Visto da me: Lazio-Fiorentina 1-0

di Er Matador



Tre punti importantissimi e una reazione di squadra che non dissipano, né potevano farlo, tutte le perplessità.

Fra gli aspetti positivi figurano le prestazioni del trio Luiz Felipe-Cataldi-Pedro.
Se per il brasiliano la discriminante è una tenuta fisica sin qui inesistente, sul recupero degli altri due dopo stagioni indecifrabili il lavoro di Sarri sembra aver inciso in maniera sostanziale.
La scarsa presenza di occasioni viola sul taccuino del cronista – accentuatasi dopo l’1-0, con la Lazio che ha acquisito sicurezza – segnala una felice controtendenza rispetto alle ultime prestazioni.

Proprio la fase difensiva, a dispetto delle eccellenti statistiche a referto, si presta a qualche riflessione supplementare.
Nel primo tempo, ad esempio, gli ospiti hanno sovrapposto a piacimento sulla fascia destra del loro schieramento offensivo.
Fascia presidiata da un Marušić sempre diligente e da un Pedro prezioso in recuperi che non potrà sempre garantire, quindi nelle migliori condizioni possibili almeno al momento.
Il che non ha impedito di soffrire troppo, e di evitare il peggio solo facendo densità davanti a Reina per innocuizzare i palloni provenienti dai continui cross: scelta di provvidenziale buonsenso, ma per un’ideona del genere bastava la buonanima di Bruno Pace.
Sempre a proposito delle catene sulle fasce, immaginiamo uno spettatore partito per Marte qualche anno fa e tornato per la partita di ieri.
Avrebbe salutato la Terra con Candreva terzino aggiunto per proteggere Konko e l’avrebbe ritrovata con Pedro terzino aggiunto per proteggere il serbo-montenegrino.
Segno di un annoso problema che costringe la squadra a scegliere fra un assetto a trazione posteriore, logorandosi in rientri troppo profondi e frequenti, e uno sbilanciato.

Problema che consiste nell’incapacità cronicizzata di mantenere la squadra corta in tutte le fasi di gioco, grazie alla celeberrima difesa alta, per mancanza di un dominante specializzato nell’incombenza.
Biava e Dias formavano una coppia di centrali da scudetto ma con quel limite tattico, accentuato dalla propensione a rinculare da parte di Ledesma.
La merda olandese ha applicato tali dettami nel primo anno di Pioli, ma con un frequente eccesso di zelo e dimostrando scarsa perizia nel graduare il ricorso a tale strategia difensiva.
Avrebbe forse fatto meglio Gentiletti, se quel maledetto infortunio non avesse restituito una statua con la paura della propria ombra.
Per trovare un’interpretazione equilibrata e convincente nel ruolo bisogna risalire a un giocatore non eccelso, ma campione di umiltà, abnegazione e applicazione: il caro Emílson Sánchez Cribari.
Segno di come, al di là delle caratteristiche dei singoli, sia una questione di testa e approccio mentale.
Segno di come, dal primo e splendido biennio di Delio, siano passati troppi anni.

Particolarmente pregna di implicazioni l’azione, pregevole tanto nelle giocate individuali quanto nella manovra d’insieme, che ha deciso il match.
Si è osservata più volte la scarsa freddezza nella gestione del pallone, a dispetto di doti tecniche adatte a congelare il possesso palla per modulare a piacere i tempi di gioco.
Anche la trama offensiva in oggetto si prestava a soluzioni frettolose come se il pallone scottasse, ad esempio una conclusione non proprio a colpo sicuro di Milinković-Savić.
Invece la squadra è rimasta “un attimo soltanto, un attimo di più con la testa fra le mani”, e proprio quella frazione di secondo ha creato la finestra spazio-temporale per prendere sul tempo la difesa viola.
Meno rassicurante una notazione già spesa a beneficio dell’ex blaugrana in occasione di un’altra prodezza, quella nel derby.
Anche qui a fare la differenza è stata una giocata da fuoriclasse, perché non si può classificare diversamente una conclusione di controbalzo, senza decelerare in corsa e col piede “sbagliato”.
Con una soluzione ordinaria da parte di un compagno tecnicamente normotipico, l’azione si sarebbe conclusa con esito altrettanto felice?

Buona Lazio nel complesso, ma il gioco di Sarri – e il giocare di squadra in generale – sembrano ancora un miraggio.

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