Visto da me: Udinese-Lazio 1-1
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di Er Matador
Col quarto posto a due lunghezze in caso di vittoria, non è facile esultare per il punticino della Dacia Arena. Sull’altro piatto della bilancia, ha argomenti validi anche chi sostiene che poteva finire peggio.
Lazio che parte malissimo, con le scorie dell’impegno infrasettimanale sia nella testa – le energie mentali sembrano scarseggiare più di quelle fisiche – sia nella disposizione del reparto arretrato. La sconcertante disinvoltura con cui si lascia staccare Nehuén Pérez e concludere Deulofeu, il tutto a difesa schierata, ricorda la disastrosa doppietta del do Dragão. Dopo un’altra imbarcata, al termine della quale Makengo sbaglia un gol inverosimile a mezzo metro dalla porta, la gara dei biancocelesti ha inizio aiutata anche da due fattori.
L’infortunio – si spera lieve – di Pedro, che restituisce Felipe Anderson alla fascia di competenza portando il numero degli effettivi da dieci a undici e mezzo. Una difesa avversaria non meno implausibile, ferma e in linea come la “riga” visualizzata sullo schermo alla moviola per dirimere i casi di fuorigioco. Bastano così lanci lenti e dalla distanza per liberare con la massima facilità le risorse offensive sulle fasce, iniziando a creare pericoli. La terza linea friulana conferma i propri limiti concedendo gloria sulle palle alte a due diversamente specialisti come Zaccagni e Pipe, che confezionano il pari allo scadere.
Sembra solo l’inizio di una supremazia schiacciante, destinata a concretizzarsi in una rimonta. A fronte di un gioco convincente per quantità e qualità, causa i riflessi appannati e l’assenza di Luis Alberto fanno improvvisamente difetto lucidità e precisione nell’ultimo passaggio, vanificando più di un’azione utile. La squadra sembra comunque sul punto di sfondare quando Sarri piazza il capolavoro: fuori l’unico centrocampista di peso (Bašić), dentro l’alternativa più impalpabile (André Anderson). Unita all’ingresso di Success – un Tir al cui confronto Lukaku sembra Don Lurio – e alla stanchezza di troppi elementi, la mossa ribalta l’inerzia della partita a favore dei padroni di casa.
L’ultima fase della gara trascorre fra il “vorrei ma non posso” di una Lazio troppo flebile e il rischio della beffa finale. Pronta a concretizzarsi a tempo scaduto (nella foto, ndr), su un fallo non fischiato a Zaccagni e un tiro di Molina: gli dei del calcio stabiliscono che sarebbe troppo e deviano sulla traversa a Strakosha battuto.
Ancora qualche cenno su due protagonisti della serata. Cabral ha esordito come improvvisatissimo vice-Immobile, destando un’impressione positiva per condizione, approccio volitivo e presenza nel vivo del gioco. Purtroppo non ha azzeccato un movimento che sia uno, si spera a causa dell’intesa coi compagni neppure accennata: valga il suo improvvido taglio a sabotare Milinković-Savić, che aveva guadagnato la porta con uno stop da copertina dell’Album Panini.
L’arbitro Massimi si è reso autore di una direzione criminale, facendo da palo a un’aggressione a banda armata che ha praticamente impedito di giocare a calcio. Il capolavoro rimane l’ammonizione a Zaccagni, massacrato in totale impunità dai macellai di casa e sanzionato dopo un intervento nettamente sul pallone. Concesse tutte le attenuanti ai biancocelesti, si è avuta però la sensazione di un rigurgito di piolismo nel giocare come se nulla fosse, quando sarebbe servito probabilmente un po’ di mestiere per gestire un contesto di fatto extra-tecnico.
Sempre a proposito del direttore di gara, a pochi minuti dal 90’ ha sporcato una traiettoria dei bianconeri consegnando la sfera a un loro avversario: evento che non rileva da un punto di vista regolamentare, essendo l’arbitro parte integrante del gioco. Il sopracitato Massimi ha invece avocato a sé il pallone, con un intervento già ingiustificato: e non per scodellare una palla a due, ma per rimetterla direttamente sui piedi di un udinese. Si è trattato di una situazione regolare?
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