Autore Topic: Il terzo uomo  (Letto 1268 volte)

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Offline DinoRaggio

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Il terzo uomo
« : Venerdì 19 Ottobre 2012, 22:23:53 »
Da il messaggero.it

Nell'eterna sfida fra Fausto Coppi e Gino Bartali ha giocato sempre la parte del “terzo uomo”. Fiorenzo Magni se ne andato oggi nell'ultima volata della sua vita a quasi 92 anni (li avrebbe compiuti il prossimo 7 dicembre). Il leggendario “Leone delle Fiandre”, per via delle tre vittorie consecutive in Belgio, dal 1949 al 1951, fu uno dei tre grandi protagonisti dell'epoca d'oro del ciclismo italiano, quella di Coppi e Bartali.

Toscanaccio come Gino - era nato a Vaiano (Prato) nel 1920 - Magni rappresenta uno spaccato dell'Italia del dopoguerra, delle sue infinite sfide con i suoi grandi rivali. Il suo curriculum racconta delle sue tre storiche vittorie consecutive nelle Fiandre che lo consegnano alla Storia, dei successi nei Giri d'Italia nel 1948, 1951 e 1955 con la famosa fuga con Coppi nella tappa del 1955 da Trento a San Pellegrino, dell'abbandono della maglia gialla al Tour de France 1950 per il ritiro dalla corsa insieme a tutta la squadra italiana in seguito alle pressioni e alle insistenze di Bartali, che era stato aggredito sul Col d'Aspin da alcuni spettatori francesi.

L'ultima uscita pubblica di Magni risale a pochi giorni fa, il 12 ottobre, nel Salone d'onore del Coni per la presentazione di un libro a lui dedicato, “Magni il terzo uomo”, scritto dal giornalista Rai Auro Bulbarelli. «Ho 92 anni tra qualche giorno - le sue parole - e me li sento, ma la mente è come 50 anni fa e questo mi dà molto stimolo per fare un altro libro», disse Magni circondato da vecchi amici, come l'ex ct della Nazionale Alfredo Martini, lo storico meccanico Ernesto Colnago, e tanti altri campioni dello sport di ieri e di oggi.

«Fiorenzo Magni ebbe dalla sua la ventura di non somigliare né a Coppi né a Bartali - ha scritto nella prefazione Sergio Zavoli - e quindi di essere pari a loro per prestigio e popolarità, ma con una personalità anche agonistica, che per qualche verso addirittura sopravanzava i suoi due primari rivali». Insomma, un campione a tutto tondo, un asso della bicicletta, un eroe del ciclismo che ha consegnato alla Storia qualcosa di più delle se vittorie: una delle foto più belle di quel ciclismo epico, diventata immaginario collettivo, lo ritrae mentre stringe un tubolare tra i denti: l'altra estremità era legata al manubrio per continuare a correre nonostante una spalla rotta per una caduta.

Era l'epoca in cui l'Italia si divideva fra tifosi di Bartali e tifosi di Coppi: «Bartali non aveva mai fame, sete o freddo - ha raccontato il Leone delle Fiandre parlando dei suoi storici rivali - e, quando era in crisi, cosa che capitava assai di rado, pedalando inclinava leggermente la gamba destra. La rovina di Coppi invece era l'acqua, perché quando soffriva il caldo continuava a bere, se la buttava addosso fino ad essere completamente inzuppato». Da giovane lavorò nella piccola impresa di trasporti del padre a Vaiano, facendo le consegne in bicicletta. Un po' alla volta la bici divenne una passione e nel 1936 iniziò a gareggiare con l'Associazione Ciclistica Pratese. Passò dilettante nel 1938 con l'Associazione Ciclistica Montecatini Terme dove gareggiava anche Alfredo Martini, mettendosi subito in luce.

La svolta arrivò nel Dopoguerra: nono al suo primo Giro d'Italia (1947), l'anno dopo vinse il Giro d'Italia, che poi replicò nel 1951 e 1955. Tra le altre affermazioni anche tre Giri del Piemonte, tre Trofei Baracchi e tre Campionati assoluti. Secondo ai Campionati del mondo del 1951 (preceduto dallo svizzero Ferdi Kbler) e al Giro d'Italia del 1956 (dietro il lussemburghese Charly Gaul) alla veneranda età di 36 anni. Coronamento di una carriera gloriosa, ancorché da terzo uomo.

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Ciao Leone. riposa in pace.
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)

Offline benvolio

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Re:Il terzo uomo
« Risposta #1 : Sabato 20 Ottobre 2012, 00:53:56 »
Mi era sfuggita la notizia e ringrazio Dino, tantissimo. Un tributo commosso ad un'atleta ed un uomo eccezionale, capace di rendere mitico anche il ruolo di terzo molto incomodo nei cuori degli appassionati. Un corridore di una fierezza ed una forza indicibile, capace di pedalare tenendosi coi denti al manubrio per surrogare il braccio rotto. Un vero leone che rese l'Italia dominante sulle strade del Nord. Addio grande Fiorenzo e grazie.

Giglic

Re:Il terzo uomo
« Risposta #2 : Sabato 20 Ottobre 2012, 06:57:40 »
Magni, il terzo uomo
di Andrea Scanzi
   Èdura la vita del terzo uomo. In epoche diverse saresti stato un idolo, in concomitanza con un surplus di talenti passi quasi per comprimario. Lo sapeva bene George Harrison, non meno grande di Lennon e McCartney, ma sempre un passo indietro. E lo ha vissuto fino a ieri Fiorenzo Magni, morto a Monza per un aneurisma. All’improvviso, come si usa dire per chi con la vita ha saputo giocarci fino alla fine. Il 7 dicembre avrebbe compiuto 92 anni. È stato un campione (tre Giri d’Italia, tre Giri delle Fiandre, tanto altro). Mai, però, quanto Fausto Coppi e Gino Bartali. Lui era il terzo: sempre. Meno talentuoso, meno adatto alla mitizzazione. Capolavoro della volontà. Della fatica, del sudore. Da piccolo lo chiamavano “Cipressino”, per sottolinearne il fisico minuto.
   COL TEMPO seppe strutturarsi, divenendo ottimo passista e – ancor più – discesista temerario. Spesso anche troppo. La sua istantanea più didascalicamente eroica appartiene alla fase tarda della carriera. La ricorda anche Giorgio Viberti su La Stampa. Era il 1956. Nella stagione precedente, a 35 anni, aveva vinto il suo ultimo Giro (è ancora oggi il più “vecchio” trionfatore nell’albo d’oro della gara). Dopo una caduta, si ruppe una clavicola. Doveva fermarsi. Non lo fece. Attaccò al manubrio un tubolare, per stringerlo tra i denti durante la cronoscalata di San Luca. Un modo come un altro, forse l’unico, per attutire il dolore. Arrivò al traguardo. E terminò il Giro al secondo posto, dietro il lussemburghese Charly Gaul, uno dei più grandi grimpeur di sempre. Fu anche sfortunato. Nel 1950, probabilmente, avrebbe vinto il Tour de France. L’unica grande gara che gli è mancata. Dopo dieci tappe, era maglia gialla. Su pressione di Bartali, aggredito sul Col d’Aspin dai francesi, che ancora non perdonavano all’Italia il ruolo avuto nel secondo conflitto bellico, tutta la delegazione nazionale abbandonò la gara. Compreso Magni. Ha avuto due soprannomi. “Il Leone delle Fiandre”, perché lì vinse tre volte, consecutivamente, dal ’49 al ‘51. E, appunto, “Il Terzo Uomo”. Il campione all’ombra dei campionissimi. Ruolo scomodo, anche se in apparenza non per lui: “Proprio grazie a Gino e Fausto, le mie imprese hanno acquistato ancora più valore”.
   Sebbene pratese (di Vaiano), i toscani non lo hanno mai amato troppo. Preferendogli puntualmente Bartali. Era l’epoca d’oro del ciclismo italiano. Quella delle rivalità accese, dell’epica naturale, dei personaggi che entravano e uscivano dai canzonieri dei cantautori (Conte, Paoli). Per Magni nessuna nota illustre. Niente folle oceaniche. E qualche imbarazzo politico. I più fastidiosi da sopportare, i più tenaci ad andarsene. Dichiaratamente di destra, aderì alla Repubblica di Salò. Squalificato per avere appoggiato il fascismo e corso sotto falso nome, fu accusato di aver preso parte a una rappresaglia.
   UN’IMBOSCATA delle camicie nere a Valibona, nella sua Toscana, che costò la vita ad alcuni partigiani. A salvarlo dalla condanna a morte, le dichiarazioni di due rivali, Bar-tali e Alfredo Martini. L’accusa di collaborazionismo cadde. Non più tardi di una settimana fa, a Roma, durante la presentazione del libro a lui dedicato da Auro Bulbarelli (Magni, il terzo uomo), era tornato sull’argomento: “Mai sparato un colpo di fucile”. Concordano alcuni storici, tra questi l’inglese John Foot. Analizzando le lettere del Comitato di Liberazione Nazionale (sezione Monza), sembra addirittura che Magni collaborò segretamente con le formazioni partigiane locali. Ha cominciato a pedalare a 13 anni, nell’Associazione Ciclistica Montecatini Terme. La stessa di Martini. Orfano a 17 anni del padre. Gli sponsor, nel ciclismo, sono entrati anche grazie a lui. Nel 1954, sulla sua maglia, campeggiava il logo “Nivea”. È stato commissario tecnico. Ha vissuto un’esistenza piena. All’ombra dei giganti, ben sapendo – ma senza dirlo troppo in giro – d’esserlo stato anche lui.