Visto da me: Lazio-Frosinone 3-1
|
di Er Matador
A Empoli, dove la Lazio era stata salvata da Provedel contro una retrocedenda, aveva colpito la dinamica delle segnature: quattro occasioni da gol per segnarne uno. La plastica rappresentazione del gioco più insensato, sterile e controproducente mai visto su un campo da calcio. Un nonsense privo di qualsiasi organizzazione negli aspetti concreti di questo sport, come per i più squallidi minestrari, ma con l’aggravante di impedire ai singoli di esprimersi.
Il primo tempo contro il modesto ma coriaceo Frosinone ha portato il concetto alla quasi-perfezione, con un auto-torello da incubo suggellato dagli zero tiri nello specchio. Unica nota lieta la prestazione di Pellegrini, il più pericoloso a inizio ripresa con un sinistro radente il palo difeso da Turati: giocatore voluto dal tecnico, già rodato coi suoi ideogrammi tattici, escluso a priori per far giocare Hysaj e Marušić col piede sbagliato. Si trattasse della ripicca per un elemento non voluto, saremmo di fronte a un comportamento miserabile, sleale e poco professionale, ma almeno sorretto da una logica; mentre qui siamo ai limiti della perizia psichiatrica.
La svolta a partire da un rigore scandaloso, perché Guendouzi viene indotto al fallo di mano da una doppia spinta avversaria: e da questo punto la partita si può raccontare in base a due timeline. Prima: la sequenza penalty inesistente, reazione di nervi, caos tattico, rimonta da cuore oltre l’ostacolo. Cambia notevolmente il livello tecnico ma il plot è quello di Lazio-Dinamo Kiev, in assoluto fra le serate emotivamente più intense nella Storia biancoceleste. Seconda: l’evento centrale della narrazione è la criminosa sostituzione di Kamada.
Criminosa non per la prestazione del giocatore, al solito un pulcino annegato nel sarrismo, quanto per la sua gestione. Combinando il difficilissimo inizio di stagione del giapponese e di Castellanos con la contemporanea assenza di Luis Alberto e Immobile, un tecnico in attività avrebbe spiegato loro: per le prossime cinque partite, cascasse il mondo, giocate novanta minuti più recupero. Tante carriere sono cominciate così, sbloccando singoli di valore che stavano per perdersi ancor prima di cominciare: ma i fortunati hanno incontrato allenatori di uomini, non di robottini.
Sulla scelleratezza del cambio, che ha tolto dal campo l’ex Eintracht distruggendolo forse definitivamente, la controprova è fornita dall’argentino: autore di un’ora di non gioco anche peggiore della sua, ma con la possibilità di arrivare alla fine. Ed ecco che l’ex Girona è passato da sega circolare costata quindici milioni a mattatore con un gol e un assist, più altrettanti vanificati da un offside per grave errore di altruismo e da una traversa.
A trasformarlo da rospo a principe ha provveduto Isaksen, benché deprivato del primo tempo a favore di un Felipe Anderson in chiaro burned out, si tratti del rinnovo o delle 12345 partite consecutive in un ruolo molto usurante. Il danese è un elemento ancora grezzo, ma che dimostra personalità e concretezza nell’andare al sodo e, soprattutto, una qualità vitale alle dipendenze del bradipo morto: la propensione ad allenarsi da solo. Col Celtic era sfuggito a schemi e passaggi indietro infilandosi a testa bassa nel traffico, mentre la squadra attaccava a caso in inferiorità numerica: ne venne fuori il gol fondamentale di Immobile.
Stasera si è ripetuto con un pallone dritto per dritto e neppure troppo teso, ma verso l’area, per la conclusione aerea del Taty, improbabile ma verso la porta: casualmente, ecco l’1-1 a interrompere uno psicodramma. Incoraggiato dal precedente, il buon Gustav ha vibrato una picconata ancor più decisa alle Tavole dei Dieci Comandamenti (4-3-3 in effetti fa proprio 10...) inventandosi, ovvove ovvove, seconda punta. Castellanos, ispirato dal trovarsi finalmente un compagno a meno di cinquanta metri, gli ha offerto con perfetto tempismo la sponda per completare la rimonta. Il tutto partendo da una verticalizzazione diretta, a defecare ulteriormente sulla tomba del sarrismo.
Poi sono emerse le solite approssimazioni nel chiudere la partita, incombenza per la quale è servita la meritata soddisfazione personale di Patric (nella foto, ndr): ma i segnali di vita, una volta buttata alle ortiche quall’armatura tattica paralizzante, tracciano una strada assai ben definita.
Per seguirla, la scelta migliore consisterebbe nel separarsi dall’utente e venditore di fumo: magari chiedendo a Babbo Natale di portarselo in Lapponia, dove il capoluogo Rovaniemi ospita una discreta squadra con qualche precedente nelle Coppe Europee. Magari lì troverà giocatori abbastanza docili e modesti per beneficiare dei suoi deliri tattici.
|
Votazione: Questo articolo non è stato ancora votato.
|
|
|