Visto da me: Lazio-Atalanta 0-0

di Er Matador



Nel commentare la partita, viene spontaneo mettere sul piatto della bilancia il valore dell’avversario e il peso delle assenze che l’hanno costretto a schierare nomi improbabili.

A giudizio di chi scrive, questa chiave di lettura viene marginalizzata dal confronto col primo tempo di Coppa Italia contro l’Udinese: poiché, al cospetto di due avversari molto diversi, la Lazio ha sostanzialmente fornito lo stesso riscontro.
Manovra avvolgente, sempre più organizzata, di un progetto tecnico in crescita che ieri sera ha lasciato le briciole agli orobici in fase offensiva? Sarà.
Allo scrivente, di simpatie guardioliste e quindi col culto del possesso palla e della costruzione bassa, è sembrata una via di mezzo fra una caricatura del modello di cui sopra e una presa in giro.

Un torello triste e senza porte, con un calcio ruminato a due all’ora il cui unico sbocco consiste nell’appoggio sull’esterno: servito regolarmente da fermo, con compagni altrettanto piantati sul terreno alla stregua di omini del Subbuteo.
Il tutto sperando in un suo spunto individuale, senza il quale si potrebbe palleggiare per una settimana producendo zero tiri verso la porta.
Senza dimenticare che saltare l’uomo da fermo può essere nelle corde di Zaccagni, laddove Felipe Anderson e Lazzari danno il meglio quando possono arrivare all’uno contro uno già lanciati in velocità.

Mai come contro i Gasperini si è capita l’importanza di Pedro, giocatore di intelligenza tattica fuori dal comune e quindi in grado di improvvisare movimenti offensivi senza le indicazioni dell’allenatore: per capirci, come Mauri con Reja.
E il paragone col grigio di Gorizia non è causale: perché Sarri ha ereditato tutti i difetti dei predecessori, dalla mollezza disciplinare alla totale assenza di organizzazione offensiva, aggiungendone qualcuno in proprio.
Ad esempio l’ottusità nel non considerare alternative alla crocifissione dello schieramento sul 4-3-3, con mero turnover nei singoli ruoli, anche quando la partita non si sblocca e gli schemi sono saltati.

Difficile non dare ragione a chi ha invocato Muriqi – e anche questo la dice lunga sulla situazione tecnica – per sfruttare lancioni e soluzioni aeree.
Ma, anche senza evocare grandi ripensamenti del genere, sarebbe bastato convogliare nei sedici metri atalantini tutte le risorse disponibili sui palloni alti.
Chi, invece, è andato a saltare con più frequenza? Patric, i cui movimenti nello stacco fanno quasi tenerezza.
Togliendo fra l’altro una risorsa sulle respinte corte sottorete, dove l’agilità e gli accenni di fiuto del gol dello spagnolo avrebbero potuto concretizzare qualche pallone sporco.

Poi ci sono le prestazioni individuali, fatte tanto di piede freddo quanto di motivazioni da latte alle ginocchia.
Ma chi ha gestito i rapporti con lo spogliatoio, sia pure lasciato solo contro tutti da una società che lo ha trattato come un talismano, anziché come epicentro di un progetto tecnico?
E, soprattutto, chi ha tradito il senso del proprio ingaggio affidando la manovra offensiva alle sole intuizioni dei singoli, proprio come i miracolati e i minestrari che si intendeva lasciarsi alle spalle col suo arrivo?

Detto da un sarriano della primissima ora: a oggi il sarrismo è una cagata pazzesca (semicit.).

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