Visto da me: Sampdoria-Lazio 1-3

di Er Matador



Cominciamo dal mattatore, dalla vera chiave tattica dell’incontro: Toma Bašić.
Centrocampista completo, che sembra trovare il proprio habitat naturale nella mediana a tre, tatticamente intelligente, poco brillante ma concretissimo nella gestione delle risorse tecniche e atletiche.
Pur nella differenza di ruolo, ricorda Georges Grün: l’uomo in più del Parma di Scala nel senso letterale del termine, perché creava superiorità numerica in tutte le fasi di gioco.
Unita ad altre scelte, che riguardano principalmente gli altri elementi incaricati di presidiare la corsia sinistra, la sua presenza nella formazione iniziale ha garantito ben altro equilibrio.
Al riguardo sono possibili più interpretazioni:


1) una ostile al tecnico: Sarri ha finalmente abdicato al proprio integralismo in direzione di scelte maggiormente pragmatiche.
Posizione naturalmente legittima ma, a giudizio di chi scrive, fallata da una contraddizione.
Al toscano si rimprovera di non sfruttare al meglio i talenti a disposizione: laddove, in questa interpretazione, la sua colpa sarebbe casomai quella di aver insistito nel mettere in campo tutta la qualità disponibile, anche a scapito degli equilibri tattici

2) Una ostile ai giocatori: Bašić, Marušić e magari Zaccagni dimostrano la voglia di sbattersi nelle due fasi, garantendo corsa e copertura oltre al contributo tecnico.
Laddove i top player della mutua potrebbero adattarsi e imparare, ma hanno di meglio nei loro programmi personali

3) Una maggiormente neutra: Bašić e Marušić si impongono grazie a doti atletiche in linea con gli standard del calcio contemporaneo.
Rispetto ai quali, ad esempio, un esterno con la fisicità di Lazzari rappresenta un anacronismo


Questione uomo coi guanti. La valutazione dello scrivente è lapidaria: Reina non è un portiere da un punto di vista atletico; Strakosha non è un portiere dal punto di vista del repertorio tecnico.
Che l’interpretazione del ruolo possa ridursi a doti fisiche e riflessi nel saltellare fra i pali, senza considerare uscite, visione tattica d’insieme e gioco coi piedi, appartiene a una caricatura del calcio di provincia anni ‘80 che troppo spesso fa capolino nel mondo Lazio.
Roba buona per i film di Banfi, non per un club contemporaneo.
Colpa, sia chiaro, non del giocatore – che le qualità di base le avrebbe anche – quanto di chi lo ha gestito negli ultimi anni, smantellandolo anziché costruirlo.
E anche ieri l’albanese non si è smentito, limitandosi a un paio di parate normalissime.
Reina non avrebbe preso neanche quei palloni? Senza dubbio.
Ma la sintesi “abbiamo un portiere” sembra pericolosamente prematura.

Nell’insieme, un primo tempo di piacevole strapotere contro un avversario modesto ma che la partita non te la regala di certo.
Seguito da una ripresa in cui la squadra, pur senza soffrire più di tanto, ha palesato i soliti limiti: interruttore acceso/spento, anziché gestione della minore intensità tramite gradazioni intermedie, e propensione a un baricentro troppo basso.
Una considerazione sulla doppietta di Immobile: per solito al centravanti si chiedevano tempismo e freddezza, nel finalizzare situazioni in cui il tiro a colpo sicuro era preparato almeno in parte dall’assist.
Ieri, invece, si è avuta la sensazione che la squadra lo abbia rifornito con palloni abbastanza ordinari, e che sia stato lui in proprio a renderli così pericolosi.
Bravissimo Ciro: ma anche qui, prima di concludere che il nuovo assetto lo abbia davvero metabolizzato, servono tempo e cautela.

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