Visto da me: Lazio-Verona 0-0
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di Er Matador
Un avversario fra i più forti del torneo sul piano della preparazione atletica, a giudicare dall’intensità che ha saputo esprimere fino all’ultimo. Un avversario scorbutico fino all’ostruzionismo esplicito, comprensivo di simulazioni e perdite di tempo. Un avversario motivato oltre la logica, verosimilmente su commissione, nel conquistare e festeggiare un punto non così decisivo per la sua classifica. Un arbitraggio-killer cialtrone e indisponente, a senso unico nei criteri con cui ha valutato gioco duro e comportamenti non regolamentari quanto scientifico nel puntare i diffidati biancocelesti, cancellandone un paio dalla trasferta di Parma con cartellini gialli da ripetizione della partita. Un passaggio a vuoto di alcuni tenori, umano dopo un periodo a mille, e una discreta dose di sfortuna nei legni colpiti.
Basta tutto questo per assolvere con formula piena la prestazione di ieri sera? Sì e no perché, al di là delle valide attenuanti citate, rimane la sensazione che Inzaghi e i suoi siano entrati almeno in parte in modalità mo’ te riconosco: e lo si capisce dalle valutazioni di alcuni singoli.
Discorso, quello sulle prestazioni individuali, che parte obbligatoriamente da Luis Alberto. Mai come ieri lo spagnolo si è caricato la squadra sulle spalle con una prestazione alla Mike D’Antoni, attirando su di sé quasi tutte le responsabilità nella costruzione del gioco, cercando ossessivamente l’invenzione in grado di sbloccare una gara rognosissima, incaricandosi in proprio della soluzione quando i compagni non sembravano in grado di concretizzare le sue intuizioni. Non male per uno che proprio nella personalità e nella fragilità nervosa aveva palesato i limiti più seri, quasi fatali a un certo punto della sua carriera.
All’estremo opposto sotto questo profilo Milinković-Savić, che sul piano mentale ha marcato visita proprio nella serata in cui servivano i suoi colpi per sopperire a una fluidità di squadra venuta meno. L’ennesima occasione fallita nel compiere il salto di qualità da potenziale a realtà; da guest star a protagonista del film; da prestazioni importanti, ma a rimorchio di un undici funzionante in proprio, a un ruolo da locomotiva. Più si assiste a serate del genere, più viene in mente il giudizio di De Gaulle sul Brasile: “È un Paese con un grande potenziale. E lo sarà sempre”.
Passando dalle notazioni motivazionali a quelle squisitamente tecnico-tattiche, nella graduatoria dei migliori merita un posto Patric. Intelligente la sua lettura della partita nella quale, da disoccupato quasi cronico come terzo di destra in difesa, si è ritagliato uno spazio nel cuore della manovra sovrapponendo su Lazzari o alternandosi con lui tra la fascia e la “seconda fila” più interna. Una fonte di uno-due e movimenti fondamentali per aprire un fortino munitissimo come quello veronese; peccato che i meccanismi fra i due esterni – ma anche fra loro e il gioco d’insieme – siano apparsi assai poco oliati, mandando a vuoto troppe occasioni di superiorità numerica. Altrettanto vale per Lazzari considerato a sé stante: felice la sua intuizione di puntare forte sulle percussioni e sul mismatch in velocità, che lo favoriva nelle progressioni sulla distanza; altrettanto puntuale la mancanza di assistenza, che lo ha isolato nelle sue buone intenzioni. Un altro che ha capito come rendersi utile è stato, al netto dei suoi limiti di tenuta, Caicedo. L’unico in grado di sovrastare la fisicità degli scaligeri e con un piede abbastanza educato nelle sponde spalle alla porta, ma vanificato dall’immobilità e dalla scarsa coordinazione dei compagni nello sfruttare spazi che, così facendo, si richiudevano immediatamente.
Chi invece non ha proprio colto la chiave tattica – e non per la condizione fisica, apparsa all’altezza – è Lucas Leiva, protagonista di un primo tempo tutto tocchi di troppo e immancabili passaggi all’esterno che saliva, inclusi i rischi di una traiettoria all’interno del terreno. Una regia senza idee e al rallentatore, laddove sarebbe servita quella più dinamica e propositiva dell’indisponibile Cataldi, che ha contribuito al problema di fondo: attaccare perennemente di seconda intenzione contro una difesa schierata. A un certo punto alcuni spettatori hanno avvistato un esagitato, con tanto di croce e acqua santa, che inveiva: “Badelj, esci da questo Leiva”. In seguito il brasiliano ha opportunamente alzato il baricentro – e piazzato un paio di assist niente male – ma conservando ritmi del tutto fuori sincrono rispetto all’esigenza di prendere l’avversario sul tempo.
Giornata così così anche per Inzaghi, responsabile di cambi sin troppo “normali” dopo una striscia di partite da Re Mida. Sull’ingresso di Parolo, a dispetto di qualche perplessità iniziale, ha avuto ragione lui: la squadra si era sfilacciata sul limite della propria area, e col veterano a irrobustire la mediana ha immediatamente recuperato metri su metri di campo dando forma all’assalto finale. Il resto non ha convinto, e non solo causa spezzoni sconfortanti come quello di Jony, che addensa una nuvoletta fantozziana sulle prospettive di un suo apporto al prosieguo della stagione. A mancare è stata, un po’ come nel caso di Leiva, la lettura d’insieme della partita in chiave offensiva.
Lavorare su due esterni freschi – per riproporre, forse in maniera troppo ripetitiva, il colpo da maestro inaugurato a Cagliari – presuppone che l’avversario sia disposto a giocarsela sulle corsie laterali, destinandovi uomini che vengono a mancare al centro e allargando così il fronte d’attacco. L’ottimo Jurić ha scelto invece l’all-in nell’area piccola, calcolando correttamente le difficoltà della Lazio nello sfondamento e lasciandole campo libero nella manovra, per fare muro con tutte le risorse disponibili nella sola fase conclusiva. Jony e il non meno inadeguato Marušić hanno così ucciso un uomo morto, dato che nessuno si occupava direttamente di loro sulle fasce, senza contribuire in alcun modo a decongestionare gli spazi davanti al sempre reattivo Silvestri. Al posto del serbo-montenegrino – peraltro in campo troppo a freddo, e dopo una lunga sosta – valeva la pena di rischiare direttamente la velocità di Adekanye: la difficoltà nel reggere un assetto così sbilanciato, un finale con schemi non ancora saltati, la crescente iniziativa in avanti degli ospiti e la necessità di proteggere almeno il pari avrebbero, però, configurato un azzardo eccessivo. In assenza del grimaldello tattico che aveva risolto tante gare recenti, e con l’avanzamento di Luis Alberto sterilizzato dalla difficoltà di incidere giocando ancor più nel traffico, la mossa decisiva poteva venire dalla concentrazione di chili e centimetri nella zona calda. Al tecnico, in sostanza, si può rimproverare di non aver “promosso” stabilmente Acerbi e Milinković-Savić a centravanti aggiunti, forse l’opzione più adatta per far saltare qualche marcatura in una muraglia tanto attrezzata fisicamente quanto organizzata e combattiva.
Le mischie nei sedici metri gialloblù chiamano in causa anche la gestione delle “palle inattive” tanto care al compianto Professor Scoglio. In più di un’occasione, Lucas Leiva aveva proposto traiettorie più precise e imprevedibili rispetto a quelle di Luis Alberto: perché, allora, lasciare allo spagnolo il monopolio delle soluzioni da fermo e dalla bandierina, dove non ha trovato la misura? E poi: dov’erano schemi e movimenti in area piccola, unica risorsa per “sturare” spazi intasati fino al parossismo e l’evidente soggezione nei duelli uno contro uno? Tutto ancora una volta affidato al caso e agli spunti individuali, come nella manovra offensiva in genere, a conferma della perdurante assenza di un piano B collettivo quando i singoli si prendono più o meno meritatamente una pausa. Senza contare la cronica difficoltà nella gestione degli impegni infrasettimanali, con tutto ciò che comporta per chi si pretende impegnato su tre fronti: troppo marcata e improvvisa, anche considerando acido lattico, panchina corta e consistenza dell’avversario di turno, la differenza rispetto alla marcia trionfale contro la Spal.
Del mancato mercato di gennaio, inevitabile convitato di pietra per la parte rimanente della stagione, rimane una sintesi persino obbligata: problemi e lacune plateali che si è colpevolmente scelto di non affrontare. Analoga considerazione vale, però, per altri e già citati segmenti della conduzione tecnica.
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