Visto da me: Torino-Lazio 0-0

di Er Matador



”È finito lo strazio di Bari”: così, l’8 aprile 1990, Riccardo Cucchi annunciava agli ascoltatori di Tutto il calcio minuto per minuto il fischio finale allo stadio “Della Vittoria”.
Se quello 0-0 rientra di diritto fra le gare più noiose disputate dalla Lazio, l’analogo risultato dell’Olimpico torinese si candida a entrare nella suddetta graduatoria.

Tolta l’accelerazione biancoceleste nella fase centrale della ripresa, novanta minuti di nulla all’insegna del contrasto di stili nella sua versione peggiore.
Da una parte la costruzione dal basso, protratta a livelli così assurdi e masochistici da sconfinare nella satira.
Un difensore ha tentato di attuarla, con un fantozziano “batti lei”, persino su una rimessa dal fondo: prima che Provedel, nel miglior intervento del suo pomeriggio, lo mandasse a quel paese provvedendo in proprio a rimettere in gioco la palla.
Dall’altra il killeraggio scientifico di qualsiasi conato di gioco, con un arbitro complice a permettere qualsiasi cosa, fino al surreale 4-0 per la Lazio in materia di ammonizioni.

Se gli ospiti ruminavano palleggi senza la minima idea di come arrivare in porta, gli uomini di Jurić sfruttavano gli spazi alle spalle di Cataldi e davanti a Lazzari per creare situazioni nei pressi dell’area avversaria: con le quali non hanno portato veri pericoli, ma solo per somaraggine tecnica.
Un plot simile a quello dei primi quarantacinque minuti contro il Bologna: là, sul centro-sinistra a metacampo, mancava Bašić sostituito per far entrare il secondo portiere; ieri c’era Vecino, e cambiava poco.

Ne è uscita una prima frazione al cloroformio, della quale rimangono solo le impeccabili letture difensive di Patric.
Per il resto l’unica emozione è venuta dal telecronista quando ha parlato di “intervento con le mani di Milinković-Savić”: e per fortuna si riferiva al fratello portiere.

Nella ripresa, l’inevitabile calo di un undici costruito unicamente sul correre e picchiare ha risucchiato in avanti il baricentro della Lazio, con alcune occasioni da gol che hanno sottratto momentaneamente Immobile al quasi totale isolamento.
Occasioni peraltro costruite tirando il pallone addosso al centravanti, in maniera poco sarriana.
Una fiammata senza conseguenze, immediatamente riassorbita dalla pochezza di giornata.
Neppure i cambi hanno increspato una simile piattezza, risultando peraltro tardivi e scolastici, senza neanche l’ipotesi di un cambio di ritmo o di schema.

Nient’altro da segnalare fino al triplice fischio se non il triplice fischio stesso, arrivato in anticipo ignorando il recupero per le sostituzioni.
Si spera sempre che il sarrismo, sinora un bluff, cominci davvero.

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