Visto da me: Lazio-xxxx 3-2
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di Er Matador
Al di là dell’esultanza illimitata per un risultato sempre fondamentale, ieri credo di aver assistito innanzitutto a prestazioni individuali di altissimo livello. Sull’1-0 gol Felipe Anderson calibra un cross col contagiri che non sfrutta lo spazio, lo crea dando il tempo a chi si inserisce di prendere sul tempo il difendente. Mi ha ricordato il lancio di Meghni per Rocchi in Lazio-Werder, una fra le giocate più geniali e spiazzanti cui mi sia capitato di assistere. Sul 2-0 Pedro ha la qualità, l’intelligenza calcistica, la freddezza per puntare tutto sulla soluzione di prima, risolvendola con un colpo da biliardo. Dal fake penalty per quegli altri a un contropiede esaltante che manda in gol il freschissimo ex, oltretutto con la 9 sulle spalle e nella stessa porta di Di Canio: l’orgasmo perfetto del tifoso, e magari una piccola nemesi per quanto accaduto l’anno scorso in casa dell’altra partenopea. Poi, però, iniziano i “se”. Nel primo caso, si è detto – a ragione – che, con un arbitro e un Immobile normali, sarebbe finita in goleada: e con un Felipe Anderson normale, vale a dire abulico e inespresso come troppo spesso gli capita? Quante occasioni avremmo creato? Nel secondo, immaginiamo un’azione di rimessa con soli due uomini a coprire spazi di campo enormi: quanti giocatori avrebbero saputo concluderla in quel modo? Chiunque altro o quasi avrebbe mancato la porta, colpito troppo centralmente o, proseguendo palla al piede anziché tirare subito, rischiato di farsi recuperare. Seriamente: pensiamo che Pipe, Pedro e Reina possano essere nella maggior parte delle gare quelli visti ieri?
Se dai singoli si passa a un discorso di squadra, più si rimette insieme il puzzle più l’immagine che ne esce risulta piena di incognite. La gestione del vantaggio, innanzitutto: perché la Lazio dei primi venti minuti, dominatrice assoluta senza neanche sfondare l’acceleratore, è improvvisamente sparita? Non è concepibile subire così, col 2-2 a portata di mano già entro la prima frazione e contro un avversario che non ha proposto nulla: se non un arrembaggio di stampo rugbistico, alla ricerca della meta di mischia senza altre idee, che però poteva bastare. A parte i limiti sulle palle alte, col palo di Zagagnolo (al cui confronto, Cassano e Balotelli sembrano due persone intelligenti) e il gol di Ibañez, è apparso evidente un cedimento strutturale. Da cosa dipende tanta fragilità? Perché la Lazio dà sempre l’impressione di una coperta corta, che per coprire interamente il campo dovrebbe giocare in quindici? Prima della tattica, a giudizio di chi scrive, vengono altri tre fattori:
1) quello atletico, con grandi accelerazioni in ripartenza ma la propensione di troppi ad arrivare secondi sul pallone
2) Quello psicologico, comprendendo concetti-base di malizia e mestiere: possibile che tutte le squadre del mondo difendano il pallone, prendano falli, spezzino il ritmo? Mentre un giocatore biancoceleste va in panico appena viene pressato, subendo in maniera incondizionata il forcing avversario? Situazione già rilevata più volte negli ultimi anni e che sembra proprio ricollegabile a una testa da boy scout, più che da calciatore con un po’ di pelo sullo stomaco
3) Quello tecnico, con una difficoltà troppo evidente nel ripulire i palloni in uscita. Sarà un caso, ma il momento in cui la Lazio ha sofferto meno – e in cui ha segnato il terzo gol in scioltezza – è compreso fra l’ingresso di un giocatore abile in costruzione come Cataldi e l’uscita di Luis Alberto, che si era provvidenzialmente abbassato. Il che rende, a mio avviso, incomprensibile la sostituzione dello spagnolo per inserire Akpa-Akpro e competere sul piano della corsa, dove gli avversari ne avevano di più. Sarebbe stato forse preferibile metterla sul piano della qualità, concentrando piedi buoni nella zona calda a ridosso dell’area per farli correre a vuoto e ripartire quasi a ogni azione
Poi incidono senza dubbio le componenti tattiche, come la propensione a schiacciarsi troppo all’indietro, il fatto che Acerbi abbia come riferimento l’avversario diretto e non la linea difensiva (non è colpa sua se l’hanno scambiato per un dominante), il conseguente ricorso a ripiegamenti in profondità nei quali Pedro è stato utilissimo, ma che non potrà certo garantire regolarmente. Se però c’è qualcosa di vero in quanto annotato al punto 3), serve anche un lavoro mirato su tecnica e testa per ridurre al minimo le incertezze nella costruzione bassa. E recuperando, quando proprio non se ne può fare a meno, il lancione lungo ma non per questo a casaccio. Situazioni come quella del 15’, uno stucchevole palleggio concluso da un goffo tocco di Milinković-Savić a regalare un corner, sanno tanto di satira tattica.
In conclusione quella che è la domanda-chiave: come si colloca questa partita nello sviluppo del progetto tecnico e del rapporto fra tecnico e spogliatoio? Il Comandante sta trovando la quadratura tramite i necessari aggiustamenti, cosa che gli ha sempre richiesto un periodo iniziale di adattamento? Oppure siamo all’allenatore che fa un passo indietro e la squadra che ne fa uno avanti, come accaduto a Petković già in precampionato? Quest’ultimo scenario implicherebbe la normalizzazione di Sarri sugli standard dei predecessori, e quindi la sostanziale perdita di senso del suo ingaggio.
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