Visto da me: Frosinone-Lazio 2-3

di Er Matador



La prima mezz’ora, fra il gol subito da una difesa immobile con la minuscola (nella foto, ndr) e la gelida non esultanza di Zaccagni, trascorre in un’atmosfera surreale che ricorda l’autocombine della Longobarda per onorare il “perdere e perderemo” del presidente Borlotti.
Come se la squadra intendesse ottenere la cacciata dell’allenatore, non avendo ancora registrato il provvidenziale e già avvenuto raggiungimento dell’obiettivo.

Ripartendo da un 1-1 assai generoso rispetto all’andamento della prima frazione, che avrebbe permesso a una controparte maggiormente qualitativa di chiudere la gara, la Lazio applica il teorema De Rossi: secondo il quale basta togliere la squadra di mano a uno psicopatico bollito per consentirle di battere almeno avversari più deboli.
Con un gioco elementare, ma senza strumenti di contenzione tattica e grazie a palloni che arrivano finalmente in area, i biancocelesti ristabiliscono le gerarchie tecniche.

A beneficiarne è soprattutto Castellanos, il quale si rivela per ciò che gli osservatori meno prevenuti avevano intuito fra le nebbie del sarrismo: non un fenomeno né un killer da area di rigore, magari pagato troppo, ma giocatore comunque volitivo, dignitoso, utile alla causa.
Oltre ai due gol, offre un buon movimento su tutto il fronte offensivo e prende qualche fallo, utile a tenere il pallone lontano dall’area durante un recupero interminabile.
Nessuno nega che finora fosse sembrato un oggetto misterioso, ma non era difficile fare la tara considerando che, in mano a un malato di mente, anche Gerd Müller sarebbe stato ridotto in simili condizioni.

Se il Taty ha dato un promettente colpo di reni, Immobile appare ancora nel tunnel: e gli errori, per quantità e qualità, rimandano proprio a un blocco mentale peraltro tipico del ruolo.
D’altronde parliamo di un ragazzo sensibile (e con qualche limite di personalità, si può dire?) che, dopo le partite della Nazionale, soffriva per le critiche ridicolmente in malafede di qualche urlatore.
Ovvio che da un episodio infame e gravissimo come quello che lo ha raggiunto laddove il calcio non dovrebbe mai arrivare, nonché da un triennio di sevizie tattiche, non possa uscire nel giro di novanta minuti.
Unica terapia: insistere, con un po’ di pazienza tornerà lui.

Naturalmente non sono mancate le tracce della precedente conduzione tecnica, soprattutto nella gestione del doppio vantaggio: un gol imbarazzante su palla da fermo; una fotocopia, con la considerevole differenza di un fuorigioco, del gol di El Azzouzi contro il Bologna.

A questo proposito, nel derby di Coppa Italia la tremarella di Mandas aveva ricordato quella di Salafia in Padova-Lazio; ieri la tremarella che imponeva ai tifosi su ogni intervento ha richiamato alla mente il peggior Valerio Fiori.
Prima di risalire a Nardin, forse sarebbe il caso di rispolverare il troppo modesto ma più rodato Sepe: al quale il greco, un tantino immaturo per i suoi 23 anni, ha tolto il posto di secondo per motivi francamente poco decifrabili.

Concludendo, è bastato il ritorno di un po’ di buonsenso per ottenere inequivocabili segnali di vita.
Ci sono buone premesse, pur fra tanti problemi ancora irrisolti, perché un tecnico meno improvvisato dell’ostiense possa aggiungere qualcosa di suo.

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