Visto da me: Lazio-xxxx 1-0 (CI)
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di Er Matador
Partita vinta con merito facendo leva sul parametro più a rischio, vale a dire l’approccio mentale: laddove la xxxx ha dato il peggio di sé, come già nel 2013. Allora si pensò dipendesse da un tecnico – Andreazzoli – di scarsa personalità; ora dipende da un tecnico che ne ha troppa? O forse il terzo monte ingaggi della serie A ha prodotto non solo la ventunesima squadra su venti per qualità del gioco e una rosa da Salernitana – tolti Lukaku e Dybala, peraltro a mezzo servizio uno con la testa e l’altro col fisico, quella è – ma anche un gruppo imbelle, privo anche di un solo elemento di personalità? O semplicemente il momento della verità in un derby a eliminazione diretta – peggio ancora con una Coppa a bordocampo – fa emergere davvero la verità, vale a dire un DNA da perdenti con l’aggravante del ridicolo?
In ogni caso, la Lazio si presenta al via col terzo portiere Mandas, che scavalca Sepe nelle gerarchie alle spalle del febbricitante Provedel. Era dai tempi di Salafia che non si vedeva un esordiente così schiacciato dal peso psicologico della circostanza, da cui una mezza frittata senza conseguenze su un’uscita non impossibile. Fortunatamente il match non gli propone molte criticità, giusto il tiro sporco di Belotti su cui mostra se non altro buoni riflessi. Per il resto, i biancocelesti mostrano concentrazione in difesa e solidità a metacampo, che portano le squadre ad annullarsi in un primo tempo finito senza una riga sul taccuino del cronista.
Il vero game changer è il rientro in campo: xxxx che lascia Dybala, ma soprattutto testa e attributi, negli spogliatoi; Lazio che sfodera il miglior inizio di ripresa della gestione Sarri. E appena si gioca a calcio la differenza di qualità emerge: con Felipe Anderson imprendibile sulla fascia di competenza e Vecino tatticamente troppo complesso per il catenaccio antidiluviano di Maurigno, il cui score personale nei derby si sta facendo interessante. Se solo l’uruguaiano fosse abile nel concretizzare le occasioni quanto lo è nel conquistarle, la gara si chiuderebbe all’ora di gioco per manifesta inferiorità.
Un bell’intervento di Rui Patricio (nella foto, ndr) e un pizzico di approssimazione rimandano il verdetto al giovane Ibañez di turno, senza il quale – ed è un appunto da non trascurare – si sarebbe rischiato un pericolosissimo prolungamento ai supplementari. L’ancora minorenne Huijsen la combina davvero grossa, con un calcione del tutto sconsiderato per collocazione e forza che centra la gamba del Taty. Orsato la gestisce per una volta da arbitro; Zaccagni completa l’opera con esemplare freddezza rallentando sapientemente la rincorsa, quel tanto che basta per calciare di seconda intenzione sul portiere.
La Lazio sfiora il colpo del KO sull’onda lunga psicologica del vantaggio, che però si esaurisce misteriosamente dopo la disastrosa ciabattata di Pedro a otto minuti dal 90’ (e a diciotto dal fischio finale, quello è il punto). Vale a dire quando l’ingresso di Belotti per il match-looser Huijsen completa le scelte da oratorio del mitomane lusitano, che si limita a buttare in avanti giocatori e palloni, aprendo praterie per le azioni di rimessa. Gli uomini di Sarri, invece, non riescono a uscire dall’area, a innescare i più freschi Isaksen e Pedro, a tenere il pallone lontano dalla propria porta, esponendosi al colpo di cul… di coda dell’avversario. Che in effetti inquadra prima la porta di Mandas, con la già citata conclusione del Gallo, poi la Curva Nord con la girata tentata da un Lukaku come sempre nullo nelle gare da dentro o fuori: insieme all’isterismo, innervato su una condotta premeditatamente delinquenziale, il simbolo della loro disperazione e della mancanza di risorse tecnico-tattiche.
Finisce con una ridda di cartellini rossi: per Mancini, espulso dopo il fischio finale, basta il nome; per Azmoun – comunque nullo con mezz’ora e più a disposizione – forse incide l’influenza ambientale, anche se da un elemento della sua esperienza internazionale ci si aspetterebbe di meglio. Considerazione che vale ai massimi livelli per Pedro, protagonista di uno spezzone da 1 in pagella. A parte il gol divorato, già gravissimo per un campione come lui, rimane da spiegare perché sia letteralmente impazzito dopo provocazioni neppure ultimative. E quando c’era da approfittare della dabbenaggine altrui per ottenere, anziché concedere, la superiorità numerica. O forse quella degli inferiori non è dabbenaggine bensì esito del più sporco calcolo, col quale perdere dieci secondi per guadagnare un ulteriore minuto di recupero?
Venendo alle altre valutazioni dei singoli, l’imprecisione in fase conclusiva sposta la palma del migliore da un Vecino comunque gigantesco alla coppia Patric-Romagnoli, vincitrice sul piano della concentrazione e dell’applicazione. Stessa considerazione per Luca Pellegrini che in fase difensiva, non la sua specialità, non ha perso un colpo. Anche se sull’andamento del gioco ha inciso soprattutto la compattezza di un undici, a parte Pedro, senza insufficienze individuali.
Dopopartita particolarmente indigesto sulle reti Merdaset, dove un infantile, frustrato e bigiallorosso Massimo Mauro (il gol di Monelli! Il gol di Monelli! Il gol di Monelli!) si è incartato nel tentativo di negare l’evidenza del rigore, mentre allo psicopatico portoghese è stato concesso un monologo interminabile e altrettanto contorto nel tentativo di autoassoluzione.
Cosa c’è di peggio rispetto a un comizio di Mourinho? Un comizio di Lotito, che ha scelto dopo tempo immemorabile di rappresentare la società sul piccolo schermo. Il penalty decisivo gli offriva un’occasione irripetibile per affrontare l’argomento arbitri: magari sottolineando come il rigore fosse assai più netto – per tacere di quelli concessi alla xxxx in campionato – rispetto al tuffo di Spinazzola che ha consentito agli avversari di arrivare fin qui. Il suo commento? La citazione di zio Vuja “rigore è quando arbitro fischia”: vale a dire la frase scomodata abitualmente da chi ha il sedere sporco, e nessun altro argomento, per un favore arbitrale ricevuto in materia.
Qui non si tratta di aprire il miliardesimo flame sul Sommo, e nel momento meno adeguato, ma di valutare come la società venga rappresentata sul piano della comunicazione. Il patron ci aveva abituati alla totale mancanza di reazioni su un fronte caldissimo come quello arbitrale. Atteggiamento già omissivo e che, alla prima occasione utile per aprire bocca, è diventato addirittura controproducente. Legittimando una narrazione, quella di una Lazio aiutata da un regalino del direttore di gara, che prepara una doppia compensazione in campionato. Se ricapiteranno giornate felici come questa, ci regali un premio partita: il suo silenzio.
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