Visto da me: Sassuolo-Lazio 1-2

di Er Matador

Tre punti dovevano essere, più per la rincorsa all’EL che per quella meno verosimile alla CL, e tre punti sono stati: anche meritatamente, almeno per la reazione caratteriale dopo una mezz’ora abbondante troppo brutta per essere vera.
Sul come ci si è arrivati, francamente, più ombre che luci, a cominciare dal cospicuo dispendio di energie cui ha contribuito l’atteggiamento degli avversari e dell’arbitro.

I neroverdi, in vacanza da mesi sul fronte campionato, hanno tirato fuori un piglio fra l’intimidatorio e il belligerante, secondo solo alla rabbia con cui il loro allenatore (non) ha assorbito una sconfitta di non comune irrilevanza.
Nessuno sportivo degno di tale nome pretendeva tappeti rossi, sia chiaro: ma le “affinità elettive” con gli avversari della Lazio in Coppa Italia, più il fresco ricordo dell’approccio alla gara contro lo stesso sodalizio, delineano un vero e proprio “scansarsi alla rovescia”.
Quanto a Giacomelli, il suo doppiopesismo in materia di falli e cartellini – una triste costante presso i suoi colleghi, persino a livello di squadre giovanili – è stato esteso per l’occasione all’interno dei sedici metri.
Forse a termini di regolamento, anche se con un fumus persecutionis che toglie il respiro, quello concesso ai padroni di casa; enormi gli almeno due negati agli ospiti, uno dei quali – quello su Milinković-Savić – simile al celeberrimo Iuliano-Ronaldo.
A proposito di rigori: Strakosha, oggi distratto come non mai, ancora una volta “va giù” troppo in anticipo spalancando la porta a chi tira dagli undici metri.
Una curiosità regolamentare, a margine: la sua divisa, chiarissima, non era poco distinguibile dal completo bianco dei giocatori di movimento?

A parte la testa al derby, che spiega forse anche qualche segnale di nervosismo, ha poi colpito l’imprecisione nelle giocate spinta fino a disarticolare la manovra.
Sul taccuino del cronista, ma anche su quello del feticista dell’orrido, anche un paio di azioni di rimessa a due sprecate in maniera scellerata.
Subito dopo il pari, Lulić e Immobile si involano dalla corsia di sinistra: peccato che il bosniaco – in chiara défaillance tecnica – sbagli il tempo dell’assist e Ciro, per una volta, tradisca il proprio istinto di bomber aspettando il pallone da fermo, anziché accorciare con un movimento che avrebbe tagliato fuori l’avversario diretto.
Peggio ancora nella ripresa, con una sontuosa rifinitura sulla trequarti biancoceleste che lancia Keita e Felipe Anderson in campo aperto: anche lì assist lento e poco in profondità che costringe il brasiliano a decelerare, col risultato di perdere l’attimo e consentire alla spiazzatissima difesa emiliana di riposizionarsi.
Sono limiti del nostro calcio, non solo della Lazio, se è vero che ci sono voluti Garcia e Gervinho per rivedere qualche contropiede di quelli in cui eravamo maestri: ma non è ammissibile sprecare occasioni del genere con errori così evitabili.

Preoccupa, poi, l’involuzione di Milinković-Savić: e senza di lui saltano in gran parte i collegamenti fra la manovra e il tiro.
Anche perché è inutile aspettarsi idee da Biglia, se possibile meglio del solito in interdizione ma sempre più grigio e minimalista in fase di costruzione.

Con un collettivo evanescente, hanno deciso i singoli: compresi quelli messi in campo da Inzaghi, forse alla migliore stagionale in materia di cambi.
Lukaku sta aprendo orizzonti inimmaginabili sino a un paio di mesi fa, mentre fa piacere il rientro di Lombardi dopo un immeritato accantonamento.
In pochi minuti il ragazzo, pur inserendosi in un solco già percorso dai predecessori, ha dimostrato doti carenti in troppi suoi compagni: essenzialità e concretezza, merce rara in un modo di giocare spesso da futsal se non da beach soccer.
Vivace anche Keita, sia pure assai meno abile degli altri nel tracciare strade verso la rete e ammonito per una protesta fra le più assurde che si ricordino.

Tutte annotazioni che spariscono, però, di fronte al moloch: la scelta di escludere quasi totalmente – con l’eccezione di Patric, non a caso il meno disastroso nella prima parte della gara – il turnover nonostante la vigilia del derby e parecchi elementi bisognosi, fra sosta e Nazionali, di una messa a punto.
Una logica ci sarebbe, se si pensa a quante squadre hanno pagato un calo di tensione volontario e troppo brusco prima di un match da dentro o fuori.
Rimane la sensazione che il tecnico abbia esagerato, ma la verità al riguardo arriverà solo martedì.
E non solo per la capitale – è proprio il caso di dirlo – importanza del risultato, ma per ciò che la gara dirà di Inzaghi su un punto: la capacità di gestire gli impegni infrasettimanali e ravvicinati.
In caso di qualificazione alle Coppe, dovrà essere quello un criterio fondamentale per decidere sulla sua riconferma.

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