di periferia.

Tra loro, c'era Frank il negro che, in realtà, non era affatto negro ma slavo, ed era figlio di antichi giostrai poi caduti in disgrazia e rimasti intruppati negli inizi del processo di inurbanamento dei nomadi romani (che altro non è se non il riflesso della conurbazione delle campagne).

Frank era un impavido, un capo clan che però amava anche l'azione solitaria. A mo' di principe slavo (magari lo era davvero) viaggiava sempre con due cani bastardi (vedete la strana potenza del linguaggio: bastardi, giostrai, zingari…Venezia Giulia), che conduceva non legati al guinzaglio ma ad una lunga catena cromata con due diramazioni terminali per i collari.

Un giorno arrivò con uno dei suoi fratelli minori, aizzandoci contro i due cani (ovviamente, uno bianco ed uno nero, come si conviene ad un principe… non ricordo se fosse della Juve…). Ci convinse subitamente ad una sfida, due contro due ad una porta sola (si, proprio quelle del tipo 'a corner tre, rigore') ed io ero uno dei due malcapitati, mentre il portiere, lui, era una vittima sacrificale. Attaccammo a giocare: io ed il mio compagno mostrammo subito un accondiscendenza servile, un po' bloccati dalla paura dei cani, un po' dall'agilità di Frank e del fratello. Quando eravamo ormai sul cinque o sei a zero (non ricordo più bene) avvenne il fatto.
Frank si fermò, raccolse il pallone con le mani ci si avvicinò e disse, con il suo italiano stentato: "oh! guardate che io voglio giocare davvero….".

Così disse Frank, figlio dei giostrai: io voglio giocare davvero (voglio stare con voi sul serio). La bellezza dell'infanzia dispiegò il suo incanto: rincuorati, io ed il mio compagno 'giocammo davvero', i cani fecero il loro dovere (guardare), il portiere parò il parabile e la partita finì dieci a otto (o qualcosa del genere) per loro.
Non diventammo amici con Frank, ma quel muro di diffidenza cadde definitivamente; imparai ad avere un po' meno paura delle cose che non si conoscono. Quando lo incontravo alla Missione coi suoi due cani alla catena, lo salutavo e carezzavo i cani.
Poi cambiai casa e venni via da quella periferia. Qualche vecchio amico d'infanzia mi disse, in seguito, che Frank era morto di eroina.

Per anni questo ricordo è rimasto sepolto nel fondo della memoria ed ora riemerge, tirato per i capelli, dallo striscione che ha dato del 'giostraio' a Dejan Stankovic durante il derby di domenica scorsa.
Forse chi ha scritto quello striscione da piccolo giocava pure a Villa Gordiani, ma di certo non con Frank il negro.
Forse lui, Dejan, lo striscione lo ha letto e, sul cross di Lopez, si è girato ed avvitato in aria come su di un seggiolino della giostra che gira attorno al suo fulcro. Poi ha piantato il pallone sotto la traversa, così come i più bravi ghermivano il fiocco dal pennone e vincevano un altro giro sulla giostra dei 'calcinculo'.
Per la Lazio, per se stesso e, inconsapevolmente, anche per Frank il negro.
Fallo ancora Dejan, fai girare la giostra, vinci un altro giro!

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #22 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 22:50:05 »
Ancora Benvolio

La forma dell'acqua

Da bambino, e di certo non ero il solo, piegavo affascinato il bicchiere mezzo pieno d'acqua per vedere come il liquido insapore, inodore, incolore si sarebbe comportato, quale piega avrebbe assunto, come si sarebbe mosso. Poi, un po' meravigliato ed un po' deluso, la versavo nel lavabo per vederla fluire e scomparire giù nel sifone.
Oppure, e questo era il massimo di impostazione teorica consentito dalla mia ragione empirica e dalla cucina di mia mamma, organizzavo una parata di recipienti delle diverse fogge: bicchiere, bottiglia, pentola, insalatiera. Passavo in rivista quella parata domestica che non mi risolveva il dubbio premonitore: che forma ha l'acqua? Un pozzo d'acqua, un bicchiere d'acqua, una bottiglia d'acqua...un catino d'acqua!
Era un dubbio premonitore, dicevo. Si, era il presagio della forma morale dell'acqua del 14 maggio 2000 su cui (non a caso) sono stati versati fiumi di inchiostro e di bile. Il diluvio biblico di Perugia attiene, però, alla metafora dell'acqua, alla sua forma morale appunto. Nondimeno, è un trait d'union, chiaro ed inequivocabile; l'acqua e la Lazio si ritrovavano e si ritrovano nella (mia) immaginazione avvinte da un nesso solo parzialmente scrutabile ed esplicabile.

Così man mano che questa stagione calcistica prendeva la sua forma, intrecciando sempre di più la trama del 'mistero' (o della verità) della Lazio, che tanti arguti articoli hanno evocato e tentato di rappresentare (quasi tutti con adeguata leggerezza), il ricordo del dubbio - ed insieme il dubbio di un ricordo - mi è risorto in petto con una delicata sensazione: è la forma dell'acqua un problema analogo al mistero della Lazio?
Guardate bene che solo riandando ai beati anni della fanciullezza - dico questo con consapevolezza di un cinismo della maturità che ormai innerva ogni istante della mia esistenza - è possibile provare, soltanto provare, a capire frasi come quelle pronunciate oggi da Fiore: "la bellezza delle vittorie, l'amicizia dei compagni, il piacere di giocare sono cose che valgono più di uno stipendio".

In una bellissima favola zen, un guerriero inseguito da un orda di nemici giunge sull'orlo di un dirupo ed, incalzato dappresso, precipita nel vuoto riuscendo però ad aggrapparsi ad un arbusto che sporge dalla parete di roccia. In fondo al dirupo, una belva attende inferocita di poterlo, a sua volta, assalire. Ben presto, le radici della pianta iniziano a cedere sollecitate dal peso del guerriero che, sotteso nel vuoto, è preso tra due pericoli mortali. Mentre si trova in tale situazione, il guerriero vede poco distante, sulla parete rocciosa, una pianta di fragole. Qual sarà la direzione dell'estremo sforzo del guerriero? Tentare di risalire l'erta per affrontare i nemici? Lasciarsi scivolare a valle per combattere la belva? No, nient'affatto... con un gesto misurato e lento, il guerriero allunga il braccio, coglie una fragola e la mangia...
Guardate bene che se riandate a quasi tutte le interviste dei giocatori e dell'allenatore, da settembre in qua, troverete sempre un tratto distintivo fatto di meraviglia ritrovata, di innocenza assaporata sull'orlo di un abisso totale che è stato spalancato e perciò stesso ha richiesto (o provocato?) un esercizio di fantasia superiore.

Sempre lo stesso Fiore attribuisce un significato comunicativo al ballo sull'onda di Aserejè: "Vogliamo che la gente capisca la nostra felicità...il clima di allegria col quale lavoriamo...."

Il mistero della Lazio si propone quindi fuori dal campo di calcio, oltre il campo di calcio, mentre anche nel campo specifico il dibattito si spinge su toni non tecnici ("...dimostrando una vocazione straordinaria per un entusiasmante gioco offensivo basato su travolgenti contropiedi..."…anche Tosatti sul Corsera di lunedì 16 dicembre 2002 sembra contagiato dall'insostenibile leggerezza dell'essere...) che risentono di questo esempio enigmatico che i tifosi laziali sentono nell'aria e che non debbono lasciarsi sfuggire facilmente, che debbono anzi nutrire con la gioia di esserci, innescando un circolo virtuoso di gioco e divertissement della vita.

Ma il cosiddetto mistero della Lazio è in definitiva (forse come tutti i misteri - se di misteri si vuole parlare) il dubbio infantile della forma dell'acqua, e se innocentemente passassimo in rassegna i contenitori esposti in bella mostra non potremmo fare a meno di soffermarci sull'eleganza (quasi) innata di Roberto Mancini e sul ricordo del suo colpo di tacco rinascimentale in Parma - Lazio del 1998.
Allora, qual è la forma dell'acqua?

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #23 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 22:52:00 »
Benvolio, e tre (ma non ne ritrovo uno importante)

Gli Scozzesi di Roma

Gabriele La Porta ha definito i tifosi laziali come gli scozzesi di Roma, alludendo alla situazione di minoranza nella quale versano rispetto alla dominante fede romanista, che oltre ad essere maggioritaria è anche istituzionalizzata, canonizzata e perciò omologata come valida a priori. Il paragone è interessante. La storia della società sportiva Lazio è un misto di contraddizioni vitali in cui splende, come la stella polare, la coerenza dello stento e della lotta, direi quasi della sofferenza. La Lazio infatti non nasce per dominare e vincere, bensì vince e domina in quanto nasce.

Le sue origini antiche indicano il prevalere di quei valori (e di quei colori) che sono agli albori della civiltà sportiva. La Lazio non nasce per vincere e sopraffare; il calcio è uno sport appena conosciuto nel '900, i campionati hanno ancora una dimensione localistica ed un significato sociale non rilevante. La Lazio nasce per passione ma, attenzione, una passione arcaica volta al mito greco, scevra di rampanti riferimenti romantici. La Lazio è ampia come il cielo olimpico di cui assume i colori e come questo è mutevole, contraddittoria, distaccata ma non cinica.

Questa è la Lazio: è tutto e quindi niente. O, per dirla con Aristotele, la Lazio, come l'infinito, non è quella cosa oltre la quale non c'è niente ma è ciò oltre il quale c'è sempre qualcosa.

Ecco cos'è invece la Roma: una forzatura, un parto romantico e megalomane di qualche gerarca romano che doveva rinverdire a livello sportivo i fasti di un impero nascente (sappiamo tutti com'è andata a finire…). La Roma aveva uno scopo, un significato: vincere senza altro scampo ed è per questo che è storicamente ed umanamente sconfitta.

La maggioranza vince e la Roma ha facilmente attratto il consenso della maggioranza dei romani associandosi per legge alle grandezze dell'impero fascista. E' evidente che la allocazione della Roma nel campo del quartiere popolare di Testaccio non deve essere intesa come garanzia di una sua presunta democraticità (più o meno di sinistra, secondo alcuni…) quanto piuttosto come necessità politica di un pronto ed immediato radicamento negli strati popolari e nel ceto medio chiamato in massa tanto alle partite di pallone quanto alle adunate di Piazza Venezia. Questa fu l'origine della Roma che si specchia oggi nel conformismo di un kitch omologato e auto compiaciuto e mostra, sia nell'enfasi delle canzoni di 'cantautore molisano che copia canzoni altrui (e che porta iella)' sia nelle manifestazioni folkloriche dei tifosi, il vero volto del perbenismo e del populismo.

Cos'altro dire. Essere della Lazio è davvero una scelta. Una meditata assunzione di contraddizioni ed incoerenze vitali. Essere vincenti od essere sconfitti nella storia sportiva ha sempre un significato relativo. Si compete per primeggiare, sempre. Ma, in cuor proprio, si compete per necessità estetica, per portare a confronto fisico materiale, fuori di se stessi, le proprie capacità ed i propri desideri. Ed è per questo che in fondo a tante sconfitte riposa un barlume di verità che molte vittorie non hanno. Possiamo trovare il senso delle cose umane tanto in un volto raggiante quanto in un volto affranto e questo vale sia per la vita che per lo sport. In alcune sconfitte della Lazio, che i romanisti 'nati per vincere' non potranno mai capire, sta racchiusa l'epica dell'associazionismo umano, ciò che ci impone crescite e maturità e perciò dignità.

Ed è per questo che non si potrà mai ripetere, ad esempio, un evento come quello del 14 maggio 2000 fatto di diluvi, pathos, agorà, simboli.

E poi noi abbiamo giocato contro il Sorrento, abbiamo fatto gli spareggi col Campobasso…siamo davvero olimpici….che ne può sapere la Roma che è nata grande e tremendamente immatura? Nella Fenomenologia dello Spirito Hegel scriveva di una felicità degli uomini fatta non di beatitudine esangue ma di lotta e contrasti perché, altrimenti, si tratterebbe di felicità di dei e la storia umana mostrerebbe solo pagine bianche…. esattamente come quelle della A.S. Roma che per riempirle si affida al suo vate 'cantautore molisano che copia canzoni altrui (e che porta iella)' il cui tronfio eloquio ne conferma inconsapevolmente la non esistenza. Dice infatti il "poeta": "…tu sei nata grande e grande hai da restà…"

Orrenda sventura essere condannati ad essere grandi, esser privati della fanciullezza, del gioco e della lotta per la crescita. Essere destinati ad essere (solo) grandi per cui la Roma (che grande lo è di rado) di fatto non è….ma questo è un concetto troppo difficile per il conformista romanista. Ciò che invece il conformista romanista può capire è che i sette colli di Roma somigliano alle Highlands scozzesi dove i clan della minoranza laziale conservano e difendono i misteri di vicende secolari imperscrutabili ed indistruttibili.

Ora non ci possiamo fare niente se le Aquile non temono il volo solitario ed invece i lupi, per quanto nobili, sono costretti dalla natura ad intrupparsi nel branco. Sursum corda! In alto i cuori e avanti davvero Lazio!

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #24 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 22:54:06 »
Trovato! All'indomani dell'infausto 17 giugno 2001

 Endurance 2001
* …..ovvero: decalogo di sopravvivenza per il sostenitore laziale
di Fabio Masci

Orgogliosa Aquila ,Aquila bella ,
tu mi hai aiutato nella danza .
Tu fai vedere a me la bellezza
quando io guardo gli alberi , gli uccelli , i laghi.
Ti ringrazio , orgogliosa Aquila ,
per ciò che hai dato a me e al mio popolo,
io diventerò come te , per onorarti.
(antica danza sioux)


1. Fare propria e diffondere la frase: "non cambieremo mai le nostre sconfitte con le vostre vittorie"; fa morale e fa sentire superiori…nel frattempo….

2. Chiedere asilo politico in Francia ed eleggere domicilio a Parigi, adottare lo pseudonimo di Shackleton…può aiutare.

3. Telefonare immediatamente al meno fazioso dei propri amici romanisti e fare le congratulazioni; serve a tacitare i complessi di colpa in merito alla propria sportività.

4. Organizzare casualmente una cena di amici laziali in cui razionalizzare la paura dell'impatto con l'evento (in realtà tentare un impossibile esorcismo).

5. Intrattenere figli (o nipoti) in lunghe spiegazioni sul valore olimpico dello sport: aiuta a distogliere l'attenzione dal problema…ci si può anche arrabbiare se non capiscono!

6. Tornare ad occuparsi di politica: permette di parlare in libertà di cose (presunte) serie…

7. Affittare videocassette porno: aiuta a capire la condizione dei tifosi romanisti…

8. Acquistare il quotidiano sportivo della capitale: riuscirà con la sua faziosità servile ed opportunistica a far scattare l'orgoglio di sentirsi dalla parte giusta…

9. Scoprire una subitanea passione per il golf: non ne capisce niente nessuno…non c'è niente da capire…

10. Infine mandare a memoria la danza dell'aquila **, in alternativa canticchiare reiteratamente "We shall overcame…" di J. Baez

*L'8 agosto 1914 il capitano Shackleton partì da Plymouth (Inghilterra), con 27 uomini d'equipaggio, a bordo dell"Endurance" (Resistenza) per raggiungere il punto più meridionale del mondo in Antartide. Il 18 gennaio 1915 la nave rimase intrappolata nei ghiacci del pack ed iniziò ad andare alla deriva. Il 27 ottobre 1915 la nave fu abbandonata dagli uomini che trascinando le scialuppe arrivarono all'Isola dell'Elefante, un piccolo scoglio da dove Shackleton con altri cinque uomini salpò con una scialuppa riuscì a giungere alla Georgia australe. Quando tornò a recuperare i suoi uomini, tutti salvi, erano passati 522 giorni. Se sono sopravvissuti loro….!!!

 
   
         

Teo

Re:Cecconetzer
« Risposta #25 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 23:02:43 »
C'è un pezzo sul mercato, di Silverado, da leggenda: m ricordo di averlo letto fino alla ventesima riga credendo fosse autentico, ma cominciando ad avere qualche sospetto quando ero arrivato al punto che Stam era del Chelsea, giocava con la Lazio, l'ingaggio glielo pagava il Barcellona e si allenava col Milan. Totalmente surreale, ma del tutto "simile" agli articoli sul mercato che leggiamo distrattamente tutti i giorni.

Il bello è che, dopo quel guazzabuglio assurdo, qualcuno ringraziò pure per "aver fatto chiarezza sul mercato"...

V.

Re:Cecconetzer
« Risposta #26 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 23:41:08 »
ritroviamo le sacre scritture. basta opinioni! solo racconti! O0

Offline benvolio

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Re:Cecconetzer
« Risposta #27 : Venerdì 25 Gennaio 2013, 01:13:46 »
Grande Pancrazio (mi imbarazzi)!
D'accordo con V. Basta opinioni solo racconti!

Offline cuchillo

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Re:Cecconetzer e altre storie
« Risposta #28 : Venerdì 25 Gennaio 2013, 09:33:46 »
Se andiamo a racconti extra-Lazio, solo per un attimo, questo il racconto (direi l'annucio) di Silverado/Sca a proposito della notte romana che sarebbe arrivata da lì a pochi giorni.
Capolavoro. Un umorismo di rarissima efficacia. Siamo dalle parti di Arkadij Timofeevič...

Credo che come ogni anno andrò a vedere gli affreschi restaurati del Semelli a S. Maria dei Cherubini, la bellissima chiesetta dietro il Foro, all'altezza dell'Istituto Domenicano.
L'entrata sarà libera dalle 22,00.
Per chi fosse interessato segnalo anche altri restauri, a cominciare dalla pala d'altare su legno del Beracci, visibile a S. Gonenzio, vicino a S. Sabina, zona Aventino; la pala è bellissima e raffigura l'ascensione di Marco: da sempre nell'iconografia cristiana questa pala rappresenta la consacrazione della scrittura.
L'entrata sarà libera dalle 22,30.
Vi ricordo che queste piccole chiese, gioielli in genere chiusi al pubblico, saranno visitabili in gruppi al massimo di 8 persone.
Considerando che non si tratta di mete particolarmente pubblicizzate, l'attesa non dovrebbe essere molto lunga.
Molto belle le pitture su bassorilievo del Muraro, a P.zza Albania, sempre in zona Aventino.
Vicino alla Fao, Salita dei Cannucciari, c'è la chiesa di Santa Cesarina d'Amelia; all'interno si possono ammirare dipinti del Ferri, del Canali (scuola Bottari) e del Vajolo (l'allievo prediletto di Ferruccio Tessitori).
Poi cornetti caldi e ingroppata generale.
Invidio tanto Massaccesi. Ossia Jooooooe D'Amato.

Offline DinoRaggio

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Re:Cecconetzer e altre storie
« Risposta #29 : Venerdì 25 Gennaio 2013, 14:51:38 »
Topic da leggere la sera tardi, dopo una giornata di lavoro stancante, per rilassarsi e leggere post (ma sono più di semplici post) come fossero quarti di buon vino da bere in compagnia di gente che conosci da parecchio, ed altri che hai appena conosciuto, ma che ti sembrano vecchi amici.

Stasera mi leggo il topic, fra poco devo ritornare al lavoro, ed è un topic che va gustato lentamente.
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)

Offline Sca

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Re:Cecconetzer e altre storie
« Risposta #30 : Venerdì 25 Gennaio 2013, 19:12:35 »
Se andiamo a racconti extra-Lazio, solo per un attimo, questo il racconto (direi l'annucio) di Silverado/Sca a proposito della notte romana che sarebbe arrivata da lì a pochi giorni.
Capolavoro. Un umorismo di rarissima efficacia. Siamo dalle parti di Arkadij Timofeevič...

Credo che come ogni anno andrò a vedere gli affreschi restaurati del Semelli a S. Maria dei Cherubini, la bellissima chiesetta dietro il Foro, all'altezza dell'Istituto Domenicano.
L'entrata sarà libera dalle 22,00.
Per chi fosse interessato segnalo anche altri restauri, a cominciare dalla pala d'altare su legno del Beracci, visibile a S. Gonenzio, vicino a S. Sabina, zona Aventino; la pala è bellissima e raffigura l'ascensione di Marco: da sempre nell'iconografia cristiana questa pala rappresenta la consacrazione della scrittura.
L'entrata sarà libera dalle 22,30.
Vi ricordo che queste piccole chiese, gioielli in genere chiusi al pubblico, saranno visitabili in gruppi al massimo di 8 persone. e
Considerando che non si tratta di mete particolarmente pubblicizzate, l'attesa non dovrebbe essere molto lunga.
Molto belle le pitture su bassorilievo del Muraro, a P.zza Albania, sempre in zona Aventino.
Vicino alla Fao, Salita dei Cannucciari, c'è la chiesa di Santa Cesarina d'Amelia; all'interno si possono ammirare dipinti del Ferri, del Canali (scuola Bottari) e del Vajolo (l'allievo prediletto di Ferruccio Tessitori).
Poi cornetti caldi e ingroppata generale.


Che mi hai ricordato...
Vi confesso una passione smodata per le leggende metropolitane, con la loro struttura (facilmente deducibile, come lo schema di Propp per le favole) e i loro "ingredienti".
Mi ha sempre attratto la zona grigia, un po' verità, un po' menzogna, che avvolge tutte le cose: sarà che la logica fuzzy ha avuto un discreto peso nelle mie suggestioni giovanili. Se poi shakeri tale logica col concetto di onda di probabilità... ti ritrovi a ballonzolare tra la pappa (in cui è ridotto il tuo cervello) e le pippe (appunto, mentali).
Vabbe', lasciando da parte il "tutto è tutto" in parti variabili  ;D dicevo delle leggende metropolitane.
Arrivai anche dalle parti di una tesi (cattedra di antropologia culturale) poi, vabbe', l'altro progetto di tesi (più montiano, più tecnico, prese il sopravvento).
Per un lungo periodo mi veniva piuttosto naturale scrivere seguendo lo schema della leggenda metropolitana: mischiare il vero, il verosimile e l'invenzione pura (panzana). In questo modo l'invenzione acquista credibilità dalla convivenza con gli altri "ingredienti", facendo breccia tra gli ascoltatori o comunque mettendoli nella condizione di vacillare, magari solo per un attimo (o per qualche riga). Poi gli ingredienti li puoi anche dosare a seconda di quanto tu voglia far rimanere sulla corda l'eventuale ascoltatore-lettore.
Nel mio caso il gioco era praticamente scoperto, il cazzeggio era svelato fin da subito, essendo il cazzeggio stesso la finalità di certi interventi (almeno su certi argomenti).
Pensateci: Semelli, inventato; S. Maria dei Cherubini, inventato ma è assolutamente plausibile che a Roma ci sia una chiesa del genere (tanto plausibile che neanche vai a controllare, il nome stesso garantisce l'esistenza dell'oggetto in questione); e poi dietro al Foro ci starà pure una chiesetta, Roma ne è piena! E quanti istituti domenicani ci sono in città? S. Gonenzio è chiaramente inventato ma S. Sabina sta indiscutibilmente in zona Aventino (elemento vero); S. Marco è un evangelista, quindi ha a che fare con la scrittura; P.zza Albania in zona Aventino è altro elemento vero, mentre il Muraro è inventato; la Fao sta sempre in zona Aventino, verissimo (la continuità spazio-temporale, come nelle sceneggiature, è molto importante, non si può passare dall'Aventino al Coppedè con una semplice camminata), mentre la Salita dei Cannucciari è inventata, tuttavia il termine Cannucciari è legittimato dallo stesso contesto, la Roma rinascimentale, barocca, papalina, con le sue vie dei Chiavari, dei Conciatori, ecc.
Vabbe', ho tristemente fatto un post su un mio vecchio post.
Il post più referenziale mai scritto.
--> Auditorium --> Zoo

Offline DinoRaggio

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Re:Cecconetzer e altre storie
« Risposta #31 : Venerdì 25 Gennaio 2013, 22:36:06 »
Mentre ch’avanti lesti noi s’andava
Smise il coglion lo rito punitivo
E con stupore udimmo che parlava

Noto non gl’era certo ‘l congiuntivo
Traduco adunque quello che sgorgava
Da quello cranio di sapere privo

“Io fui nel mondo ‘l peggio de’ coatti
E sol per lo talento pallonaro
Me so’ scampato de lavà li piatti”

“Ma l’unica ricchezza del denaro
Non puote certo mai cangiar li tratti
Di chi nel core è fiero borgataro”

“Pugnando avverso la fazion laziale
Truce maglietta esposi nello stadio
Ma di quel fatto me n’incolse male”

“Di gladio chi ferì perì di gladio
Ed in porchetta sempre va ‘l maiale
Tacemmi questo l’uomo della radio”

“Alfin non giova comportar da gregge
“Metti la maglia”, lo Marione disse
“Vedrai co’ questa nun te ponno regge”

“L’insegna esposi, e fu l’Apocalisse
Mannaggia a me che nun so’ bono a lègge
Galeotto fu ‘l motto e chi lo scrisse”

“Gloria di un giorno, fu l’amaro vanto
Che procurommi lo suddetto lazzo
Lo vile gesto subito ho rimpianto”

Giacché per paga del momento pazzo
Sventura n’ebbi, rosicando tanto
E pure st’anno non ho vinto un cazzo”


Strepitoso Teo!  :clapcap:
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)

feiez

Re:Cecconetzer e altre storie
« Risposta #32 : Mercoledì 30 Gennaio 2013, 21:56:24 »
Facciamo che per una sera non ero poi così laziale.

Facciamo che c'era una sfida che contava. Per il prestigio e per la maglia.

Facciamo che si giocava allo stadio delle Alpi.

Facciamo che la gi**e giocava con la squadra titolare, e il Toro pure, e faceva cattivo tempo ma lo stadio era pieno.

Facciamo che Nedved scastagnava in porta da venticinque metri dopo due minuti.

Facciamo che Lucarelli e Ferrante non strusciavano una palla.

Facciamo che Pinturicchio disegnava una palombella deliziosa che s'insaccava al sette, lasciando Bucci a boccaperta.

Facciamo che Trezeguet gli infilava il terzo di potenza, e non erano ancora dieci i minuti.

Facciamo che i tifosi del toro cantavano lo stesso, le sciarpe alla mano.

Facciamo che non gl'importava delle terze maglie granata dei gobbi, e loro si mettevano quella storica con i pantaloncini bianchi.

Facciamo che al ventiquattresimo fiondava in porta pure Davids su punizione.

Facciamo che Moggi e Giraudo si compiacevano ma siccome erano ex gli scacazzavano in testa tutti i piccioni, perché non avevano rispetto per quella maglia.

Facciamo che la giuve faceva melina, paga del risultato.

Facciamo che al rientro negli spogliatoi per i gobbi c'erano le solite flebo, e per i granata una sciarpata e un canto.

Facciamo che nell'intervallo andava via la luce per un momento.

Facciamo che si sentivano rumori strani sulla collina maledetta.

Facciamo che quando tornava la luce lo stadio era il Filadelfia.

Facciamo che Camoranesi saltava tre avversari in dribbling, e poi si trovava davanti Maroso che gli arpionava la palla rilanciandola in avanti.

Facciamo che Davids si avventava in pressing, ma Castigliano resisteva, spalla contro spalla, forte come una roccia, e rilanciava sulla destra.

Facciamo che Meroni agganciava in modo perfetto, e puntava Zambrotta saltandolo secco, e pi crossava al centro.

Facciamo che Puliciclone tirava un treno di testa che Buffon non lo prendeva, ed erano 4-1.

Facciamo che i tifosi del toro continuavano a cantare il loro lunghissimo mantra.

Facciamo che Loik vinceva un contrasto con Tacchinardi, e appoggiava la palla a capitan Ferrini.

Facciamo che Ferrini, evitato Tudor, la dava di shoot a Rossetti, che saettava un sinistro al sette. 4-2.

Facciamo che i tifosi della giuve tacevano di botto.

Facciamo che Mazzola riceveva da Maroso, e se ne ripartiva in dribbling.

Facciamo che, saltati i centrocampisti come birilli, Valentino la dava d'esterno, sulla destra, a Romeo Menti.

Facciamo che Romeo la metteva in mezzo di prima, e che Baloncieri la rovesciava irresistibile in porta. 4-3.

Facciamo che a Moggi crollava giù il sorriso, e che Bettega infilava le scale della tribuna autorità per svignarsela.

Facciamo che Libonatti avanzava per linee centrali, seminando gli avversari con una serie di finte, e la metteva dentro l'area rasoterra.

facciamo che Ciccio Graziani tirava un frigorifero in porta, e pareggiava.

facciamo che i tifosi del Toro continuavano imperturbabili nel mantra.

Facciamo che la curva della giuve si svuotava.

Facciamo che Nedved non ci stava e tirava un missile da lontano, e che Bacigalupo però lo parava.

Facciamo che mancava un minuto, e che Agroppi stroncava la palla dai piedi di Del Piero, e che la passava a Pecci, che la dava a Zaccarelli, che scambiava con Grezar, che la lasciava scorrere per Patrizio Sala, che lanciava sulla destra Claudio Sala, che ricamava dribbling sublimi come poesie. Facciamo che il cross era un colpetto vellutato.

Facciamo che la palla saliva verso l'area, girando su sé stessa, e che l'aria si fermava.

Facciamo che spariva dalla sera ogni traccia di umidità, e che si spegnevano i riflettori, e che si accendeva il sole.

Facciamo che Gabetto seguiva il cross che arrivava verso di lui, e che prendeva una lunga rincorsa, badando a rimanere smarcato.

Facciamo che Buffon usciva a mani protese, gridando: "miaaaaa".

Facciamo che Gabetto capiva che ci voleva qualcosa in più, e chiedeva le ali in prestito a Ferruccio Novo.

Facciamo che Novo gliele regalava con un sorriso, e che Gabetto si librava imprendibile in aria, e che colpiva la palla con la fronte piena, senza un suono.

Facciamo che il pallone d'ordinanza, bianco e nero, si tingeva improvvisamente di granata, per poi accarezzare la rete.

Facciamo che la partita era finita, 4-5, e con essa il mantra dei tifosi granata.

Facciamo che nessuno potrà mai negare la storia, e che la memoria del Grande Torino vale più di trenta scudetti.


TD