Autore Topic: Assi del calcio stressati da lavoro: l'altra faccia (dolorosa) della medaglia  (Letto 727 volte)

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Offline AlenBoksic

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Quando si parla di loro - esaltazioni da tifosi a parte - si pensa inevitabilmente a una "casta" di privilegiati, osannata da folle plaudenti e strapagata grazie a contratti e benefit milionari. E, per molti aspetti, per i big del calcio effettivamente è così. Ma in generale anche loro - i professionisti del gol, più o meno famosi - soffrono di "malattie professionali" come ogni lavoratore. E, come ogni categoria professionale, possono accusare specifiche patologie.

I casi emblematici di Pato e Maggio. Il ko accusato da Alexandre Pato, costretto a ritirarsi dal campo del Campo Nou dopo appena 14 minuti di gioco, nella ripresa di Barcellona-Milan del 3 aprile scorso sta spingendo i medici dello sport a valutare con serietà le possibili implicazioni tra le forti pressioni e il grande stress cui sono sottoposti questi atleti dai problemi muscolari sempre più frequenti. Il caso di Pato - da due anni afflitto da problemi del genere - appare emblematico. E un esempio analogo sembra quello di Christian Maggio, esterno sinistro azzurro, sia della nazionale che del Napoli, tormentato da continue contratture che lo costringono a lunghi periodi di panchina.

Strappi malgrado l'assenza di scontri in campo. A fare ipotizzare una relazione diretta tra stress e cedimenti muscolari è il fatto che questi campioni, prima di ogni nuovo "knockout", sono clinicamente dichiarati sani. Guariti. Capaci, insomma, di dare prova senza sforzo del loro virtuosismo. Eppure, appena messo piede in campo, ecco manifestarsi nuovi impedimenti a gambe e polpacci. Episodi non correlati ad alcun contatto fisico con l'avversario, a nessun intervento a gamba tesa e a nessuna scivolata in corsa, potrebbero trovare una spiegazione a livello nervoso. Ansia da prestazione? Peso della responsabilità? Insomma: una sorta di "stress da lavoro"? Sia chiaro: il nesso è ancora tutto da dimostrare, ma gli esperti di medicina sportiva - stando a quanto riportato da web e giornali - malgrado le conoscenze a disposizione siano ancora relative, sembrano ritenere questo nesso plausibile.

Gli acciacchi e contusioni da contatto fisico. Esiste, poi, un'altra casistica - molto più comprensibile - che giustifica acciacchi e contusioni: quella "classica" dovuta allo scontro durante l'azione di gioco. Illuminante, in tal senso, è un'intervista rilasciata a Calciomercato.com da Piero Volpi, responsabile del settore medico dell'Inter dal 1995 al 2000. "Le cause dell'alto numero di infortuni vanno ricercate anche nella fisicità dei giocatori di oggi, che sono mediamente più forti e con masse muscolari più grandi rispetto ai calciatori di venti o trenta anni fa", afferma. Altri elementi da valutare: l'impeto agonistico e perfino gli allenamenti, "là dove i tecnici chiedono agli atleti di dare prova comunque di un'elevata intensità".

Il peso dell'età, della panchina e... dell'allenatore. Altro fattore, ancora, è legato all'età. "Soprattutto per le squadre di vertice italiane abbiamo una media di età particolarmente elevata e un giocatore di 30, 32 anni ha più probabilità di infortunarsi, oltre a metterci un po' più tempo poi a recuperare rispetto a un ventenne - spiega Volpi - Rispetto alle squadre inglesi o alle squadre tedesche abbiamo una media d'età un po' più alta nelle squadre che giocano le coppe. All'estero, poi, fanno il vero turnover, sfruttano appieno l'intera rosa. Il nostro è un campionato fortemente dispendioso anche perché si cerca sempre di far giocare i migliori, anche per evitare polemiche per le esclusioni eccellenti. Cercano tutti di far giocare sempre i migliori". E pure il cambio di allenatore - che porta nuovi schemi e nuove metodologie di gioco - statisticamente si è rivelato un elemento di "rischio" infortunistico.

Anemia: un calo di emoglobina "fisiologico". E che dire dello svenimento di Wesley Sneijder durante la partita Inter-Brescia del 6 novembre 2011? Gli accertamenti diagnosticarono al giocatore olandese anemia (una diminuzione della quantità di emoglobina totale presente nell'organismo, la proteina contenuta nei globuli rossi che trasporta l'ossigeno ai tessuti). "Cinque minuti prima dell'intervallo ho cominciato a tremare, poi nello spogliatoio sono svenuto e mi hanno fatto i primi controlli - si giustificò - In Olanda sono stato visitato di nuovo e sono risultato un po' anemico: non problemi gravi, più che altro stress fisico". Un caso che Volpi definisce, più che altro, di "stress da lavoro". "L'olandese, poveretto, ha fatto la stagione che ha fatto nel 2009-10, poi ha fatto un gran mondiale arrivando fino in finale, poi si è sposato avendo un altro (per carità!) bellissimo stress - valuta il medico - Quindi è normale che abbia accusato una sensazione di stanchezza. L'anemia che lui ha citato dovrebbe essere certificata da un medico, ma ogni sportivo tende un poco a diventare anemico, perché c'è un logorio: è normale".

Lo stress in campo, però, manda il Qi alle stelle. Esiste, tuttavia, anche un aspetto positivo legato allo stress dei calciatori e che sfata un luogo comune che pesa sulla categoria. A sostenere senza dubbio che questi atleti sono decisamente intelligenti è, infatti, una ricerca svedese che ha sottoposto a un test cognitivo - una sorta di Qi, ma più ampio - i propri giocatori di serie A e ha paragonato i risultati con quelli ottenuti dai calciatori di serie minori. Il risultato: la loro intelligenza è proporzionale al numero di gol realizzati. E se si paragona la performance nel test con quella ottenuta dal resto della popolazione, i giocatori di serie A sono stati addirittura inclusi nella fascia del 2% dei più intelligenti. Insomma, quasi dei geni: molto creativi, capaci di trovare la soluzione a un problema in breve tempo e bravissimi nel multitasking, la capacità di gestire più processi cognitivi contemporaneamente.

La tensione in campo stimola la creatività. "Non sono stupidi, sono molto intelligenti - spiega al "Times" Torbjorn Vestberg, uno degli autori dello studio - Ma hanno iniziato a giocare a calcio quando erano molto giovani e non hanno avuto tempo per istruirsi". Al di là del loro livello culturale, sul campo i calciatori devono "sapere dov'è il loro compagno di squadra, dov'è il loro avversario, e ricordarsi cosa aveva fatto il loro avversario l'ultima volta. E devono pensare a tutto questo in tempi brevissimi, e tutto insieme. Quella dei ricercatori svedesi - che hanno pubblicato il loro studio sulla rivista "Public Library of Science" - è, quindi, una misura dell'intelligenza che tiene conto della creatività in situazioni di stress e della capacità di adattarsi in fretta a un nuovo problema con diverse soluzioni. Non soltanto di ciò che hanno appreso sui banchi.

Congiuntivi carenti? Ma la "materia grigia" abbonda. "Nei test di intelligenza ci sono molte cose che si possono imparare - aggiunge Pedrag Petrovic, l'altro autore dello studio -  Ma se non sei interessato alla scuola e ti interessa il calcio, te le puoi essere perse. Però non avere queste conoscenze non significa che i calciatori non abbiano un cervello potente: quei ragazzi lavorano duramente con la loro testa". Forse sbaglieranno ad azzeccare un congiuntivo nelle interviste del dopo partita, ma la materia grigia c'è. E dipende, in parte, proprio dallo "stress" legato allo stare in campo. E, comunque, non dimentichiamoci che ci sono anche "perle rare" come il mitico Socrates, il fuoriclasse carioca da poco scomparso, che studiava per una laurea in medicina mentre si guadagnava il titolo di calciatore sudamericano dell'anno


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Voglio 11 Scaloni

POMATA

Re:Assi del calcio stressati da lavoro: l'altra faccia (dolorosa) della medaglia
« Risposta #1 : Giovedì 12 Aprile 2012, 16:42:43 »
Malimortacciloro :D

Dammeli a me i soldi de maggio o pato...lo sò la faccio semplice ma io per arrivare a fine mese faccio i tripli mortali senza materazzo...

Arilimortacciloro ;)

Offline Barabba Terzo

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Re: Assi del calcio stressati da lavoro: l'altra faccia (dolorosa) della medaglia
« Risposta #2 : Giovedì 12 Aprile 2012, 18:14:45 »
Lo vorrei proprio vedé il multitasking del fesso